Tommaso d’Aquino
L’irascibile e il concupiscibile come sede di virtù

L’irascibile e il concupiscibile possono essere considerati sotto due punti di vista. Primo, in se stessi, come facoltà dell’appetito sensitivo. E da questo lato non possono essere sede di virtù. Secondo, come facoltà partecipi della ragione, in quanto sono fatte per obbedire alla ragione. E da questo lato l'irascibile e il concupiscibile possono essere sede di virtù umane: poiché sotto questo aspetto, in quanto partecipi della ragione, sono principi degli atti umani. E a potenze di questo genere non si possono non attribuire delle virtù.
E’ infatti evidente che nell'irascibile e nel concupiscibile ci sono delle virtù. Poiché l'atto che promana da una potenza sotto la mozione di un'altra non può essere perfetto se entrambe le potenze non sono ben disposte all'operazione: come l'atto di un artefice non può essere ben appropriato se l'artefice e lo strumento stesso non sono ben disposti all'operazione. Perciò nelle azioni compiute dall'irascibile e dal concupiscibile sotto la mozione della ragione è necessario, per ben operare, che vi sia il perfezionamento di qualche abito non soltanto nella ragione, ma anche nell'irascibile e nel concupiscibile stessi. E poiché la buona disposizione di una potenza che muove perché mossa viene desunta dalla conformità di essa con la potenza motrice, di conseguenza la virtù che risiede nell'irascibile e nel concupiscibile non è altro che una conformità abituale di tali potenze con la ragione.

Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, Volume secondo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1996, Ia IIae, q. 55, a. 2, p. 411

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