Plotino
Le caratteristiche di Dio

Come il molteplice deriva dall’Uno?
Perché l’Uno è ovunque, né c’è luogo ove esso non sia. Egli riempie tutto. Perciò esso riempie il molteplice, o meglio il Tutto. S’egli fosse soltanto ovunque, sarebbe il Tutto, ma poiché egli anche non è in nessun luogo, il Tutto diviene per lui, poiché egli è ovunque, ed è diverso da lui perché egli non è in alcun luogo.
E perché egli non soltanto è ovunque, ma anche non è in nessun luogo? Perché è necessario che l’Uno sia prima del Tutto. È necessario che egli riempia e produca tutto, ma non sia il Tutto che egli produce.
Il Primo è la potenza del movimento e della quiete, perciò è al di là di essi. Il secondo principio è immobile e si muove in relazione al Primo: questo secondo è l’Intelligenza; e poiché si riferisce ad altro da sé, possiede il pensiero, mentre il Primo non possiede il pensiero. L’essere che pensa è duplice, poiché pensa se stesso; ed è deficiente poiché il suo bene consiste nel pensare, non nell’esistere.
Il Primo, che è al di là dell’essere, non pensa; l’Intelligenza è l’essere stesso e in essa sono movimento e quiete. Il Primo non si riporta ad altro, ma le altre cose si riportano a lui, e in lui si riposano cessando il loro movimento e verso di lui si muovono. Il movimento è un desiderio, ma il Primo non desidera nulla: difatti che cosa potrebbe desiderare chi è in cima a tutto?
Non pensa dunque nemmeno se stesso? Forse in generale si afferma che esso, in quanto possiede se stesso, pensi?
Ma possedersi non significa pensare, bensì contemplare il Primo. E poi il pensiero stesso è l’atto primo. Se è il primo atto, non ce ne deve essere un altro prima. Il Primo che lo produce è al di là di esso, sicché secondo dopo di lui viene il pensiero. Non il pensiero è dunque la prima cosa sacra; se mai non lo è qualsiasi pensiero, ma il pensiero del Bene. Il Bene è dunque al di là del pensiero.
Ma così egli non avrà coscienza di se stesso.
E perché avrebbe coscienza di sé? Di essere il Bene o no? Se ha la coscienza di essere il Bene, egli è già il Bene anche prima di averne coscienza; e se questa coscienza lo rende tale, egli non era dunque il Bene prima di quella; sicché tale coscienza di sé non ci sarà, non essendo essa coscienza del Bene.
E che dunque? Nemmeno egli vive?
Non bisogna dire che egli vive, poiché egli dà la vita. Ciò che ha coscienza di sé e pensa se stesso è al secondo posto: esso infatti ha coscienza per unirsi a se stesso con questo atto. E se impara a conoscersi, necessariamente prima si trovava ad essere ignorante di sé e difettoso per la sua stessa natura, e col pensiero poi si perfeziona. Bisogna dunque togliere il pensiero al Primo; questa aggiunta annulla la sua realtà e gli dà un difetto.

Plotino, Enneadi, III, 9, 4, 7, 9; trad. it. Enneadi, Rusconi, Milano 1996, pp. 531-535

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