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SOCR. Quindi colui che ammonisce di conoscere se stesso, ci ordina di conoscere la nostra anima. ALC. Così pare. SOCR. E quindi colui che conosce un po’ di ciò che appartiene al corpo ha conoscenza di ciò che appartiene a se stesso, ma non conoscenza di se stesso. ALC. E’ Così. SOCR. Quindi nessun medico e nessun maestro di ginnastica in quanto tali conoscono se stessi. ALC. Par di no. SOCR. E ci passa un bel po’ che i contadini e tutti quelli che praticano un mestiere conoscano se stessi. Perché essi, a quanto pare, non conoscono neppure ciò che attiene a loro stessi, ma soltanto ciò che è ancora più remoto da ciò che attiene a loro stessi, secondo le arti che rispettivamente professano; perché conoscono le arti attinenti al corpo, dalle quali il corpo è servito. ALC. E’ vero. SOCR. Se dunque la saggezza consiste nel conoscere se stessi nessuno di costoro è saggio per quanto sta all’arte sua. ALC. No, non mi sembra. SOCR. Per questo, ecco, tali arti passano per assai vili, come cognizioni indegne di un uomo nobile. ALC. Sicuro. SOCR. Così, ancora una volta, chi si prende cura del proprio corpo cura ciò che appartiene a se stesso, ma non cura se stesso. ALC. Quasi inevitabilmente. SOCR. Chi poi si prende cura dei denari non s’adopera intorno a se stesso, né a ciò che attiene a se stesso, ma a cose ancor più remote da quelle che attengono a se stesso. ALC. Lo credo anch’io. SOCR. L’affarista quindi non fa dunque più i suoi interessi! ALC. Giusto! SOCR. E se qualcuno è innamorato del corpo di Alcibiade vuol dire che non è innamorato di Alcibiade, ma di qualcosa che appartiene ad Alcibiade. ALC. E’ vero. SOCR. Ma chi è innamorato della tua anima, t’ama. ALC. E’ così per forza da quello che s’è detto. SOCR. Colui poi che ama il tuo corpo, quando questo cessa il suo fiorire, si ritirerà e se ne andrà? ALC. Evidentemente. SOCR. Ma chi invece ama la tua anima non se ne andrà fintanto ch’essa si muova per la via del meglio? ALC. E’ naturale. SOCR. Ebbene io sono colui che non si ritira da te, ma ti rimango vicino anche allo sfiorire del corpo, quando gli altri si sono dileguati. ALC. E fai proprio bene, caro Socrate! E non andartene! SOCR. Però cerca d’essere il più bello possibile. ALC. Sì, cercherò. (…) SOCR. Dunque, neppure chi diviene ricco sfugge all’infelicità, ma solo chi diventa saggio. ALC. Evidentemente. SOCR. Non hanno infine bisogno di mura, di triremi e d’arsenali gli stati, caro Alcibiade, se avranno a prosperare in felicità, né hanno bisogno di masse e di grandezza prive di virtù. ALC. Veramente no. SOCR. Così se t’appresti a metter mano agli affari dello stato, correttamente e nobilmente, tu devi far parte ai cittadini della tua virtù. ALC. Sicuro. SOCR. Ma potrebbe qualcuno dare ciò che non ha? ALC. E come farebbe? SOCR. Per te stesso devi prima conquistarti la virtù, tu o chiunque altro che voglia governare e prendersi cura non solo privatamente di sé e delle sue cose, ma anche dello stato e dei suoi affari. ALC. E’ vero. SOCR. Non devi dunque procurare potere e neppure libertà a te stesso e allo stato per far ciò che ti piaccia, ma giustizia e saggezza. ALC. Evidentemente. SOCR. O Perché se tu e la città agite con giustizia e saggezza, agirete come piace al dio. ALC. E’ naturale. SOCR. E, come dicevamo all’inizio, nelle vostre azioni terrete lo sguardo fisso al divino e al luminoso. ALC. Evidentemente. SOCR. Ma con lo sguardo fisso in quella direzione rimirerete e conoscerete voi stessi e ciò che è bene per voi. ALC. Sì. SOCR. Allora vivrete rettamente e bene? ALC. Sì. SOCR. Così facendo io voglio garantire che voi sarete anche felici. ALC. Una promessa sicura. SOCR. Ma se agirete contro giustizia con lo sguardo fisso all’empietà ed al buio, allora, com’è naturale, i vostri atti saranno corrispondenti a questi, dal momento che rimanete nell’ignoranza di voi stessi. ALC. E’ naturale. SOCR. Perché, mio caro Alcibiade, chi possieda la potenza per far ciò che gli piaccia, ma non abbia alcun senno, cos’è probabile che gli accada, sia lui una persona o uno stato? Se per esempio un malato ha il potere di far ciò che gli piace e privo d’ogni idea di medicina, spadroneggia a tal punto che nessuno può riprenderlo cosa accadrà? Non si rovinerà la salute? E ciò non sarà naturale? ALC. E’ vero. SOCR. Se in una nave uno avesse la libertà di fare ciò che gli pare, privo della minima idea di scienza nautica, te lo immagini cosa avverrebbe di lui e degli altri imbarcati? ALC. Lo vedo: perirebbero tutti. SOCR. Se dunque, in questo stesso modo, nello stato e in ogni altro tipo di governo e di dominio viene a mancare la virtù, ne consegue il vivere male? ALC. Per forza.
Platone, Alcibiade primo, 130 e – 131 d; 134 b – 135 b, da Opere complete, Laterza, Roma-Bari 1980