![]() |
Sin dall'inizio invece i figli di Dio, cioè i cittadini dell'altra città che è pellegrina in questo mondo, a causa della bellezza fisica presero ad amare quelle donne che erano di cattivi costumi nella città terrena, cioè nella società degli uomini terrestri. Sicuramente il bene della bellezza è un dono di Dio, ma viene dato anche ai cattivi, perché i buoni non lo considerino un bene eccelso; perciò, dopo aver abbandonato il bene eccelso, che è solo dei buoni, ha provocato la caduta in quel bene così piccolo, che non è dei buoni, ma è comune a buoni e cattivi; in tal modo i figli di Dio si innamorarono delle figlie degli uomini e per averle come spose si abbassarono al livello morale della società terrena, dopo aver abbandonato ogni sensibilità religiosa che mantenevano nella società dei santi. In questo modo la bellezza dei corpi, certamente opera di Dio, ma come il bene più piccolo in quanto legato al tempo ed alla carne, diviene oggetto di un amore cattivo, dopo essere stato anteposto a Dio, bene eterno, interiore, senza fine, come quando, calpestata la giustizia, gli avari amano l'oro, commettendo una colpa che non è dell'oro, ma dell'uomo. Ogni creatura si trova in questo stato: pur essendo buona, può essere amata con un amore buono o cattivo; buono quando si rispetta l'ordine, cattivo quando l’ordine viene turbato. Io ho espresso sinteticamente in versi questo concetto in un inno al cero: "Sono tuoi questi beni; tu che sei buono li hai creati. Niente di nostro vi è in essi, se non il peccato di amare, disprezzando l'ordine, non Te, ma ciò che Tu hai creato". Se invece il Creatore è amato in modo autentico, cioè se non si ama un'altra realtà al posto suo, non può essere amato con un amore cattivo. Infatti si deve amare legittimamente anche quell'amore, che è buono in quanto ama ciò che si deve amare, perché sia in noi quella virtù che ci fa vivere bene. Perciò mi pare che si possa definire in modo sintetico ed efficace la virtù come l'ordine dell'amore; nel Cantico dei cantici, infatti, la sposa di Cristo, la città di Dio, canta: Ordinate in me la Carità.
Aurelio Agostino, La città di Dio, ed. it. a cura di L. Alici, Rusconi, Milano 1984, XV, 22, pp. 731-732