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E’ necessario che le potenze appetitive corrispondano a quelle conoscitive, come si è detto sopra. Ora, lo stesso rapporto che nella conoscenza intellettiva esiste tra l'intelletto e la ragione esiste anche nell'appetito intellettivo tra la volontà e il libero arbitrio, il quale non è altro che la facoltà di scelta. E la cosa appare evidente dalle relazioni esistenti tra gli oggetti e gli atti. Infatti l'intellezione indica la semplice apprensione immediata di una cosa: per cui si dice che propriamente sono oggetto d'intellezione i princìpi per sé noti, senza illazione. Invece ragionare significa propriamente passare da una conoscenza a un'altra: per cui il ragionamento riguarda a tutto rigore le conclusioni raggiunte mediante i princìpi. Parimenti, per quanto riguarda l'appetito, il volere indica l'immediata e semplice appetizione di una cosa: quindi si dice che la volontà ha per oggetto il fine, il quale è voluto per se stesso. Scegliere invece è desiderare una cosa in vista di un'altra: perciò in senso proprio la scelta ha per oggetto le cose che portano al fine. Ora, il rapporto esistente nel campo della conoscenza tra il principio e le conclusioni a cui diamo l'assenso in forza dei princìpi è analogo a quello esistente nel campo appetitivo tra il fine e le cose che conducono al fine, e sono volute in ordine al fine. E’ dunque evidente che come l'intelletto sta alla ragione, così la volontà sta alla facoltà di scelta, cioè al libero arbitrio. Ma sopra abbiamo visto che l'intendere e il ragionare spettano alla medesima potenza, come alla medesima potenza spettano la quiete e il moto. Spetteranno quindi alla medesima potenza il volere e lo scegliere. Quindi la volontà e il libero arbitrio non sono due potenze, ma una sola.
Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, Volume primo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1996, I, q. 83, a. 4, p. 748