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Intero o un tutto si chiama ciò cui non manca nessuna delle parti delle quali si dice che l’intero è per natura costituito.
Intero o un tutto si chiama, anche, ciò che contiene le cose contenute in maniera tale che esse costituiscano una unità. E unità in due sensi: o un’unità come è ciascuna delle parti, ovvero un’unità come risultante dall’aggregato di esse. Nel primo senso è l’universale, e infatti ciò che si predica in universale come un intero o un tutto, è universale come abbracciante molte cose, in quanto si predica di ciascuna e tutte quante sono unità così come lo è ciascuna: uomo, cavallo, dio, per esempio, costituiscono un intero o un tutto in quanto sono, tutti quanti, viventi. Intero o un tutto nel secondo senso è il continuo e il limitato, e si ha quando vi sia una unità costituita da una molteplicità di parti, e, in modo particolare, se queste parti siano presenti solamente in potenza, e, se no, anche se siano presenti in atto. Fra queste cose, quelle naturali costituiscono un intero o un tutto a più forte ragione che non quelle prodotte dall’arte, come dicemmo anche a proposito dell’unità, in quanto l’intero o il tutto è un certo tipo di unità.
Inoltre, poiché la quantità ha un principio, un mezzo ed un estremo, allora quelle quantità nelle quali la posizione delle parti non produce differenza si dicono un ‘aggregato’, invece quelle nelle quali la posizione delle parti produce differenza si dicono ‘un intero o un tutto’, quelle, infine, in cui possono verificarsi ambedue queste caratteristiche si dicono sia un aggregato sia un intero o un tutto. Di quest’ultimo tipo sono quelle cose la cui natura permane identica anche se si traspongono le loro parti, mentre non rimane identica la figura, come, per esempio, la cera ed il vestito; queste cose sono dette dunque sia un aggregato sia un tutto o intero, perché hanno ambedue queste caratteristiche. L’acqua e i liquidi ed il numero si dicono un aggregato: infatti, né il numero né l’acqua si dicono un tutto o un intero, ma l’intera acqua e l’intero numero si dicono solamente per traslato. E quelle cose, delle quali si dice che sono un aggregato quando si considerino come una unità, si diranno un aggregato anche quando si considerino come una unità, si diranno un aggregato anche quando si considerino come divise: per esempio, l’aggregato di questo numero è l’aggregato di queste unità. (tr. leggermente modificata: aggregato invece di insieme)
Aristotele, Metafisica, Libro V, 1023 b 26 - 1024 a 10, trad. di G. Reale, Loffredo, Napoli 1978
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Mutilo si dice di cose che sono quantità, ma non una qualsiasi
quantità, bensì solo una quantità che, oltre che essere divisibile, costituisca
un intero. Il numero due, infatti, non è mutilo se gli si toglie
una unità, perché la parte che vien tolta con la mutilazione non è mai uguale
alla parte restante. In generale, nessun numero è mutilo: infatti, perché una
cosa sia mutila è necessario che non muti la sua essenza: se una coppa è mutila
è necessario che sia ancora una coppa, invece, il numero non rimane più lo stesso.
Inoltre, neppure le cose che constano di parti dissimili si dicono tutte mutile:
infatti, il numero può anche avere parti dissimili, come il due e il tre. E,
in generale, nessuna delle cose nelle quali la posizione delle parti non produce
differenza - come per esempio l’acqua e il fuoco - può essere mutila: per essere
mutile le cose devono essere tali da avere una determinata disposizione delle
parti in virtù della loro stessa essenza.
Inoltre, devono essere continue: infatti l’armonia, che è costituita da toni dissimili che hanno una posizione, non può diventare mutila.
Inoltre, non tutte quelle cose che sono degli interi diventano mutile per la privazione di una parte qualsiasi: è necessario che queste non siano le parti principali della sostanza né parti che si trovano in un qualsiasi punto della cosa. Per esempio, se una tazza è bucata non si dice mutila per questo, ma si dice mutila solo se sia stato asportato il manico o un pezzo di bordo. E un uomo non si dice mutilato se non ha un pezzo di carne o la milza, ma se non ha una estremità: e non può neppure trattarsi di una qualunque estremità, ma solo di una estremità che, una volta tolta per intero, non può più riprodursi. Per questo, i calvi non sono mutili.
Aristotele, Libro V, 1024 a 11 - 29, tr. di G. Reale, Loffredo, Napoli 1978