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1. Questa cosa dunque esiste in modo così vero ché non si può pensare che non esiste. Infatti si può pensare che esista qualcosa che non si può pensare non esistente; ma questo è maggiore di ciò che si può pensare non esistente. Dunque, se ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore può essere pensato non esistente, ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore non è ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore. E ciò è contraddittorio. Dunque qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore esiste in modo così vero che non si può pensare non esistente.
2. E questo sei tu, o Signore Dio nostro. Dunque tu, o Signore Dio mio, esisti in modo così vero, che non puoi essere pensato non esistente. E a buon diritto. Se infatti una qualche mente potesse pensare qualcosa migliore di te, una creatura si eleverebbe sopra il creatore e giudicherebbe il creatore. E ciò è troppo assurdo.
Di fatto tutte le altre cose esistenti, eccettuato te solo, possono essere pensate non esistenti. Tu solo dunque hai l’esistenza nel modo più vero e maggiore di ogni altra cosa, poiché ogni altra cosa non esiste in modo così vero e perciò ha una minore esistenza.
3. Perché dunque "l’insipiente ha detto in cuor suo: “Dio non esiste”", quando è così evidente alla mente razionale che tu esisti più di ogni altra cosa? Perché, se non perché è stolto e insipiente?
IN CHE MODO PUÒ L’INSIPIENTE AVER DETTO IN CUOR SUO CIÒ CHE NON PUÒ ESSERE PENSATO
1. Ma in che modo può aver detto in cuor suo ciò che non poteva pensare? O in che modo non poteva pensare ciò che ha detto in cuor suo, quando "dire nel cuore" e "pensare" sono la stessa cosa?
2. Se poi veramente lo ha pensato, anzi poiché veramente lo ha pensato avendolo detto in cuor suo, e contemporaneamente non lo ha detto in cuor suo, poiché non poteva pensarlo, allora non vi è un solo modo con cui si dice nel proprio cuore o si pensa qualcosa.
3. In un modo infatti una cosa è pensata, quando si pensa la voce che significa questa cosa, e in altro modo quando si intende ciò che propriamente è questa cosa. Nel primo modo si può pensare che Dio non esiste; ma nel secondo modo no. Certamente nessuno che intenda ciò che è Dio può pensare che Dio non esiste, anche se egli dice in cuor suo queste parole senza dar loro alcun significato o dando loro un diverso significato. Dio è infatti ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore. Chi intende bene questo, intende anche che egli esiste in modo tale che egli nemmeno nel pensiero può non esistere. Chi dunque intende che Dio così esiste, non può pensare che egli non esiste.
4. Ti ringrazio, o buon Signore, ti ringrazio, poiché ciò che per tuo dono prima ho creduto, ora, essendo da te illuminato, lo intendo anche con la mia mente in modo così chiaro che, anche se io non volessi credere che tu esisti, non potrei non intenderlo.
Anselmo d’Aosta, Proslogion, capp. II-IV, trad. it. Rizzoli, Milano 1992, pp. 81-93
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Le obiezioni di Gaunilone
1. A ciò si aggiunga quanto si è sopra accennato, ossia che, come non posso,
dopo averlo udito, pensare né avere nell’intelletto questo ente (che è più grande
di tutte le cose che si possono pensare e che è detto non potere essere altro
che lo stesso Dio) nello stesso modo in cui penso o ho nell’intelletto una cosa
che conosco nella sua specie o nel suo genere, così non posso pensare o avere
nell’intelletto lo stesso Dio, che pertanto proprio per questo motivo posso
pensarlo anche non esistente.
2. Non conosco, infatti, che cosa sia quest’ente in se stesso né posso formarmene un’idea da qualcosa che gli sia simile, poiché tu stesso lo asserisci tale che nessuna cosa gli può essere simile. Infatti se udissi dire qualcosa di un uomo a me del tutto sconosciuto, di cui ignorassi la stessa esistenza, potrei pensarlo nella sua realtà di uomo mediante quel concetto speciale o generale per cui conosco che cosa sia un uomo o che cosa siano gli uomini. E tuttavia potrebbe accadere che il mio interlocutore mentisse e che quell’uomo da me pensato non esistesse, tuttavia io lo penserei in una vera realtà, che non è quell’uomo individuo, ma l’uomo in generale.
3. Quando sento dire "Dio" o "l’ente più grande di tutte le cose", non posso dunque averlo nel pensiero o nell’intelletto così come avrei nel pensiero o nell’intelletto la falsa conoscenza di quell’uomo, poiché quello posso pensarlo in una realtà vera e a me nota, ma Dio non posso pensarlo se non per la parola; e per la sola parola a mala pena o per nulla può pensarsi qualcosa di vero, poiché, se davvero si pensa così, non tanto è pensata la parola stessa, che è una realtà in sé vera essendo il suono delle lettere o delle sillabe, quanto è pensato il significato della parola udita; ma non è pensata così come è pensata da colui che sa che cosa sia solito essere significato da quella parola e pertanto da costui è pensata secondo una realtà anche se vera solo nel pensiero, ma è pensata come è pensata da colui che non sa il significato solito della parola e pertanto la pensa solo per il sentimento dell’animo causato dall’audizione di quella parola e tenta di immaginarsi il significato della parola udita. E sarebbe un miracolo se mai potesse giungere alla verità della cosa.
