Agostino
La questione della verità

"Non uscire fuori da te, ritorna in te stesso. La verità abita nell'uomo interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l'anima razionale. Tendi pertanto là dove si accende la luce stessa della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ciò un'armonia insuperabile e fa' in modo di essere in accordo con essa. Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all'altro, ma cercandola con la disposizione della mente, in modo che l'uomo interiore potesse congiungersi con ciò che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello supremo dello spirito.[…]
Chiunque dubita dell'esistenza della verità, ha in se stesso il vero, per cui non può dubitarne. Ma il vero è tale unicamente per la verità; perciò non deve dubitare della verità chi ha potuto dubitare per qualche motivo. Queste cose appaiono manifeste dove risplende la luce che non si estende né nello spazio né nel tempo e che non può essere rappresentata né in forma spaziale né in forma temporale.

Agostino, De vera religione, 39. 72-73


[...] Platone, quel celebre filosofo, si sforzò di persuaderci che le anime hanno vissuto quaggiù anche prima di unirsi a questi corpi e perciò si spiega che ciò che si apprende è reminiscenza di ciò che già si conosceva, più che conoscenza di qualcosa di nuovo. Infatti racconta che, uno schiavo, interrogato su argomenti di geometria, rispose come un maestro assai versato in quella disciplina. Interrogato per gradi ed arte vedeva ciò che doveva vedere e diceva ciò che aveva visto. Ma se si trattasse qui di un ricordo di cose anteriormente conosciute, non sarebbe possibile a tutti o a quasi tutti rispondere a domande di tal genere. Infatti non tutti furon geometri nella loro vita anteriore, essendo i geometri così rari tra gli uomini che a mala pena se ne può trovare qualcuno.
Bisogna piuttosto ritenere che la natura dell’anima intellettiva è stata fatta in modo che, unita, secondo l’ordine naturale disposto dal Creatore, alle cose intelligibili le percepisce in una luce incorporea speciale, allo stesso modo che l’occhio carnale percepisce ciò che lo circonda nella luce corporea, essendo stato creato capace di questa luce ed ad essa ordinato. Infatti non è a dire che egli distingua, anche senza l’aiuto di un maestro, il bianco dal nero per il motivo che conosceva già queste cose prima di esistere in questo corpo. Infine perché soltanto a riguardo delle cose intelligibili può accadere che qualcuno risponda, se lo si interroga ad arte, su tutto ciò che appartiene a qualsiasi disciplina, sebbene la ignori del tutto? Perché nessuno può far questo, riguardo alle cose sensibili, se non per quelle che ha visto una volta unito al suo corpo o per quelle cui ha creduto sulla testimonianza di coloro che lo sapevano e le hanno comunicate per iscritto o con le loro parole?

Agostino, La Trinità, XII, 15, 24, in Opera omnia, vol. IV, a cura di G. Beschin, pp. 495-97


Lontano da noi il pensiero che Dio abbia in odio la facoltà della ragione, in virtù della quale ci ha creati superiori agli altri esseri animati. Lontano da noi il credere che la fede impedisca di trovare o cercare la spiegazione razionale di quanto crediamo, dal momento che non potremmo neppure credere se non avessimo un’anima razionale. Quando perciò si tratta di verità concernenti la dottrina della salvezza che non possiamo ancora comprendere con la ragione (ma lo potremo un giorno), alla ragione deve precedere la fede; essa purifica la mente e la rende capace di percepire e sostenere la luce della suprema ragione divina: anche ciò è un’esigenza della ragione! Ecco perché proprio con coerenza razionale il profeta afferma: Se non crederete, non comprenderete [Isaia, 7, 9]. In questa frase il profeta distingue senza dubbio le due facoltà, consigliandoci anzitutto a credere per poter poi comprendere ciò che crediamo. È quindi un precetto ragionevole che la fede preceda la ragione. Se infatti questo precetto non fosse conforme alla ragione, sarebbe irragionevole, il che non può essere assolutamente. Se dunque è conforme alla ragione che, quando si tratta di supreme verità, le quali non possono conoscersi, la fede preceda la ragione, qualunque sia il ragionamento che ci convince di ciò, anch’esso deve senza dubbio condurre alla fede. Ecco perché l’apostolo Pietro ci ammonisce che dobbiamo esser pronti a rispondere a chi ci chiede conto della nostra fede e della nostra speranza.

Lettera 120, I, 3, 4, in Opera omnia, vol. XXI/2, a cura di L. Carrozzi, pp. 1191-93

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