Platone
La conoscenza inadeguata dell’Idea del bene

Tu ricordi, dissi, che dopo aver distinto tre parti nell’anima, abbiamo determinato per via di confronti che cosa fossero rispettivamente la giustizia, la temperanza, il coraggio e la sapienza. - Se non ricordassi, rispose, mi meriterei di non udire il resto. - Ricordi anche quello che si era detto prima? - Che cosa? - Dicevamo che per arrivare a contemplarle meglio che fosse possibile ci sarebbe voluto un altro giro più lungo e che, quando l’avessimo compiuto, esse sarebbero apparse evidenti; ma che intanto sarebbe stato possibile riallacciare ai discorsi già fatti dimostrazioni da questi derivate. E voi avete dichiarato che poteva bastare, e così l’esposizione di allora venne fatta, a mio parere, senza esattezza; ma se ne siete stati soddisfatti, potrete dirlo voi stessi. - Per me, fece, è stata una esposizione misurata; e così è certo sembrata anche agli altri. - Ma, mio caro, ripresi, non è giusta una misura di tali cose se lascia fuori una parte qualsiasi di ciò che è. Perché cosa imperfetta non è misura di nulla; ma talvolta taluni di primo acchito la credono sufficiente e pensano che non occorra cercare nulla di più. - Certamente, risposi, molti si trovano in questa condizione per indolenza. - Però, feci io, un guardiano dello stato e delle leggi non deve assolutamente trovarvisi. - E’ naturale, disse. - Un tale uomo, amico mio, ripresi, deve quindi percorrere il giro più lungo e affaticarsi nello studio non meno che nella ginnastica. In caso diverso, come dicevamo or ora, non verrà mai a capo di quella disciplina che è la più sublime e la più atta a lui. - Non sono dunque queste le discipline maggiori? chiese. Ce n’è ancora qualcuna maggiore della giustizia e di quelle virtù che abbiamo citate? - Anche una maggiore, risposi io; e di queste stesse virtù dobbiamo non limitarci, come facciamo adesso, a contemplare la linea generale, bensì non trascurarne la più perfetta realizzazione. Non è ridicolo fare di tutto perché cose da poco siano le più esatte e pure possibili, e giudicare le maggiori indegne della maggiore esattezza? - Certamente, disse (il concetto è degno). Ma veniamo a quella che tu dici la massima disciplina e al suo oggetto. Credi che ti si potrà lasciar andare, continuò, senza chiederti che cosa è? - No certamente, feci io, ma chiedilo pure. Comunque ne hai sentito parlare non di rado: adesso o non ci rifletti oppure mediti di crearmi delle noie con le tue obiezioni. E inclino piuttosto a questa seconda supposizione, poiché hai sentito dire spesso che oggetto della massima disciplina è l’idea del bene; è da essa che le cose giuste e le altre traggono la loro utilità e il loro vantaggio. E pressappoco tu sai ora che voglio dire questo, e inoltre che di essa non abbiamo una conoscenza adeguata; ma se non ne abbiamo conoscenza, anche ammesso che conoscessimo perfettissimamente tutto il resto senza di questa, vedi bene che non ne ritrarremmo alcun giovamento, come non lo ritrarremmo se possedessimo una cosa senza il bene. Credi che ci sia vantaggio a possedere una qualunque cosa, se non è buona? o a intendere tutto ad eccezione del bene, senza intendere per nulla il bello e il bene? Per Zeus!, rispose, io no.

Platone, Repubblica, 504 a – 505 b, da Opere complete, Laterza, Roma-Bari 1980

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