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Riportiamo, relativamente alla comunicabilità dell’essere, entrambe le versione tramandateci dell’ Intorno al non ente o della natura di Gorgia, una di Sesto Empirico e una, intitolata De Melisso, Xenophane et Gorgia, che forse è opera di un antico peripatetico o di un eclettico del I sec. d. C. Infine si riporta un passaggio tratto da L’encomio di Elena.
[...] se anche si potesse comprendere, sarebbe incomunicabile agli altri. Posto infatti che le cose esistenti sono visibili e udibili, e, in genere, sensibili, quante almeno sono oggetti esterni a noi; e di esse, le visibili sono percepibili per mezzo della vista, e le udibili per l’udito, e non scambievolmente, come dunque si potranno esprimere ad un altro? Poiché il mezzo con cui ci esprimiamo, è la parola; e la parola non è l’oggetto, ciò che è realmente; non dunque realtà esistente noi esprimiamo al nostro vicino, ma solo parola, che è altro dall’oggetto. Al modo stesso dunque che il visibile non può divenire udibile, e viceversa, così l’essere, in quanto è oggetto esterno a noi non può diventar la nostra parola. E non essendo parola, non potrà esser manifestato ad altri. Perché la parola, dice Gorgia, è l’espressione dell’azione che su noi esercitano i fatti esterni, cioè a dire le cose sensibili; per esempio, dal contatto col sapore, ha origine in noi la parola conforme a questa qualità; e dall’incontro col colore, la parola conforme al colore. Posto questo, ne viene che non già la parola spiega il dato esterno, ma il dato esterno dà significato alla parola[NOTA]. E neppure è possibile dire che, a quel modo che esistono oggettivamente le cose visibili e le udibili, così esista anche il linguaggio; sicché, esistendo anch’esso come oggetto, abbia la proprietà di significare la realtà oggettiva. Perché, ammesso pure che la parola sia oggetto, egli dice, tuttavia differisce dagli altri oggetti; e soprattutto differiscono, dalle parole, i corpi visibili; perché altro è l’organo, con cui si percepisce il visibile, ed altro quello, con cui si apprende la parola. Pertanto, la parola non può esprimere la massima parte degli oggetti, così come neppure questi possono rivelare l’uno la natura dell’altro.
Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 83-86 = DK 82 B 3, trad. it. in G. Giannantoni (a cura di), I Presocratici, frammenti e testimonianze, Laterza, Roma-Bari 1993, vol. II pp. 919-920
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[... ] E se anche [le cose] fossero conoscibili, in che modo, egli osserva, uno potrebbe manifestarle ad un altro? quello che uno vede, come, egli si chiede, potrebbe esprimerlo con la parola? o come questo potrebbe divenir chiaro a chi ascolta senza averlo veduto? Come infatti la vista non conosce i suoni, così neppur l'udito ode i colori, ma i suoni; e chi parla, pronunzia, ma non pronunzia né colore né oggetto. Quello dunque di cui uno non ha un proprio concetto, come potrà concepirlo per opera d'un altro mediante la parola o un qualche segno di natura diversa dal fatto, o non dovrà piuttosto, se è un colore, vederlo, se è un rumore, udirlo? Infatti chi parla non usa, per esprimersi, un rumore o un colore, ma una parola; perciò neppure è possibile pensare un colore, ma solo vederlo, né pensare un suono, ma udirlo. E se anche è ammissibile conoscere ed esprimere quello che si conosce, come poi, chi ascolta, potrà immaginare il medesimo oggetto? Ché non è possibile che una stessa cosa sia contemporaneamente in più soggetti, fra di loro separati; ché allora l'uno sarebbe due. E se anche fosse vero, egli dice, che il medesimo oggetto di pensiero si trovasse in più persone, nulla impedisce che non appaia loro uguale, poiché esse non si somigliano in tutto fra loro, né si trovano nella stessa condizione; ché se fossero nell'identica condizione, sarebbero uno e non due. Né poi la stessa persona, evidentemente, prova sensazioni simili nel medesimo tempo, ma altre con l’udito, altre con la vista; e in modo differente ora e in passato. Sicché difficilmente uno potrebbe aver sensazioni uguali a quelle d’un altro.
DK B 3a. De Melisso Xenophane ei Gorgia., (21-25) trad. it. in G. Giannantoni (a cura di), I Presocratici, frammenti e testimonianze, Laterza, Roma-Bari 1993, vol. II p. 929.