Tommaso d'Aquino
La completa adesione al pensiero di Aristotele

L'oggetto proprio dell'intelletto umano è la natura o quiddità del reale sensibile, non separata, cioè, dalla realtà sensibile. Onde, ciò che costituisce l'oggetto del nostro intelletto non è qualche cosa esistente fuori delle realtà sensibili, come pretendevano i platonici, ma in quelle esistente; sebbene però l'intelletto apprenda tali quiddità in un modo diverso (cioè astratto) da quello in cui si trovano nelle cose o dati sensibili. Infatti, non le apprende con tutte le loro condizioni individuanti cui sono legate nella realtà sensibile. E ciò senza pregiudizio della verità: non si vede, peraltro, nessuna difficoltà che si possa apprendere un dato senza un altro, sebbene siano entrambi uniti. La vista coglie il colore, e non già il sapore (d'una mela) sebbene colga insieme la grandezza (che è un sensibile comune) in quanto è il soggetto del colore. Così l'intelletto può cogliere l'essenza (o la forma del reale) senza le note individuali, non senza però la materia dalla quale dipende la ragion d'essere della forma stessa: a quel modo che non si può intendere il naso adunco il "simo" senza il naso, quantunque si possa intendere il " curvo ", " l'adunco ", senza il naso.

Tommaso d'Aquino, Commentario al De Anima di Aristotele, libro 3, lezione 8, paragrafo 717, traduzione di Guglielmo Calà Ulloa in in Grande antologia filosofica, a cura di Umberto Antonio Padovani, Marzorati, Milano 1954, vol. 4, tomo 1, p. 972


L'oggetto proprio dell'intelletto non è qualsiasi ente o vero, ma l'ente e il vero considerati nelle realtà materiali e dai quali può assurgere al conoscimento degli altri enti e veri.

Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, q. 87 a. 3, ad 1, traduzione di Guglielmo Calà Ulloa in Grande antologia filosofica, a cura di Umberto Antonio Padovani, Marzorati, Milano 1954, vol. 4, tomo 1, p. 973


L'intelletto umano, invece, è qualche cosa di intermedio tra il potere sensitivo e quello angelico: il suo intendere non è un atto di un qualche organo, e tuttavia è un'energia o potenza dell'anima, la quale è però forma del corpo. Per conseguenza è proprio dell'intelletto umano conoscere la forma della natura corporea esistente nella sua individualità, ma non già in quanto si trova, in tale materia.

Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, q. 85 a. 1, c., traduzione di Guglielmo Calà Ulloa in Grande antologia filosofica, a cura di Umberto Antonio Padovani, Marzorati, Milano 1954, vol. 4, tomo 1, p. 973


Se non che, Aristotele si attenne ad una via di mezzo; ammise con Platone che l'intelletto si differenzia dal senso, ma insieme ritiene che, il senso non ha una sua propria operazione indipendente, e che la sensazione non è un atto della sola anima ma del sinolo di anima e corpo. Quindi, concordando in questo con Democrito, ammise che le percezioni d'ordine sensitivo vengono causate dalle impressioni dei sensibili nel senso, non a modo d'effusione, come pensava Democrito, ma mediante una certa operazione. Viceversa Aristotele ritenne che l'operare dell'intelletto fosse indipendente dall'organo corporeo. Nessun corpo infatti, può agire sull'incorporeo; per conseguenza per avere l'operazione intellettuale disse che non era sufficiente la sola impressione dei dati sensibili, ma occorreva qualche cosa di più nobile; perché l'agente è più nobile del paziente [...] e tale agente superiore è l'intelletto agente che ha l'ufficio di rendere intelligibili in atto, a mezzo dell'astrazione, i fantasmi provocati dai sensi.
Da parte, dunque, dei fantasmi, l'operazione intellettuale è causata dai sensi; ma poiché i fantasmi non sono sufficienti ad agire " immutando " l'intelletto passivo, dovendo essere resi intelligibili in atto dall'intelletto agente, non si può dire che la cognizione sensibile sia la totale e perfetta causa della conoscenza intellettuale, ma piuttosto la materia della causa (ossia, è la ragione che giustifica l'intervento della vera causa del conoscere che è l'operazione astrattiva dell'intelletto agente).

Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, 1, q. 84, a. 6, c., traduzione di Guglielmo Calà Ulloa in Grande antologia filosofica, a cura di Umberto Antonio Padovani, Marzorati, Milano 1954, vol. 4, tomo 1, pp. 976-7


Le essenze, le nature o forme delle realtà sensibili, oggetto del nostro conoscere, non sono intelligibili in atto. Peraltro nulla può passare dallo stato di potenza all'atto se non mediante un principio in atto a quel modo che il senso è reso in atto dal sensibile in atto. Bisogna, dunque, necessariamente porre nell'intelletto una virtù, una luce, che renda gli intelligibili in atto, mediante l'astrazione delle specie o forme dalle condizioni materiali.
E di ciò facciamo continuo esperimento, (ne abbiamo cioè, continua esperienza) sempre che percepiamo l'astrarre delle forme universali dalle condizioni particolari, il che è precisamente fare o rendere gli intelligibili in atto. Ecco perché è necessario porre che tale virtù, principio di tale azione, sia qualche cosa appartenente all'anima [...] ragion per cui Aristotele rassomiglia l'intelletto agente alla luce che è accolta, ricevuta nell'aria.

Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, 1, q. 79, a. 3, c., traduzione di Guglielmo Calà Ulloa in Grande antologia filosofica, a cura di Umberto Antonio Padovani, Marzorati, Milano 1954, vol. 4, tomo 1, p. 977

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