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Poi che è possibile che le cose stiano nel modo da noi prospettato - del resto, se si respinge questa nostra spiegazione, tutte le cose deriverebbero dalla notte o dal "tutto insieme" o dal non-essere -, si possono ritenere risolte le precedenti aporie; esiste, quindi, qualcosa che è sempre mossa secondo un moto incessante, e questo moto è la conversione circolare (e ciò risulta con evidenza non solo in virtù di un ragionamento, ma in base ai fatti, e di conseguenza si deve ammettere l'eternità del primo cielo. Ed esiste, pertanto, anche qualcosa che provoca il moto del primo cielo. Ma poiché ciò che subisce e provoca il movimento è un intermedio, c'è, tuttavia, un qualcosa che provoca il movimento senza essere mosso, un qualcosa di eterno che è, insieme, sostanza e atto. Un movimento di tal genere è provocato sia da ciò che è oggetto di desiderio sia da ciò che è oggetto di pensiero. Ma questi due oggetti, se vengono intesi nella loro accezione più elevata, sono tra loro identici. Infatti, è oggetto del nostro desiderio il bello nel suo manifestarsi, mentre è oggetto principale della nostra volontà il bello nella sua autenticità; ed è più esatto ritenere che noi desideriamo una cosa perché ci si mostra bella, anziché ritenere che essa ci sembri bella per il solo fatto che noi la desideriamo: principio è, infatti, il pensiero. Ma il pensiero è mosso dall'intellegibile, e una delle due serie di contrari è intellegibile per propria essenza, e il primo posto di questa serie è riservato alla sostanza, e, nell'ambito di questa, occupa il primo posto quella sostanza che è semplice ed è in atto (e l'uno e il semplice non sono la medesima cosa, giacché il termine ‘uno’ sta ad indicare che un dato oggetto è misura di qualche altro, mentre il termine ‘semplice’ sta ad indicare che l'oggetto stesso è in un determinato stato). Ma tanto il bello quanto ciò che per la sua essenza è desiderabile rientrano nella medesima categoria di contrari; e ciò che occupa il primo posto della serie è sempre ottimo o analogo all'ottimo. La presenza di una causa finale negli esseri immobili è provata dall'esame diairetico del termine: infatti, la causa finale non è solo in vista di qualcosa, ma è anche proprietà di qualcosa, e, mentre nella prima accezione non può avere esistenza tra gli esseri immobili, nella seconda accezione può esistere tra essi. Ed essa produce il movimento come fa un oggetto amato, mentre le altre cose producono il movimento perché sono esse stesse mosse. Pertanto, una cosa che è mossa può essere anche altrimenti da come essa è, e di conseguenza il primo mobile, quantunque sia in atto, può -limitatamente al luogo, anche se non alla sostanza - trovarsi in uno stato diverso, in virtù del solo fatto che è mosso; ma, poiché c'è qualcosa che produce il movimento senza essere, esso stesso, mosso ed essendo in atto, non è possibile che questo qualcosa sia mai altrimenti da come è. Infatti, il primo dei cangiamenti è il moto locale, e, nell'ambito di questo, ha il primato la conversione circolare, e il moto di quest'ultima è prodotto dal primo motore. Il primo motore, dunque, è un essere necessariamente esistente e, in quanto la sua esistenza è necessaria, si identifica col bene e, sotto questo profilo, è principio. Il termine ‘necessario’, infatti, si usa nelle tre accezioni seguenti: come ciò che è per violenza perché si oppone all'impulso naturale, come ciò senza di cui non può esistere il bene e, infine, come ciò che non può essere altrimenti da come è, ma solo in un unico e semplice modo.
Aristotele, Metafisica, XII, 7, 1072a 19 – 1072b 13, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1993, vol. 6