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Tutte le seguenti traduzioni dei testi di Scoto sono tratte
da D. Scaramuzzi, Duns Scoto, Summula, Edizioni Testi Cristiani, Firenze
1932, ora in Rigobello, Armando, L'immortalità dell'anima, La scuola,
Brescia 1987, 105.
Per ciò che riguarda l'autorità dei filosofi invocata da alcuni al riguardo
dell'immortalità dell'anima, si può rispondere in due modi: a) non è
certo ciò che Aristotele pensasse di questo problema, giacché, in diversi luoghi,
ne parla diversamente, ed è probabile che fosse oscillante piegandosi ora all'una
ora all'altra parte secondo la materia che trattava; b) v'è una risposta più
reale: non tutto ciò che asserivano i filosofi veniva da essi dimostrato con
argomenti ragionevoli; spesso anzi non presentavano che probabili modi di vedere
l'opinione volgare dei filosofi precedenti. Non potendo disporre di argomenti
importanti, si contentavano di argomenti sufficienti, per non contraddire ai
loro principi filosofici.
Questa risposta basterebbe per tutte le autorità che si potessero invocare,
anche illustri, che, cioè, non raggiungono lo scopo di una dimostrazione irrefragabile.
Giovanni Duns Scoto, Opus Oxoniense, IV, d. 43, q. 3, n. 16, p. 46
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Conchiudono di meno le ragioni indirette, come quella dedotta dalla giustizia retributiva di Dio, fondata sul fatto che, nella vita presente, soffrono più i buoni che i cattivi; argomento che sembra avere il suo appoggio nella parola dell'Apostolo, contenuta nel c. 15 della I lettera ai Corinzi: Se la nostra speranza cristiana finisce in questa vita, noi siamo i più miserabili di tutti.
Naturalmente non consta che alle vicende umane presieda un Reggitore secondo le leggi della giustizia retributiva e punitiva. Ma, anche ammesso questo, non ne seguirebbe necessariamente la immortalità, perché si potrebbe dire che ciascuno riceve il suo premio nella stessa virtù praticata, come il peccatore trova il suo castigo nella stessa colpa, come osserva Agostino nel I libro delle Confessioni, c. 12: 0 Signore, tu hai comandato che ogni peccatore sia a se stesso pena, e così avviene.
Onde i Santi, quando ragionano con argomenti indiretti della immortalità dell'anima, non intendono presentare che convincimento probabili, come Gregorio nel XIV libro della sua Morale, ragionando al proposito, dopo di aver portato alcuni argomenti, conclude: Chi non vorrà credere per queste ragioni, creda per fede.
Giovanni Duns Scoto, Opus Oxoniense, IV, d. 43, q. 2, n. 27, XX, 56
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Similmente la dottrina di Paolo contenuta negli Atti degli
Apostoli, 17, 26, e ciò che insegna nella I lettera ai Corinzi, c. 15,
con l'esempio del grano cadente e della resurrezione di Cristo, dicendo: Se
Cristo risuscitò, anche i morti risusciteranno, e per giusta retribuzione, non
è basata che su ragioni probabili o derivanti da premesse credute per fede.
In breve: la immortalità dell'anima, come dice Agostino nel XIII Della Trinità,
c. 9, non si può provare con ragioni (necessarie, irrefragabili), ma solo
per mezzo del Vangelo, nel quale esclama il Cristo: Non vogliate temere coloro
che uccidono il corpo e non possono uccidere l'anima ecc.
Giovanni Duns Scoto, Opus Oxoniense, IV, d. 43, q. 2, n. 27, XX, 57
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Dal che appare quanto dobbiamo esser grati alla misericordia
del Creatore, il quale per mezzo della fede ci ha resi certissimi delle
verità che riguardano il nostro ultimo fine e la immortalità dell'anima, verità
delle quali non potettero arrivare a comprendere quasi nulla, con la loro ragione,
uomini di grande ingegno e forniti di vasta erudizione, secondo il citato testo
di Agostino. Ma se vi è nell'anima la fede, quella fede ch'è in coloro ai quali
Gesù concesse di essere figli di Dio, non vi ha più questione di sorta intorno
alla immortalità dell'anima, perché Egli, il Cristo, ha reso certissimi di
ciò coloro che credono in Lui.
Giovanni Duns Scoto, Opus Oxoniense, IV, d. 43, q. 2, n. 33, 59b