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Io ritengo [...] che essa [l’anima] non sia modificata affatto dal corpo, ma che agisce su di esso e in esso, in quanto provvidenzialmente soggetto al suo dominio e che talora agisce con facilità e talora con difficoltà, a seconda che, in vista della sua dignità, l’essere corporeo le è più o meno sottomesso. Dunque tutti i sensibili che o sono introdotti nel corpo o si presentano come oggetti esterni producono non sull’anima ma sul corpo una reazione che o ostacola o favorisce l’influsso dell’anima stessa. Perciò quando essa resiste all’oggetto che la ostacola e spinge a forza con difficoltà in direzione del proprio influsso la materia che le è soggetta, essa a causa della difficoltà si rende più cosciente nell’azione. E questa difficoltà, quando in virtù della coscienza è avvertita, si dice avere sensazione, e in questo caso si chiama dolore o fatica. Quando invece l’oggetto che si introduce o si presenta al di fuori è in corrispondenza, l’anima con facilità lo muove o tutto o la parte necessaria in direzione della sua mozione. E questa azione, con cui essa mette a contatto il proprio corpo con un corpo esterno confacente, è avvertita, perché è compiuta con maggiore coscienza a causa dello stimolo esterno; e data la convenienza dell’oggetto si ha una sensazione di piacere.
E quando vengono meno i sensibili, con cui riparare l’indebolimento del corpo, si ha il bisogno. E poiché è resa più cosciente dalla difficoltà di provvedere e avverte questa sua attività, si hanno la fame, la sete e simili. E quando i cibi ingeriti sono più del bisogno e dalla loro pesantezza sorge la difficoltà di digestione, anche questo fenomeno non si verifica senza coscienza e poiché anche questa azione è avvertita, si ha la sensazione di indigestione.[...].
E per non farla lunga, è mia opinione che quando l’anima sente mediante il corpo non ne subisce la modificazione, ma agisce con maggiore coscienza nelle modificazioni del corpo e che queste funzioni, facili quando si ha congruenza dell’oggetto, difficili quando si ha l’incongruenza, sono avvertite. E tutto questo è ciò che si chiama avere sensazione.
Agostino, La musica, VI, 5, 9-10, in Opera omnia, vol. III/2, a cura di D. Gentili, pp. 641-43