Platone
Perché non si può negare l’esistenza degli dei

Suvvia, come si potrebbe parlare e dire che gli dei esistono senza sentirsi presi dall’ira? Infatti è inevitabile sopportare a stento e odiare coloro che sono divenuti per noi la causa di siffatti discorsi e lo divengono ora, non credendo ai miti che fin da piccolissimi bambini ascoltavano dalle nutrici e dalle madri quando ancora erano allevati nel latte, miti che venivano raccontati quasi con parole incantatrici un po’ per gioco un po’ seriamente, ed essi li ascoltavano anche nelle preghiere congiunte ai sacrifici e vedevano le visioni che a questi si accompagnavano, spettacoli che il giovane vede con il più grande piacere quando sono messi in atto durante il sacrificio e con piacere ascolta, e così vede ed ascolta i suoi genitori, impegnati con estrema serietà per sé e per loro, parlare agli dei e conversare con le preghiere e le suppliche presupponendo che gli dei esistono più che ogni altra cosa, e così ancora tutti i giovani sentono dire e vedono che al sorgere e al tramontare del sole e della luna tutti i Greci e i barbari si prosternano e si inginocchiano sia nei giorni in cui sono preda di ogni sorta di sventure sia nei giorni di fortuna, non come se non ci fossero, ma pensandoli quanto mai esistenti, in nessun modo sollevando il sospetto che non ci siano dei. Quanti dunque disprezzando tutto ciò, senza l’appoggio di neppure un solo argomento sufficiente, come direbbero anche tutti quelli che posseggono anche una piccola parte di intelletto, quanti ci costringono ora a dire quello che stiamo dicendo, come potrebbe uno esortarli con parole miti e insieme insegnar loro sugli dei prima di tutto che gli dei ci sono? Bisogna osare di farlo d’altra parte; non bisogna infatti che insieme a quelli di noi che divengono pazzi per ingordigia di piaceri, diventino pazzi altri di noi per lo sdegno contro di loro. Dunque senza animosità vada questa ingiunzione a coloro che sono così corrotti nel pensiero e diciamo serenamente, spegnendo l’ira come se parlassimo ad uno di loro per tutti: “Ragazzo, sei giovane, e il tempo a poco a poco col suo procedere farà sì che molte delle tue opinioni di ora tu abbia a mutare e divengano per te esattamente contrarie a quello che sono ora. Attendi dunque quel tempo per ergerti a giudice dei fatti più importanti e il più importante, anche se tu lo credi ora cosa da nulla, è che si viva o no una vita onesta pensando correttamente degli dei, e su questo se io ti indicherò rima di tutto una sola cosa di grande momento non creo che apparirei mai dire il falso, ed è questa: Non tu da solo sei stato il primo, né lo sono stati i tuoi amici, ad aver avuto per la prima volta questa opinione sugli dei; viene sempre ad esserci un certo numero di uomini, più o meno grande, ammalato della vostra malattia. Ed io ti potrei dire con sicurezza, avendone conosciuti molti, che non ne ho mai trovato uno che dopo aver fatto propria questa opinione sugli dei, e cioè che non ci sono, fin da giovane sia vissuto sempre rimanendo in questo pensiero fino alla soglia della vecchiaia; solo alcuni di loro, ma non molti, hanno poi conservato in sé le altre due affezioni sugli dei, e cioè da una parte che gli dei esistono sì, ma sono del tutto incuranti delle cose umane, e l’altra affezione che segue, e cioè che si occupano si degli uomini ma sono facili ad essere placati e influenzabili con sacrifici e preghiere. E se tu credi a me, attenderai che in te possa essersi fatta chiara, il più possibile, l’opinione che hai sugli dei, analizzando se è così o in un altro modo, e informandotene dagli altri e specialmente anche dal legislatore; in questo periodo tu non oserai però commettere alcuna empietà contro gli dei”.

Platone, Leggi, 887c-888d; trad. it. in Platone, Opere, Laterza, Roma-Bari 1974, vol. 2°, pp. 901-902

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