4. Chiaramente, dunque, così e non altrimenti ho nel mio intelletto questo ente quando sento e intendo uno che dice che vi è un ente più grande di tutte le cose che si possono pensare.
5. E ciò si è detto a proposito dell’affermazione secondo cui quella somma natura sarebbe già nel mio intelletto.
1. Alla dimostrazione poi che essa necessariamente, esiste nella realtà, poiché, se non esistesse, qualsiasi ente reale sarebbe più grande di lei e perciò essa non sarebbe più l’ente più grande di tutte le cose, che si è già dimostrato essere nell’intelletto, rispondo: se si deve dire che è nell’intelletto ciò che non può essere pensato sul modello di nessun ente reale, non negò che questo ente in un qualche modo è nel mio intelletto.
Ma poiché da questo essere nell’intelletto non si può affatto concludere che sia anche nella realtà, certamente non gli concedo l’esistenza reale, fino a quando ciò non mi sia dimostrato con un argomento inconfutabile.
2. Se qualcuno mi dice che questo ente deve esistere, poiché altrimenti questo ente, che è più grande di tutte le cose, non sarebbe più grande di tutte le cose, costui non sufficientemente bada a chi sta parlando. Infatti io non ammetto ancora, anzi nego o dubito, che quell’ente sia maggiore di ogni cosa vera, e non gli concedo altro essere che quello, se si può dire,"essere", che si ha quando l’animo tenta di immaginarsi una cosa del tutto sconosciuta solo per il fatto che ha sentito delle parole.
3. In che modo, dunque, mi si può dimostrare che questo ente, più grande di tutte le cose, esiste nella realtà, poiché è noto che esso è più grande di tutte le cose, quando io, finora, nego o dubito ancora che ciò sia noto, al punto che non ammetto che questo ente più grande di tutte le cose sia nel mio intelletto o nel mio pensiero nemmeno in quel modo in cui esistono molte cose dubbie e incerte?
4. Infatti prima devo essere certo che questo ente più grande di tutte le cose sia in modo reale e vero in qualche parte, poi, finalmente, per il fatto che è più grande di tutte le cose, sarei certo che egli sussiste anche in se stesso.
Le risposte di Anselmo
1. Tu (chiunque tu sia che dici che un insipiente può dire queste cose)
dici che ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore non è nell’intelletto
in modo diverso dall’ente che non può nemmeno essere pensato secondo la verità
di una qualunque cosa; e tu dici che l’esistenza nella realtà di questo ente,
che io dico "ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore", non si deduce
dal fatto che esiste nell’intelletto in modo più valido di quanto si deduce
l’esistenza certissima dell’"Isola Perduta" dal fatto che, quando è descritta
con le parole, chi ascolta non dubita che essa è presente nel suo intelletto.
2. Io invece dico: "Se “ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore” non è inteso o pensato né è nell’intelletto o nel pensiero, allora certamente Dio non è “ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore” né è inteso né è pensato né esiste nell’intelletto o nel pensiero". Quanto questo conseguente sia falso, me lo provano in modo del tutto certo la tua fede e la tua coscienza. Dunque "ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore" è veramente inteso e pensato ed è nell’intelletto e nel pensiero. Dunque o le cose con cui ti sforzi di dimostrare il contrario non sono vere oppure da esse non segue ciò che tu supponi di poter concludere.
3. Inoltre tu credi che dal fatto che si intenda "ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore" non segua che questo ente sia nell’intelletto e che, se è nell’intelletto, non segua che sia nella realtà; io dico con certezza: se può essere pensato esistente, è necessario che esista. Infatti "ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore" non può essere pensato altrimenti che esistente senza alcun inizio. Invece tutto ciò che si può pensare esistente, ma non è, può essere pensato esistente con un inizio. Dunque "ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore" non può essere pensato esistente e non esistere. Se dunque si può pensare esistente, necessariamente esiste.
4. Inoltre, se può anche solo essere pensato, è necessario che esista. Nessuno, infatti, che neghi o dubiti che esista qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, nega o dubita che, se esistesse, non potrebbe non essere sia nella realtà che nell’intelletto. Altrimenti non sarebbe ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore. Ma tutto ciò che può essere pensato e non esiste, potrebbe non essere sia nella realtà che nell’intelletto, se esistesse. Dunque, se può anche solo essere pensato, "ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore" non può non esistere.
5. Ma ora supponiamo che non esista, se può anche essere pensato. Ma tutto ciò
che può essere pensato e non esiste, se esistesse, non sarebbe "ciò di cui non
può pensarsi nessuna cosa maggiore". Se dunque fosse "ciò di cui non può pensarsi
nessuna cosa maggiore", non sarebbe ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa
maggiore. Questo è del tutto assurdo. È dunque falso che non esista qualcosa
di cui non possa pensarsi nessuna cosa maggiore, se può anche solo essere pensato.
Ed è ancora più falso, se può essere inteso ed essere nell’intelletto.
Trad. it. in Anselmo d’Aosta, Proslogion, Rizzoli, Milano 1992, pp. 171-179 e pp. 187-191