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Orazio avverte che la poesia può, a certe condizioni e con certe
misure, toccare il limite di una sua idea di perfezione, anzi deve, per quanto
è possibile, toccarlo. Ora, nel rilievo delle condizioni e delle misure, si
scoprirà anche la risolutezza, la decisione di Orazio, e il senso di tale risolutezza,
di tale decisione. Ecco: il poeta non sia l'invasato, il demens poëta, che
infuria velut ursus… In questo senso, nel senso della manía, si
sa, si muove tutta una tendenza del pensiero classico, ed esso trova forme niente
affatto orsine e goffe, anzi qualche volta splendide. Orazio la rifiuta nettamente,
e senza appello; e cerca altri fili di tradizione […] e li annoda e li tesse
tra loro rinnovandoli, poi, per diversi impulsi che muovono dalla sua stessa
invenzione poetica. Scribendi recte sapere est principium et fons. Ed
ecco le proposizioni che appaiono fondamentali nella precettistica oraziana:
il poeta non può essere mediocre; perché egli possa raggiungere, nei limiti
che gli sono consentiti, la perfezione, egli deve essere prima di tutto uomo
civile, consapevole, completo, con una sua sapienza dell'arte, che gli consenta
di fare il suo esercizio con la stessa agilità con cui si muove il ginnasta
sull'attrezzo. Egli saprà accordare nel modo più conveniente vena e studio
[…] E, dunque, studio umano e filosofico, sapienza artistica, e controllo
critico… ecco i principi generalissimi che riguardano propriamente la formazione
del poeta che abbia chiaro quale sia il fine della poesia.
L. Anceschi, Le istituzioni della poesia, Bompiani, Milano 1968, pp. 55-56