Tommaso d’Aquino
La considerazione delle creature istruttiva per la fede

La considerazione delle opere di Dio é necessaria per l’istruzione della fede umana sulle cose di Dio.
Primo, perché dallo studio di ciò che essa ha compiuto, possiamo facilmente volgerci ad ammirare e a considerare la sapienza divina. Le cose infatti che sono prodotte dall’arte rappresentano l’arte medesima, perché eseguite secondo i suoi criteri. Ora, Dio ha dato l’esistenza alle cose con la sua sapienza, secondo le parole dei Salmi (CIII, 24): “Tutte le cose le hai fatte con sapienza”. Perciò dallo studio delle creature possiamo quasi raccogliere la sapienza di Dio, impressa in loro per una certa sparsa comunicazione della sua immagine. Infatti nell’Ecclesiastico (I, 10) si legge: “Sparse la sapienza su tutte le sue opere” . Perciò il Salmista, dopo aver detto (Sal., CXXXVIII, 6 ss.): “Mirabile si è resa in me la tua scienza, essa è tanto alta e io non posso raggiungerla”, e dopo aver accennato all’aiuto dell’illuminazione divina, con la frase, “La notte è la mia luce, ecc.”, aiutato dalla considerazione delle opere di Dio, per conoscere la sapienza divina, confessa apertamente: “Le tue opere sono meravigliose, e ben le conosce l’anima mia” .
Secondo, questa considerazione porta ad ammirare l’altissima virtù di Dio, e quindi produce nel cuore degli uomini la riverenza verso Dio. Infatti la virtù dell’artefice viene concepita necessariamente superiore a quella delle cose prodotte. Di qui le parole della Sapienza (XIII, 4) : “Se costoro”, cioè i filosofi, “hanno ammirato la virtù e gli effetti di queste cose”, cioè del cielo, delle stelle e degli elementi del mondo, “capiscono quanto sia più forte di essi colui che le ha fatte”. E quelle di S. Paolo (Rom., I, 20): “Le cose invisibili di Dio si comprendono mediante le opere da lui compiute, così pure la sua sempiterna virtù e divinità”. Ora, da questa ammirazione deriva il timore e il rispetto verso Dio. Così infatti si esprime Geremia (X, 6, 7): “Grande è il tuo nome in potenza. Chi non ti temerà, o Re delle genti?”.
Terzo, questa considerazione accende gli animi degli uomini all’amore verso la bontà divina. Quanto infatti c’è di bontà e di perfezione sparso nelle diverse creature, è concentrato in lui come nella fonte di ogni bene… Se quindi la bontà, la bellezza e la dolcezza delle creature attira l’animo degli uomini, la bontà fontale di Dio stesso, paragonata ai rigagnoli del bene riscontrato con diligenza nelle singole creature, attirerà totalmente a sé gli animi infiammati degli uomini. Ecco perché nei Salmi (XCI, 5) si legge: “Mi hai allietato, o Signore, nelle cose da te compiute, esulterò nelle opere delle tue mani”. E altrove (XXXV, 9, 10) si legge a proposito dei figli degli uomini: “Saranno inebriati dall’opulenza della tua casa”, ossia di tutta la creazione, “e li disseterai al torrente delle tue delizie: perché in te c’è la fonte della vita”. Inoltre nella Sapienza (XIII, 1) è detto contro certuni : “Dalle cose che si mostrano buone”, cioè dalle creature che sono buone per partecipazione, “non seppero conoscere colui che è”, cioè colui che é veramente buono, anzi la stessa bontà…
Quarto, questa considerazione dà all’uomo una certa somiglianza con la perfezione divina. Sopra infatti abbiamo spiegato che Dio, conoscendo se stesso, conosce in sé tutte le cose. Perciò, siccome la fede cristiana istruisce principalmente l’uomo su Dio, e con la luce della rivelazione divina gli fa conoscere anche le creature, nell’uomo si produce una certa somiglianza della sapienza divina. Di qui l’affermazione paolina (II Cor., III, 18): “Noi tutti però a faccia svelata, quasi mirando in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nell’identica sua immagine”.
È perciò evidente che la considerazione delle creature fa parte dell’istruzione della fede cristiana. Ecco in proposito le parole dell’Ecclesiastico (XLII, 15): “Io mi ricorderò delle opere del Signore, e racconterò quello che ho veduto; per la parola del Signore esistono le sue opere”.

Tommaso d’Aquino, Somma contro i Gentili, UTET, Torino 1975, pp. 268-274

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