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MAESTRO - La prima differenza fra le predette divisioni della natura ci parve quella che distingue la natura che crea e non è creata. E non a torto, poiché una tale specie di natura si predica rettamente di Dio solo che è creatore di tutto, ed è, egli, ánarchos, cioè senza principio, perché è la prima causa di tutte le cose che sono state fatte da lui e per lui, e perciò è fine di tutte le cose che derivano da lui. È dunque principio, mezzo e fine. Principio, perché da Lui è tutto ciò che partecipa dell’essere; medio, perché in Lui e per Lui sussistono e si muovono; fine, perché verso di Lui si muovono mentre cercano la quiete del loro moto e la stabilità della loro perfezione.
DISCEPOLO - Credo fermamente e, per quanto mi è dato, comprendo che ciò si può rettamente affermare solo della causa divina di ogni cosa, perché essa sola crea le cose che dipendono da lei, e non è creata da nulla che le sia superiore o la preceda. Essa è infatti la somma e sola causa di tutto ciò che procede da lei e in lei sussiste. Ma vorrei sapere che cosa ne pensi; poiché non è per me piccola difficoltà il trovare detto spessissimo nei libri dei Santi Padri, che si sono sforzati di indagare la natura divina, che essa non solo crea tutto ciò che è, ma è anche creata. Ora se è così, non vedo facilmente come resti saldo il nostro ragionamento. Abbiamo detto infatti che essa crea soltanto e non è creata da nessuno […].
M. - Siamo rimasti d’accordo che per moto della natura divina non si può intendere altro che il proposito della volontà divina di creare ciò che ha da esser creato. Si può dire quindi che la natura divina, che è identica con la volontà divina, sia fatta in tutte le cose. In Dio infatti non si distinguono l’essere e il volere, ma si identificano nella creazione di tutte le cose che a Dio sembra bene creare. Per esempio, se uno dicesse: il moto della volontà divina termina a far essere le cose che sono; crea dunque tutte le cose che trae dal nulla all’essere; ma è pure creata poiché nulla esiste fuori di lei, che è l’essenza di tutte le cose. Infatti, come non vi è nessun bene naturale fuori di Dio, ma tutto ciò che si dice buono è buono per partecipazione dell’unico sommo bene, così ciò che si dice esistere non esiste in se stesso, ma per partecipazione della natura che veramente esiste.
La natura divina, dunque, come risulta da ciò che abbiamo detto prima, è fatta non solo quando il Verbo divino in modo mirabile ed ineffabile nasce in coloro che sono riformati dalla fede, dalla speranza, dalla carità e dalle altre virtù, come dice l’Apostolo a proposito di Cristo: che si è fatto in noi sapienza procedente da Dio, e giustificazione e redenzione; ma anche perché si manifesta – lei invisibile – in tutto ciò che è, non a torto si dice che è fatta. Anche del nostro intelletto, infatti, prima che si faccia pensiero e memoria, non è irragionevole dire che non è, poiché per sé è invisibile, e non è noto ad alcuno, se non a Dio e a noi stessi. Ma quando si esprime in pensieri e dalle immagini apprende una forma, non a torto si dice che nasce (fieri). Diventa infatti memoria, ricevendo certe forme di cose, di parole, di colori e delle altre realtà sensibili, quell’intelletto che, prima di diventar memoria, era informe. Riceve poi quasi una seconda formazione quando si veste di certi segni di immagini e di parole (voglio dire le lettere, che sono segni delle voci, e le figure che sono segni delle forme matematiche) o di altri indizi sensibili mediante i quali può insinuarsi nei sensi di coloro che sentono. Con questo paragone, sebbene sia lontano dalla natura divina, penso si possa far capire come essa, che pur tutto crea e non può esser creata da nessuno, è tuttavia creata in modo mirabile in tutti gli enti che procedono da lei. Come, cioè, l’intelligenza dello spirito, o il proposito o il consiglio, o comunque si chiami quel primo ed intimo nostro moto, non a torto si dice che nasce quando viene in pensieri e riceve certe forme delle immagini e procede ad esprimere i segni delle parole o gli indizi dei moti sensibili (diventa infatti formato nelle immagini quell’intelletto che per sé è privo di ogni forma sensibile), così rettamente si dice creata l’essenza divina, che per sé sussistendo supera ogni intelletto, nelle cose che sono create da lei, per sua virtù, in lei e per lei, affinché in queste cose sia conosciuta da coloro che la cercano con retta intenzione, o col solo intelletto, se si tratta di realtà puramente intelligibili, o col senso se si tratta di cose sensibili.
D. - Di questo mi pare si sia detto abbastanza.
M. - Sì, abbastanza, se non erro.
D. - Ma è necessario ancora che tu mi spieghi perché si dice che la natura divina è soltanto creatrice, e non creata, se, come risulta dai discorsi precedenti, e crea ed è creata. Mi pare infatti che questi discorsi si contraddicano.
M. - Dimostri di esser vigilante, poiché anche questo mi par degno di indagine.
D. - Sì.
M. - Sta attento dunque a ciò che seguirà e prepara lo sguardo della mente a questa breve risposta.
D. - Va pure avanti e ti seguirò attentamente.
M. - Tu non dubiti che la natura divina sia creatrice dell’universo.
D. - Prosegui pure, poiché non è lecito aver dubbi su questo punto.
M. - E ti rendi anche conto con la fede e con l’intelletto che essa non è creata da nessuno.
D. - Nulla è più certo di questo.
M. - Quando dunque senti dire che essa è creata, sei sicuro che è creata da sé, non da altro.
D. - Son sicuro.
M. - E allora? Non è sempre creatrice, o crei se stessa o crei le essenze da lei create? Quando infatti si dice che essa crea se stessa, si intende dire - se si intende rettamente - solo questo che essa crea le nature delle cose. La sua creazione, infatti, ossia il suo manifestarsi in qualche cosa, è il suo sostenere tutte le cose esistenti.
Giovanni Scoto Eriugena, La divisione della natura, I, 73, trad. it. in Grande Antologia Filosofica, IV, Marzorati, Milano 1966, pp. 650-653