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Chi vuol fare una ricerca conveniente sulla costituzione migliore deve precisare dapprima qual è il modo di vita più desiderabile. Se questo rimane sconosciuto, di necessità rimane sconosciuta anche la costituzione migliore, perché è naturale che stiano nel modo migliore quelli che nelle loro reali condizioni si governano nel modo migliore, sempre che non capiti qualcosa di imprevisto. Per ciò bisogna dapprima accordarsi su questo: qual è il modo di vita più desiderabile per tutti, diciamo così, poi, se è lo stesso per la comunità e per gli individui presi singolarmente o diverso. Pensando, dunque, d'aver parlato a sufficienza anche negli scritti essoterici sulla forma di vita migliore, dobbiamo servircene adesso. In verità, riportandoci a una sola distinzione dei beni, dal momento che ce ne sono tre specie, quelli esterni, quelli del corpo e quelli dell'anima, nessuno può dubitare che chi è beato li deve possedere tutti quanti: e infatti nessuno direbbe beato chi non ha neppure un po' di coraggio, né di temperanza, né di giustizia, né di prudenza, ma sta in apprensione per le mosche ronzanti, non indietreggia di fronte a nessuna delle azioni peggiori, se ha brama di mangiare o di bere, tradisce per un quarto d'obolo gli amici più cari e parimenti è così insensato e sviato nell'intelletto come un bambino o un folle. Ma queste cose, quando si dicono, le accetterebbero tutti, mentre poi discordano riguardo alla quantità che desiderano di ogni bene e alla loro relativa superiorità. Così di virtù ritengono sufficiente averne una quantità qualsiasi, di ricchezze, invece, di beni, di potenza, di fama e di tutte le altre cose simili cercano un accrescimento illimitato. Noi diremo a costoro che su tale questione è facile arrivare a una convinzione, fondandosi sulla prova dei fatti, giacché si vede che gli uomini acquistano e mantengono non le virtù coi beni esterni ma questi con quelle, e che la vita felice, consista nel godere o nella virtù o in entrambi, compete maggiormente a quelli che curano in sommo grado il carattere e l'intelletto e hanno un possesso modesto di beni esterni anziché a coloro che possiedono di questi più di quanto non esiga il bisogno e mancano in quelli. Non solo, ma anche a chi lo considera alla luce della ragione, il problema diventa ben comprensibile. I beni esterni hanno un limite, come uno strumento, e ogni cosa utile serve a una cosa determinata: ora una sovrabbondanza di questi necessariamente danneggia o non comporta utilità alcuna a chi li possiede, mentre ciascun bene dell'anima, quanto più è in sovrabbondanza, tanto più è utile, se si deve attribuire a tali beni non solo la bellezza, ma anche l'utilità. Diremo insomma, com'è chiaro, che la disposizione migliore di ciascuna cosa, quando si mettono a confronto le une con le altre, è in rapporto alla superiorità che hanno le cose, alle quali diciamo che quelle disposizioni appartengono. Quindi se l'anima, e assolutamente e rispetto a noi, ha più valore degli averi e del corpo, di necessità la disposizione migliore di ciascuna di queste cose sta nello stesso rapporto che le cose stesse. Inoltre in vista dell'anima queste cose sono naturalmente desiderabili e tutte le persone assennate le devono desiderare, e non invece l'anima in vista di quelle.
Si ammetta dunque di comune accordo che a ognuno tocca tanta felicità quanta virtù, prudenza e attività informata a prudenza e virtù: e ci appelliamo alla testimonianza di dio il quale è felice e beato, ma non per qualche bene esterno, bensì per se stesso e per avere una determinata natura - ed è per questo che necessariamente la buona fortuna è diversa dalla felicità (ché dei beni esterni all'anima causa è il caso e la fortuna, mentre nessuno è giusto o temperante per caso o in forza del caso). Viene di seguito, e in base agli stessi ragionamenti, che lo stato migliore è felice e sta bene: ma è impossibile che stiano bene quelli che non compiono belle azioni: ora nessuna bella azione si dà né di uomo né di stato senza virtù e prudenza; d'altronde il coraggio, la giustizia, la prudenza e la saggezza d'uno stato hanno la stessa forza e la stessa natura di quelle che deve avere un uomo per essere detto valoroso e giusto e prudente e saggio. Queste cose dunque, entro tali limiti, siano il proemio al ragionamento. In realtà non è possibile non toccarle né si possono considerare tutti gli argomenti come si conviene perché sono materia d'un'altra trattazione. Basti ora stabilire questo, che la vita migliore per ciascuno, da un punto di vista individuale, e per gli stati, da un punto di vista collettivo, è quella vissuta con la virtù, provvista di mezzi adatti a compiere azioni virtuose. A quanti poi muovono obiezioni, tralasciandoli per ora durante questa ricerca, si ha da prenderli in considerazione più avanti, se qualcuno per caso non rimane persuaso da quel che si dice.
Aristotele, Politica, 1323 a 13 – 1324 a 4, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1993, vol. 9