Aristotele
Dio come principio del cosmo

Un movimento di tal genere (quello del cosmo) è provocato sia da ciò che è oggetto di desiderio sia da ciò che è oggetto di pensiero. Ma questi oggetti, se vengono intesi nella loro accezione più elevata, sono tra loro identici. Infatti, è oggetto del nostro desiderio il bello nel suo manifestarsi, mentre è oggetto principale della nostra volontà il bello nella sua autenticità; ed è più esatto ritenere che noi desideriamo una cosa perché ci si mostra bella, anziché ritenere che essa ci sembri bella per il solo fatto che noi la desideriamo: principio è, infatti, il pensiero. Ma il pensiero è mosso dall’intellegibile, e una delle due serie di contrari è intellegibile per propria essenza, e il primo posto di questa serie è riservato alla sostanza, e, nell’ambito di questa, occupa il primo posto quella sostanza che è semplice ed è in-atto (e l’uno e il semplice non sono la medesima cosa, giacché il termine “uno” sta ad indicare che un dato oggetto è misura di qualche altro, mentre il termine “semplice” sta ad indicare che l’oggetto stesso è in un determinato stato). Ma tanto il bello quanto ciò che per la sua essenza è desiderabile rientrano nella medesima categoria di contrari; e ciò che occupa il primo posto della serie è sempre ottimo o analogo all’ottimo.
La presenza di una causa finale negli esseri immobili è provata dall’esame diairetico del termine: infatti, la causa finale non è solo in vista di qualcosa, *ma è anche* proprietà di qualcosa, e, mentre nella prima accezione non può avere esistenza tra gli esseri immobili, nella seconda accezione può esistere tra essi. Ed essa produce il movimento come fa un oggetto amato, mentre le altre cose producono il movimento perché sono esse stesse mosse. Pertanto, una cosa che è mossa può essere anche altrimenti da come essa è, e di conseguenza il primo mobile, quantunque sia in atto, può –limitatamente al luogo, anche se non alla sostanza – trovarsi in uno stato diverso, in virtù del solo fatto che è mosso; ma, poiché c’è qualcosa che produce il movimento senza essere, esso stesso, mosso ed essendo in atto, non è possibile che questo qualcosa sia mai altrimenti da come è. Infatti, il primo dei cangiamenti è il moto locale, e, nell’ambito di questo, ha il primato la conversione circolare, e il moto di quest’ultima è prodotto dal primo motore. Il primo motore, dunque, è un essere necessariamente esistente e, in quanto la sua esistenza è necessaria, si identifica col bene e, sotto questo profilo, è principio. Il termine “necessario”, infatti, si usa nelle tre accezioni seguenti: come ciò che è per violenza perché si oppone all’impulso naturale, come ciò senza di cui non può esistere il bene e, infine, come ciò che non può essere altrimenti da come è, ma solo in un unico e semplice modo.
È questo, dunque, il principio da cui dipendono il cielo e la natura. Ed esso è una vita simile a quella che, per breve tempo, è per noi la migliore. Esso è, invero, eternamente in questo stato (cosa impossibile per noi!), poiché il suo atto è anche piacere (e per questo motivo il ridestarsi, il provare una sensazione, il pensare sono atti molto piacevoli, e in grazia di questi atti anche speranze e ricordi arrecano piacere). E il pensiero nella sua essenza ha per oggetto ciò che, nella propria essenza, è ottimo, e quanto più esso è autenticamente se stesso, tanto più ha come suo oggetto ciò che è ottimo nel modo più autentico. L’intelletto pensa se stesso per partecipazione dell’intellegibile, giacché esso stesso diventa intellegibile venendo a contatto col suo oggetto e pensandolo, di modo che intelletto e intellegibile vengono ad identificarsi. È, infatti, l’intelletto il ricettacolo dell’intellegibile, ossia dell’essenza, e l’intelletto, nel momento in cui ha il possesso del suo oggetto, è in-atto, e di conseguenza l’atto, piuttosto che la potenza, è ciò che di divino l’intelletto sembra possedere, e l’atto della contemplazione è cosa piacevole e buona al massimo grado.
Se, pertanto, dio è sempre in quello stato di beatitudine in cui noi veniamo a trovarci solo talvolta, un tale stato è meraviglioso; e se la beatitudine di dio è ancora maggiore, essa è oggetto di meraviglia ancora più grande. Ma dio è, appunto, in tale stato! Ed è sua proprietà la vita, perché l’atto dell’intelletto è vita, ed egli è appunto quest’atto, e l’atto divino, nella sua essenza, è vita ottima ed eterna. Noi affermiamo, allora, che dio è un essere vivente, sicché a dio appartengono vita e durata continua ed eterna: tutto questo, appunto, è dio!
[…] Da quanto abbiamo detto risulta, quindi, con evidenza che esiste una sostanza eterna e immobile e separata dagli esseri sensibili, e noi abbiamo anche dimostrato che questa sostanza non può avere grandezza alcuna, ma è priva di parti e indivisibile (essa, infatti, produce il movimento per tutta l’infinità del tempo, mentre nessuna cosa che sia finita possiede un potere infinito sa, e perciò, dato che ogni grandezza non potrebbe essere se non o infinita o finita, questa sostanza non potrebbe possedere una grandezza finita; ma, d’altra parte, non potrebbe avere neppure una grandezza infinita, perché non esiste assolutamente alcuna grandezza che sia infinita; ma noi abbiamo anche dimostrato che una tale sostanza non è soggetta a passione e ad alterazione, giacché tutti gli altri movimenti sono posteriori a quello locale.

Aristotele, Metafisica, XII, 1072 a 18-1073 a 12; trad. it. Aristotele, Opere, vol. 6°, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. pp. 354-359

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