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Io non biasimo gli antichi per non aver scritto dei procedimenti anatomici, però elogio Marino per averne scritti. Per loro, infatti, era superfluo scrivere dei trattati per sé o per gli altri, per il fatto che venivano esercitati dai loro padri sin da ragazzi a fare dissezioni, così come a leggere e a scrivere. Gli antichi, infatti, studiarono molto l’anatomia, non soltanto i medici, ma anche i filosofi. […] Ma poi, nel corso del tempo, da quando sembrò giusto trasmettere l’arte non solo ai parenti, ma anche a coloro che erano al di fuori della cerchia familiare, subito e per prima cosa questo andò perduto, perché non appresero più da fanciulli a sezionare i cadaveri […] Essendo l’arte degli asclepiadi caduta fuori dalla cerchia familiare, e poi divenuta sempre peggiore per le molte sue trasmissioni, ci fu bisogno di scritti che ne conservassero la dottrina. Prima non solo non c’era bisogno di "procedimenti anatomici", ma neppure di libri come quelli che, come so, Diocle scrisse per primo, e subito dopo di lui alcuni altri medici antichi, e non pochi dei moderni, che prima ricordavo. Oltre alle altre cose non è neppure chiarito in siffatti libri l’utilità di ciò che vi è scritto, bensì indifferentemente vi è dentro di tutto, sia ciò che è di grande utilità per l’arte, sia ciò che non la completa affatto, neppure di un poco. È dunque meglio, come dicevo, mescolare la dottrina anatomica in quegli stessi libri medici nei quali si è scritto di malattie, di prognosi, di terapie, nello stesso modo in cui, evidentemente, ha fatto Ippocrate.
Galeno, I procedimenti anatomici, II, 1, in Medicorum Graecorum Opera quae extant (editionem curavit K. G. Kühn) vol. II, Lipsiae, prostat in officina libraria Car. Cnoblochii, 1821, pp. 280-282 (citato e tradotto in P. Manuli, Medicina e antropologia nella tradizione antica, Loescher, Firenze 1980, pp. 159-160)