Tommaso d'Aquino
Le critiche all'avverroismo

Considerate dunque queste cose, quanto alla tesi che l'intelletto non sia l'anima che è forma del nostro corpo, e nemmeno una sua parte, ma qualcosa di separato secondo la sostanza, resta da considerare il motivo per cui sostengono che l'intelletto possibile sia unico per tutti gli uomini. Se infatti lo dicessero dell'intelletto agente, ciò avrebbe una qualche plausibilità, e molti filosofi l'hanno pensatolo. Nessun inconveniente infatti sembra seguire dall'ipotesi che da un unico agente vengano attuate molte cose, così come da un unico sole sono attivate tutte le potenze visive degli animali per vedere. Sebbene anche questo non sia secondo l'intenzione di Aristotele, il quale pose l'intelletto agente come qualcosa presente nell'anima, per cui lo paragonò alla luce. Platone, invece, che poneva un unico intelletto separato, lo paragonò al sole, come dice Temistio. E' infatti unico il sole, ma molteplici le luci diffuse dal sole allo scopo di vedere. Tuttavia, qualunque cosa sia dell'intelletto agente, dire che l'intelletto possibile è unico per tutti gli, uomini appare impossibile per molte ragioni.
Primo: perché se l'intelletto possibile è ciò per cui intendiamo, è necessario dire o che l'uomo singolare che intende è lo stesso intelletto, oppure che l'intelletto gli inerisce formalmente; non certamente in modo da essere forma del corpo, ma perché è una potenza dell'anima che è forma del corpo. Se qualcuno però dice che uomo singolare è lo stesso intelletto, ne seguirebbe che questo uomo singolo non si distingue da quell'altro uomo singolo, e che tutti gli uomini sarebbero un solo uomo, e non per la partecipazione alla stessa specie, ma come un unico individuo. Se invece l'intelletto inerisce a noi formalmente, come e già abbiamo detto, ne segue che sono diverse le anime dei diversi corpi. Infatti, poiché l'uomo è composto dall'anima e dal corpo, così questo uomo, per esempio Callia o Socrate, è composto da questo corpo e da questa anima. Se però le anime sono diverse e l'intelletto possibile è la potenza dell'anima per la quale essa intende, è necessario che differisca di numero; perché non si può nemmeno immaginare che ci sia una potenza numericamente unica propria di diverse cose. Se qualcuno poi dicesse che l'uomo intende attraverso l'intelletto possibile come attraverso qualcosa di proprio, che tuttavia è una sua parte, non come forma, ma come motore: abbiamo già prima mostratolo che, assunta questa posizione, non si può in alcun modo sostenere che Socrate intenda.
Ma ammettiamo che Socrate intenda per il fatto che l'intelletto intende, sebbene l'intelletto sia solo il motore, così come l'uomo vede per il fatto che l'occhio vede; e, se seguiamo la similitudine, si ponga che ci sia un unico occhio per tutti gli uomini: resta da chiedersi se tutti gli uomini siano un unico vedente, oppure molti vedenti. Occorre considerare, per stabilire la verità a questo proposito, che in un modo si comporta il primo motore, in un altro lo strumento. Se infatti molti uomini usassero il medesimo strumento, uno secondo il numero, si dovrebbe dire che vi sono molti operanti: come, per esempio, quando molti utilizzano una macchina per lanciare o sollevare le pietre. Se invece l'agente principale è uno solo che usa molti strumenti, nondimeno chi opera è uno solo, e forse le operazioni sono diverse, per la diversità degli strumenti; qualche volta però anche l'operazione è unica, anche se sono richiesti molti strumenti. Dunque l'unità dell'operante va considerata non in rapporto agli strumenti, ma in rapporto all'agente principale che utilizza gli strumenti.
Assunta perciò la posizione ora detta, se l'occhio fosse l'agente principale nell'uomo, il quale utilizzasse tutte le altre potenze dell'anima e le parti del corpo come degli strumenti, i molti che possiedono l'unico occhio sarebbero un unico vedente. Se invece l'occhio non fosse l'agente principale dell'uomo, ma ci fosse qualcosa di più importante di esso, che usa l'occhio e che si differenzia nei diversi uomini, ci sarebbero certo molti che vedono, ma grazie ad un unico occhio.
E invece evidente che l'intelletto è ciò che di più importante è presente nell'uomo, e che utilizza tutte le potenze dell'anima e le membra del corpo come organi; per questo Aristotele acutamente afferma che l'uomo è l'intelletto "o soprattutto intelletto". Se dunque esistesse un unico intelletto per tutti, ne seguirebbe necessariamente che c'è un solo essere che pensa, e per conseguenza un solo essere che vuole, e uno solo che utilizza, in conformità all'arbitrio della propria volontà, tutto ciò per cui gli uomini si diversificano tra loro. E da tale posizione seguirebbe ulteriormente che non ci sarebbe alcuna differenza tra gli uomini quanto alla libera scelta della volontà, ma che sarebbe la stessa per tutti, se l'intelletto, presso cui solamente risiedono la prerogativa e il potere di utilizzare tutte le altre cose, fosse unico e indiviso in tutti gli uomini: il che è evidentemente falso e impossibile. Infatti va contro i dati dell'esperienza, e distrugge tutta la scienza morale e tutto ciò che riguarda la convivenza civile, che è connaturale all'uomo, come Aristotele afferma.
Inoltre, se tutti gli uomini intendono con un unico intelletto, comunque si unisca loro, sia come forma, sia come motore, ne consegue per necessità che sia numericamente unico l'intendere di tutti gli uomini, che avvenga simultaneamente e riguardi il medesimo intelligibile: per esempio, se io penso a una pietra e tu pure, è necessario che unica sia l'operazione intellettuale in me e in te. Infatti un medesimo principio attivo, sia esso forma oppure motore, rispetto al medesimo oggetto non può avere se non un'operazione unica di numero, della stessa specie e nello stesso tempo: cosa che è chiara in virtù di ciò che il Filosofo dichiara nel V libro della Fisica. Per cui se ci fossero molti uomini che hanno un unico occhio, la visione di tutti sarebbe una sola rispetto allo stesso oggetto nello stesso tempo. In modo analogo, dunque, se l'intelletto fosse unico per tutti gli uomini, ne seguirebbe che tutti gli uomini che intendono lo stesso oggetto e nello stesso tempo avrebbero un'unica attività intellettiva soltanto; ciò soprattutto per il fatto che nulla di ciò, per cui gli uomini differiscono vicendevolmente, comunicherebbe con l'operazione intellettuale. Infatti i fantasmi sono preamboli all'azione dell'intelletto, come i colori all'azione della vista: perciò l'azione dell'intelletto non potrebbe diversificarsi attraverso la loro diversità, soprattutto nei confronti dello stesso intelligibile; secondo i fantasmi, invece, essi pongono la diversificazione della conoscenza di uno rispetto alla conoscenza dell'altro, in quanto questo uomo intende cose di cui possiede i fantasmi e questo altre cose, di cui possiede i fantasmi. Ma in due soggetti che conoscono ed intendono la stessa cosa, l'operazione intellettuale non può essere diversificata in nessun modo per la diversità dei fantasmi.

Tommaso d'Aquino, Unità dell'intelletto, introduzione, traduzione e apparati di Umberto Ghisalberti, Bompiani, Milano 2000, pp. 145-151

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