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Siamo ormai in grado di rispondere alle quattro domande formulate [da Abelardo sulla questione degli universali]. I generi e le specie esistono, cioè designano delle cose realmente esistenti, o dei semplici oggetti d'intellezione? Per se stessi essi non esistono che nell'intelletto "in intellectu solo et nudo et puro", ma essi significano degli esseri reali, e cioè le cose stesse particolari che i termini particolari designano. Notiamo questa conclusione la cui importanza diventerà capitale nel XIV secolo: la sola realtà significata dai termini generali è quella che significano i termini particolari; non c'è di più in "uomo" che in "Socrate", piuttosto di meno. Seconda domanda: gli universali sono corporei o incorporei? Per il senso che può avere si dovrà rispondere: come nomi, gli universali sono corporei, poiché la loro natura è quella delle parole pronunciate, ma la loro attitudine a significare una pluralità di individui simili è incorporea; le parole sono dunque dei corpi, il loro significato no; esse sono, dice Abelardo, "incorporea quantum ad modum significationis". Terza domanda: gli universali esistono nelle cose sensibili o al di fuori di esse? Gli incorporei sono di due tipi: quelli che esistono al di fuori del sensibile, come Dio e l'anima, e quelli che esistono nel sensibile, come le forme dei corpi. In quanto designano delle forme di quest'ultimo tipo, gli universali sussistono nei sensibili, ma in quanto le designano come separate dai sensibili per astrazione, essi sono al di là del sensibile. Abelardo ritiene che si possano conciliare Platone e Aristotele, perché Aristotele dice che le forme non esistono che nel sensibile, il che è vero, ma Platone, l'"indagatore della fisica", dice che queste forme conserverebbero la loro natura anche se non cadessero più sotto i nostri sensi, il che è egualmente vero. Quarta domanda: gli universali sussisterebbero ancora senza individui corrispondenti? Come nomi significanti gli individui essi cesserebbero di esistere, poiché non avrebbero più degli individui da significare; tuttavia i loro significati sussisterebbero ancora, perché, anche se non ci fossero più rose, si potrebbe ancora dire: la rosa non esiste.
E. Gilson, La philosophie au moyen age, Payot, Paris 1952, trad. it. La filosofia nel medioevo, La Nuova Italia, Firenze 1973, pp. 347-8