Bonaventura da Bagnoregio
L'origine divina della luce dell'intelletto

(Cristo) è maestro del conoscere che si ottiene per mezzo a ragione, e questo in quanto egli è verità. Infatti alla conoscenza scientifica (scientialem) si richiede una verità immutabile da parte dello scibile, e una certezza infallibile da parte del soggetto conoscente. Invero tutto ciò che è conosciuto è necessario in sé e risulta certo al soggetto conoscente. Allora noi conosciamo "quando riteniamo conoscere la causa per la quale la cosa esiste, e sappiamo essere impossibile che la cosa sia altrimenti ". (Aristotele, Analitici posteriori, I).
Si richiede pertanto da parte dello scibile una verità immutabile. Di tale natura non è la verità creata simpliciter e assolutamente, perché ogni cosa creata è scambievole e mutevole, bensì lo è la verità creante, la quale possiede una piena immutabilità [...]. Le cose avendo dunque l'essere nel proprio genere, l’hanno anche nella mente e nella eterna ragione; però l'essere delle cose non è del tutto immutabile nel primo e nel secondo modo, ma lo è soltanto nel terzo modo, cioè per ciò che esse sono nel Verbo eterno: nulla pertanto può rendere le cose perfettamente conoscibili se non è presente Cristo figlio di Dio e maestro. […].
Per una cognizione scientifica si richiede anche la certezza da parte del soggetto conoscente. Tale certezza non può provenire dal soggetto stesso, che può sbagliare, bensì da quella luce che può venire oscurata dal soggetto. La luce (che non può oscurarsi) non è quella dell'intelligenza creata, bensì quella della increata sapienza, che è il Cristo [...].
La luce quindi dell'intelletto creato non basta per la comprensione di una cosa qualsiasi senza la luce del Verbo eterno [...]. Quale sia questa luce Agostino lo dice nel secondo De Libero Arbitrio. " E' quella splendidezza di verità e di sapienza che non si spiega nel tempo né passa di luogo in luogo, né è interrotta dalla notte né è intercettata dall'ombra né soggiace ai sensi del corpo; prossima a tutti coloro che amandola sono rivolti ad essa da tutte le parti del mondo, essa è presente a tutti, non è in nessun luogo e non è mai assente, da nessun luogo ammonisce dal di fuori ma istruisce dal di dentro, nessuno può giudicarla, nessuno può giudicare bene senza di essa " [...].
[...] Nelle creature si ritrovano tre modi di conformità a Dio. Alcune, sono in conformità a Dio come vestigio, altre come immagine, altre infine come similitudine. Il vestigio è comparazione a Dio come a principio causativo; l'immagine lo è non solo come a principio ma anche come a obbietto motivo; " perciò è l'anima immagine di Dio " come dice Agostino nel libro 14 del De Trinitate, perché essa è capace di Lui (capax eius) e può essere partecipe di Lui ", mediante la cognizione e l'amore. La similitudine infine guarda a Dio non solo come a principio e a oggetto, ma come a dono infuso.
Pertanto nelle operazioni della creatura in quanto vestigio, siccome esse sono azioni universalmente naturali, Dio coopera come principio e causa. Nelle operazioni della creatura in quanto a immagine, quali sono le ragioni intellettuali colle quali l'anima percepisce la stessa immutabile verità, Dio coopera come obietto e ragione motiva. Infine nelle operazioni che sono proprie nelle creature come similitudine, quali sono le opere meritorie, Dio coopera come dono infuso per mezzo della grazia. Perciò dice Agostino nel libro 8 De Civitate Dei che " Dio è causa dell'essere, dell'intendere e del vivere ".
Che poi Dio sia ragione dell'intendere lo si deve considerare sanamente, non essendo egli la ragione sola nuda e totale dell'intendere. Se Egli fosse la sola ragione dell'intendere la cognizione di scienza non differirebbe dalla cognizione della sapienza, né la cognizione del Verbo dalla cognizione considerata nel proprio genere. Se Dio fosse la ragione nuda ed aperta dell'intendere, la cognizione di via non differirebbe dalla cognizione della Patria. Il che è falso poiché questa è a faccia a faccia, quella è come in specchio e in enigma; poiché il nostro intendere secondo lo stato di via non è senza il fantasma. Onde quantunque l'anima secondo Agostino sia connessa alle leggi eterne, poiché in certo modo essa ne attinge il lume colla sommità dell'intelletto agente e la superiore porzione della ragione, tuttavia è senza dubbio vero, secondo quanto dice il filosofo (Analitici posteriori, II), la cognizione generarsi in noi per via dei sensi della memoria e dell'esperienza, da cui l'universale, che è il principio dell'arte della scienza, si raccoglie in noi. Onde poiché Platone riferisce ogni cognizione certa al mondo intelligibile o ideale, fu a buon diritto ripreso da Aristotele; non perché abbia detto male esservi idee e ragioni eterne, lodandolo in ciò lo stesso Agostino; ma perché, disprezzato il mondo sensibile, volle ridurre la certezza totale della cognizione a quelle idee; e ponendo ciò, mentre sembra voler costruire la via della sapienza, che procede secondo le ragioni eterne, distruggeva la via della scienza, che procede secondo le ragioni create, la quale via, trascurata da quell'altra via, Aristotele al contrario costruiva. Ben appare perciò che tra i due, sia data a Platone il discorso della sapienza, ad Aristotele il discorso della scienza. Quella guardava soprattutto le cose superiori; questa soprattutto le cose inferiori.
Entrambi i discorsi poi cioè di sapienza e di scienza per mezzo dello Spirito Santo fu dato ad Agostino, come a proficuo espositore di tutta la scrittura in modo eccellente come è manifesto, dai suoi scritti. In modo più eccellente ancora entrambi i discorsi furono dati a Paolo e a Mosè, a questo come a ministro della Legge di figura (legis figurae), a quello come a ministro della Legge di grazia [...]. In modo eccellentissimo infine quei due discorsi appartennero al Signore Nostro Gesù Cristo, che fu il principale legislatore e nello stesso tempo viatore e comprensore; onde soltanto Lui è principale maestro e dottore.

Bonaventura da Bagnoregio, Sermus: Christus unus omnium magister, traduzione di Renato Lazzarini in Grande antologia filosofica,. a cura di Umberto Antonio Padovani, Marzorati, Milano 1954, vol. 4, tomo 1, pp. 857-9

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