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Come uno può guarire in duplice modo, o con la sola opera della natura, o con la natura aiutata dai medicinali, così vi è anche un doppio modo di acquistare scienza: uno quando la ragione naturale da sé giunge alla conoscenza delle cose ignote, e questo modo si chiama invenzione; l’altro quando la ragione naturale viene aiutata da qualcuno al di fuori e questa maniera si chiama disciplina […]. Il docente convince alla scienza di cose ignote allo stesso modo che uno, scoprendo, conduce sé alla conoscenza di quanto non sa. Per tanto il processo della ragione per giungere alla conoscenza dell’ignoto per via di invenzione consiste nell’applicare principi comuni per sé noti a determinate materie e di qui passare ad alcune conclusioni particolari, e da queste ad altre: perciò, secondo questo aspetto, si dice che uno insegna ad un altro in quanto con parole gli presenta quel discorso razionale che fa in se stesso con la ragione naturale dello scolaro mediante le nozioni presentate in quel modo, quasi fossero strumenti, giunge alla conoscenza di cose ignote.
Ci è vietato di chiamare maestro un uomo nel senso di attribuirgli la prerogativa specifica del magistero divino, quasi riponessimo ogni speranza nella sapienza degli uomini anziché consultare la Verità divina, la quale parla in noi mediante l’impronta della sua somiglianza, colla quale possiamo giudicare ogni cosa.
La conoscenza dei principi, non già la conoscenza dei segni, fa giungere alla scienza delle conclusioni. Ogni insegnamento si basa su una conoscenza preesistente […] L’elemento primo efficiente della scienza non è dato dai segni, ma dalla ragione che passa dai principi alle conclusioni
Non si afferma che l’insegnante trasmette la scienza allo scolaro quasi debba passare nel discepolo quella stessa unica scienza che si trova nel maestro, ma che attraverso l’insegnamento sorge nello scolaro una scienza simile a quella che si trova nel maestro, tradotta dalla potenza all’atto, come già si è detto.
L’uomo insegna la verità quantunque la presenti solo dall’esterno, mentre all’interno insegna Dio S. Agostino nel suo De magistro, affermando che solo Dio insegna, non intende escludere che l’uomo insegni dall’esterno, ma soltanto che l’uomo insegni dall’interno.
L’uomo può chiamarsi veramente e propriamente maestro ed insegnante e illuminatore della mente, non perché infonda il lume alla ragione, ma in quanto conduce il lume della ragione alla perfezione della scienza mediante quelle cose che suggerisce dall’esterno […]
Vi è una doppia sapienza, cioè una sapienza creata e una increata, ed entrambe vengono infuse nell’uomo, e dalla loro infusione l’uomo può mutare in meglio perfezionandosi. La sapienza increata non è mutabile; quella creata invece muta in noi per accidens, non per sé […]
Le forme intelligibili di cui è costituita la scienza ricevuta per dottrina vengono presentate mediante l’insegnamento, immediatamente per mezzo dell’intelletto agente, e mediatamente per mezzo di colui che insegna…
Non sussiste l’analogia tra intelletto e la vista corporea […] Il maestro eccita l’intelletto a conoscere ciò che insegna come motore essenziale che conduce dalla potenza all’atto; mentre, indicando qualche cosa alla vista corporea, la eccita come motore accidentale […]
Quindi il maestro conduce il discepolo dalla cognizione di ciò che sa a ciò che non sa, secondo quanto è detto nel libro primo degli Analitici Posteriori, che "ogni dottrina e ogni disciplina derivano da una cognizione precedente". Infatti il maestro conduce lo scolaro da ciò che sa alla cognizione di ciò che non sa in due modi. Anzi tutto proponendogli alcuni mezzi o strumenti dei quali il suo intelletto si serve acquistare scienza; per es. quando gli; per esempio quando gli propone alcune proposizioni meno universali, che peraltro il discepolo può giudicare dalle nozioni già possedute, oppure quando gli propone alcuni esempi sensibili, o somiglianti od opposti, od altri simili, dai quali l’intelletto del discepolo è condotto, quasi con mano, alla conoscenza della verità ignota. In un secondo modo quando conforta l’intelletto del discepolo, non già con qualche virtù attiva, quasi di natura superiore, come fu detto più su intorno alla illuminazione da parte degli angeli: poiché tutti gli intelletti umani sono, nell’ordine naturale, di un solo grado; ma in quanto propone allo scolaro l’ordine dai principi alle conclusioni, perché egli non avrebbe da sé una così gran de attività sintetica da poter ricavare i principi dalle conclusioni.
Tommaso d'Aquino, Le questioni disputate, Volume secondo, La verità, Questione XI, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992