Guglielmo di Ockham
La definizione del tempo

Ci si interroga se, nell’intenzione di Aristotele e di Averroè, la proposizione “il tempo è il moto” sia vera. Sembra di no: Averroè, nel commento al IV libro della Fisica, afferma che il tempo è un accidente del moto e naturalmente segue il moto; poiché nulla è accidente di se stesso né segue se stesso, dunque il tempo non è il moto.
Al contrario: secondo Aristotele il tempo è la misura del moto; siccome un unico moto realmente ed egualmente misura ogni altro moto, dunque il tempo è il moto.
Alla questione rispondo in breve affermativamente: la prova sta nel testo di Aristotele, IV libro della Fisica, capitolo sul tempo, dove indaga la definizione di tempo e dice che il tempo è qualcosa del moto. Egli lo prova dal fatto che è impossibile rappresentarsi il tempo senza il movimento, perché sono consequenziali questi due asserti: "Questi si rappresenta il tempo, dunque si rappresenta il moto", mentre non vale l’inverso. Siccome il tempo non è un accidente che inerisce al moto, come si vedrà in seguito, dunque il tempo è il moto. E sono convinto che questa è l’intenzione di Aristotele.
[…] Ci si interroga se il tempo sia un moto nell’anima ossia un moto immaginato.
Sembra di no: il tempo è un’affezione reale extramentale, dal momento che è un’affezione dell’ente reale extramentale; dunque non è nell’anima.
Al contrario: mediante il moto immaginato misuriamo i movimenti esteriori, dunque il tempo è nell’anima.
Alla questione rispondo in breve affermativamente, per la seguente ragione: attraverso un concetto dell’anima, anche se nulla nella realtà extramentale si muovesse, il soggetto può in qualche modo conoscere e misurare come una cosa duri più di un’altra. Infatti, anche se attualmente non vi fosse alcun movimento al di fuori dell’anima e tuttavia questa conoscesse delle realtà extramentali di cui rilevasse che l’una è prima dell’altra, l’anima potrebbe conoscere che una cosa ha avuto una durata maggiore dell’altra, conoscendo che se un mobile fosse stato mosso, l’una cosa sarebbe coesistita ad un moto maggiore di quello cui sarebbe coesistita l’altra. Di conseguenza il concetto con cui l’anima conosce in questo modo potrebbe chiamarsi tempo. Ma il concetto con cui l’anima numera le cose extramentali si chiama numero, e alla stessa stregua anche l’artefice esperto di geometria attraverso una quantità immaginata è subito in grado di conoscere la quantità di una cosa extramentale.
Similmente un cieco dalla nascita mediante un moto immaginato misura il moto del sole e degli altri corpi. A proposito di questo moto Averroè dice, nel commento, che noi percepiamo il tempo solo quando nella nostra anima c’è moto e quando percepiamo di esistere calati in un’esistenza mutevole.

Guglielmo di Ockham, Quaestiones in libros Physicorum, q. 41 e q. 44; trad. it. in Guglielmo di Occam, Scritti filosofici, Nardini, Firenze 1991, pp. 198-200

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