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Per l'esposizione delle Scritture ci sono delle norme che, a quanto mi sembra, possono essere presentate validamente a chi si dedica al loro studio. Con esse lo studioso potrà ricavare profitto non solo dalla lettura di quel che scopersero altri nei passi oscuri delle sacre Lettere, ma egli stesso potrà diventarne interprete per altri ancora. Mi sono pertanto deciso a comporre questa trattazione per coloro che vogliono e sono in grado d'apprendere tali norme, e mi auguro che Dio, nostro Signore, non mi neghi nello scrivere i doni che è solito elargirmi allorché penso a tale argomento. Prima d'iniziare la trattazione credo però che sia necessario rispondere a quanti mi muoveranno critiche o me le avrebbero mosse se prima non mi fossi fatto dovere di tacitarli. Che se anche dopo questa premessa ci saranno di quelli che mi muoveranno critiche, essi per lo meno non riusciranno a turbare gli altri né a farli passare da un utile interessamento alla pigrizia, madre d'ignoranza: cosa che avrebbero potuto conseguire se si fossero trovati di fronte a persone indifese e impreparate. A questo nostro lavoro, dunque, alcuni solleveranno critiche per non aver capito le norme che stiamo per impartire. Altri, volendo servirsi di quel che hanno compreso e cercando di esporre le divine Scritture a tenore delle presenti norme, siccome non riescono a scoprire e ad esporre quel che desideravano, si formeranno la convinzione che il mio lavoro è stato inutile e, non essendo loro personalmente aiutati dal presente scritto, lo riterranno inadatto per aiutare qualsiasi altro. C'è poi un terzo gruppo di critici, e sono coloro che o davvero riescono ad esporre bene le Sacre Scritture o, quanto meno, così opinano loro stessi. Senza leggere alcuna delle note che mi accingo a descrivere, sono certi - o almeno così pensano - di saper esporre i Libri sacri e sbraitano che delle presenti norme nessuno ha bisogno; che anzi per tutti i passi oscuri di quei libri che lodevolmente ci si sforza di dilucidare, il risultato si può conseguire con il [semplice] aiuto del dono di Dio. Voglio rispondere brevemente a tutti costoro. E a quelli che non comprendono quanto da me scritto dico questo: non mi rimproverino perché non intendono il libro. Sarebbe come se volessero vedere l'ultima o la prima fase della luna o una qualche stella non troppo lucente. lo sto lì a mostrarle col dito puntato ma essi non hanno la vista nemmeno per vedere il mio dito. Non dovrebbero quindi prendersela contro di me. Poi ci sono coloro che, anche conosciute e penetrate le presenti mie norme, non riescono a penetrare le parti difficili delle Sacre Scritture. Costoro vogliano considerarsi come chi è in grado di vedere il mio dito ma non le stelle per vedere le quali io lo tengo puntato. Ebbene, come quegli altri così anche questi cessino di rimproverarmi; preghino piuttosto perché da Dio sia loro concessa luce agli occhi. Se infatti a me è data facoltà di muovere uno dei miei membri per indicare un oggetto, non mi è data quella di illuminare gli occhi perché penetrino la mia dilucidazione e la cosa che voglio illustrare. […] Un'ultima parola a tutti coloro che si gloriano di comprendere tutte le parti oscure della Bibbia per dono di Dio e senza essere istruiti con norme umane. E' certamente retta la loro opinione quando ritengono che tale facoltà non è risorsa loro, quasi derivata da loro stessi, ma elargita da Dio. E pertanto essi cercano la gloria di Dio e non la propria: leggono e capiscono senza che altri uomini vengano a spiegare. Ma allora perché loro stessi si industriano di spiegare agli altri e non piuttosto li lasciano all'azione di Dio, affinché anch'essi apprendano non tramite l'uomo ma da Dio che li illumina interiormente? Senza dubbio temono di sentirsi dire dal Signore: Servo cattivo, avresti dovuto dare il mio denaro ai banchieri [Mt. 25, 26-27] Come dunque costoro, o scrivendo o parlando, comunicano agli altri le cose comprese, così (la cosa è ovvia) neanche io debbo essere messo sotto processo se paleserò non solo cose da comprendersi ma anche quelle che, una volta comprese, debbono essere praticate. E questo, sebbene nessuno debba ritenere come sua proprietà esclusiva cosa alcuna, ad eccezione forse della falsità. Ogni cosa vera infatti viene da colui che diceva: Io sono la verità [Gv, 14, 6]. Cosa abbiamo infatti che non l'abbiamo ricevuta? E se l'abbiamo ricevuta, perché gloriarci come se non l'avessimo ricevuta?
Agostino, La dottrina cristiana, Prologo, 1-3; 8, trad. it. Città Nuova editrice, Roma 1992, pp.3-9