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Questa natura è dunque per noi unitaria, è Intelligenza; ed è tutti gli altri esseri, è la Verità; e, se è tale, è un grande dio; o meglio, questa realtà; o meglio, questa natura non è un qualche dio, ma è la divinità nella sua pienezza. Questa natura è dio, e si manifesta come dio secondo, prima che vediamo Lui, l’Uno.
Questi troneggia e siede al di sopra dell’Intelligenza come sopra un bel piedistallo che a Lui è sospeso. Se Egli deve incedere, deve incedere non sopra qualcosa di inanimato, e nemmeno direttamente sull’Anima, ma non può non avere n’immensa bellezza davanti a Lui, così come davanti a un grande re procedono, nei cortei, anzitutto i personaggi minori e poi, di seguito, quelli maggiori e, dopo di loro, i dignitari più importanti e quelli che, essendo più vicini al re, sono in un certo senso più regali, e infine coloro che il re onora; dopo tutti costoro appare, all’improvviso, il re stesso nella sua maestà. I presenti, quelli che non sono già partiti dopo essersi accontentati di aver visto il corteo del re, lo venerano e s’inginocchiano davanti a lui.
Quaggiù il re è diverso e diversi sono quelli che incedono davanti a lui; ma il Re di lassù non comanda ad estranei, ma possiede la sovranità più giusta e naturale e il regno vero, poiché Egli è il Re della Verità e signore per natura su tutta la stirpe e su tutta la dinastia. Più giustamente Egli dovrebbe essere chiamato Re dei re e Padre degli dei: Zeus non ne è che un’immagine, anche perché non si accontentò della contemplazione come suo padre ma imitò l’atto del suo avo, affinché l’essenza diventasse esistenza.
Plotino, Enneadi, V, 5, 3; trad. it. Enneadi, Rusconi, Milano 1996, pp. 867-869