![]() |
Suvvia, come si potrebbe parlare e dire che gli dei esistono
senza sentirsi presi dall’ira? Infatti è inevitabile sopportare a stento e odiare
coloro che sono divenuti per noi la causa di siffatti discorsi e lo divengono
ora, non credendo ai miti che fin da piccolissimi bambini ascoltavano dalle
nutrici e dalle madri quando ancora erano allevati nel latte, miti che venivano
raccontati quasi con parole incantatrici un po’ per gioco un po’ seriamente,
ed essi li ascoltavano anche nelle preghiere congiunte ai sacrifici e vedevano
le visioni che a questi si accompagnavano, spettacoli che il giovane vede con
il più grande piacere quando sono messi in atto durante il sacrificio e con
piacere ascolta, e così vede ed ascolta i suoi genitori, impegnati con estrema
serietà per sé e per loro, parlare agli dei e conversare con le preghiere e
le suppliche presupponendo che gli dei esistono più che ogni altra cosa, e così
ancora tutti i giovani sentono dire e vedono che al sorgere e al tramontare
del sole e della luna tutti i Greci e i barbari si prosternano e si inginocchiano
sia nei giorni in cui sono preda di ogni sorta di sventure sia nei giorni di
fortuna, non come se non ci fossero, ma pensandoli quanto mai esistenti, in
nessun modo sollevando il sospetto che non ci siano dei. Quanti dunque disprezzando
tutto ciò, senza l’appoggio di neppure un solo argomento sufficiente, come direbbero
anche tutti quelli che posseggono anche una piccola parte di intelletto, quanti
ci costringono ora a dire quello che stiamo dicendo, come potrebbe uno esortarli
con parole miti e insieme insegnar loro sugli dei prima di tutto che gli dei
ci sono? Bisogna osare di farlo d’altra parte; non bisogna infatti che insieme
a quelli di noi che divengono pazzi per ingordigia di piaceri, diventino pazzi
altri di noi per lo sdegno contro di loro. Dunque senza animosità vada questa
ingiunzione a coloro che sono così corrotti nel pensiero e diciamo serenamente,
spegnendo l’ira come se parlassimo ad uno di loro per tutti: “Ragazzo, sei giovane,
e il tempo a poco a poco col suo procedere farà sì che molte delle tue opinioni
di ora tu abbia a mutare e divengano per te esattamente contrarie a quello che
sono ora. Attendi dunque quel tempo per ergerti a giudice dei fatti più importanti
e il più importante, anche se tu lo credi ora cosa da nulla, è che si viva o
no una vita onesta pensando correttamente degli dei, e su questo se io
ti indicherò rima di tutto una sola cosa di grande momento non creo che apparirei
mai dire il falso, ed è questa: Non tu da solo sei stato il primo, né lo sono
stati i tuoi amici, ad aver avuto per la prima volta questa opinione sugli dei;
viene sempre ad esserci un certo numero di uomini, più o meno grande, ammalato
della vostra malattia. Ed io ti potrei dire con sicurezza, avendone conosciuti
molti, che non ne ho mai trovato uno che dopo aver fatto propria questa opinione
sugli dei, e cioè che non ci sono, fin da giovane sia vissuto sempre rimanendo
in questo pensiero fino alla soglia della vecchiaia; solo alcuni di loro, ma
non molti, hanno poi conservato in sé le altre due affezioni sugli dei, e cioè
da una parte che gli dei esistono sì, ma sono del tutto incuranti delle cose
umane, e l’altra affezione che segue, e cioè che si occupano si degli uomini
ma sono facili ad essere placati e influenzabili con sacrifici e preghiere.
E se tu credi a me, attenderai che in te possa essersi fatta chiara, il più
possibile, l’opinione che hai sugli dei, analizzando se è così o in un altro
modo, e informandotene dagli altri e specialmente anche dal legislatore; in
questo periodo tu non oserai però commettere alcuna empietà contro gli dei”.
Platone, Leggi, 887c-888d; trad. it. in Platone, Opere, Laterza,
Roma-Bari 1974, vol. 2°, pp. 901-902