Aristotele
La critica della concezione platonica del bene

Lasciamo da parte queste cose: è meglio, forse, esaminare il bene universale e porsi il problema del senso di questa espressione, sebbene una ricerca simile sia divenuta disagevole, per il fatto che alcuni amici hanno introdotto le Forme. Ma potrà forse sembrare che sia meglio, e che si debba, non tenere conto nemmeno degli affetti personali quando si tratta della salvezza della verità, soprattutto dato che siamo filosofi: infatti, anche se entrambi ci sono cari, è cosa sacra dare preferenza alla verità.
Quelli che hanno introdotto questa dottrina non hanno posto idee nei casi in cui predicavano il prima e il poi, e per questo non hanno posto idee neanche nel caso dei numeri; ora, il bene si dice sia nell'ambito del 'che cos'è', sia nell'ambito della qualità, e anche nel relativo, e ciò che è per sé ed è sostanza per natura viene prima di ciò che è relativo: quest'ultimo sembra come un germoglio o un accidente dell'essere; e quindi non vi potrà essere una qualche idea comune a tutti questi significati.
Inoltre, siccome il bene si dice negli stessi modi in cui si dice l'essere, infatti si dice nella categoria della sostanza, come il dio e l'intelletto, e nella qualità, come le virtù, e nella quantità, come la giusta misura, e nella relazione, come l'utile, e nel tempo, come il momento opportuno, e nel luogo, come l'habitat naturale, e via dicendo, allora è chiaro che il bene non potrà essere qualcosa di comune, universale e uno. Altrimenti non lo si direbbe in tutte le categorie ma in una soltanto.
Inoltre, siccome delle cose che sono secondo una sola idea vi è una sola scienza, ci sarebbe una sola scienza di tutti i beni; di fatto, invece, anche dei beni che rientrano in una sola categoria vi sono molte scienze: per esempio del momento opportuno si occupa, in caso di guerra, l'arte militare, e in caso di malattia la medicina; della giusta misura si occupano sia la medicina, riguardo alla dieta, sia la ginnastica, riguardo agli esercizi.
Uno poi potrebbe anche domandarsi che cosa mai intendano dire parlando di “in sé” riguardo a ciascuna realtà: se è vero che l'uomo in sé e l'uomo hanno la stessa definizione, quella di uomo, infatti non differiranno in nulla in quanto uomini; se è così, neanche i beni differiranno in quanto beni. E il bene in se non sarà bene in misura maggiore per il fatto di essere eterno, se è vero che ciò che è bianco per lungo tempo non è più bianco di ciò che lo è per un solo giorno.
I Pitagorici hanno l'aria di dire sul bene qualcosa di più credibile quando pongono l'Uno nella colonna dei beni: è con loro che Speusippo pare trovarsi d'accordo. Ma su questo punto si discuterà altrove.
Riguardo a quanto abbiamo detto fin qui si profila un'obiezione, perché i nostri amici potrebbero dire che i loro argomenti non sono stati elaborati riguardo a tutta la gamma dei beni, ma che sono i beni perseguiti e amati per sé a essere secondo una sola Forma, mentre quelli che li producono, o in qualche modo li preservano, o ostacolano il verificarsi dei loro contrari, si dicono a causa dei primi e in senso diverso. È chiaro dunque che i beni si possono dire in due modi, alcuni per sé, altri a causa di quelli. Separandoli dunque dai beni utili, esaminiamo i beni per sé per vedere se si dicono secondo una sola idea. Ma quali beni uno potrà porre come beni per sé? Forse quelli che sono perseguiti anche da soli, come per esempio l'essere saggi, il vedere e alcuni piaceri e onori? Infatti queste cose, anche se le perseguiamo per altro, ugualmente uno li potrebbe porre come beni per sé. Oppure solo le idee? In questo modo la Forma risulterà vuota. Se invece anche i beni detti sopra fossero tra i beni per sé, la definizione di bene dovrebbe risultare esemplificata da tutti, come quella del bianco è esemplificata sia dalla neve che dalla biacca; invece le definizioni di onore, saggezza e piacere sono diverse, e differiscono tra loro proprio in quanto beni. Quindi il bene non è qualcosa di comune e che si dice secondo una sola idea.
Ma allora, in quale senso si usa questo termine? Infatti non pare che riguardi le cose omonime per caso. Ma forse il bene è omonimo per il fatto di dipendere da uno solo, o per il fatto che tutto ciò che è bene tende a uno, o piuttosto per analogia? Infatti, come la vista è nel corpo, così l'intelletto è nell'anima e altro è in altro.
Ma al presente, forse è meglio lasciare da parte tali problemi, dato che analizzarli con precisione è cosa più adatta a un'altra disciplina filosofica; lo stesso vale per le idee. Infatti, anche se vi è un bene unico, ed è predicato in comune, oppure è separato ed è in sé una qualche cosa, è chiaro che non potrà essere un bene realizzabile, né tale che l'uomo lo possa fare proprio, mentre al presente noi cerchiamo qualcosa di simile.
Forse a qualcuno potrebbe sembrare meglio conoscere il bene unico in riferimento ai beni che l'uomo può fare propri e che sono realizzabili, per il motivo che, avendo quel bene come modello, verremo a conoscere meglio anche i beni per noi, e, conoscendoli, li conseguiremo. Tale argomento ha una certa credibilità, ma pare in disaccordo con le scienze, dato che tutte, pur tendendo a un qualche bene e ricercando ciò di cui c'è bisogno per realizzarlo, tralasciano la conoscenza di quel bene universale: eppure non è credibile che tutti quanti gli esperti ignorino un aiuto di tale rilevanza e non si preoccupino di ricercarlo. È difficile capire in che cosa un tessitore o un costruttore saranno avvantaggiati nelle loro arti per il fatto di conoscere il bene in sé, o in che modo colui che ha contemplato l'idea stessa di bene potrà diventare migliore come medico, o come stratega. E’ evidente infatti che il medico non prende in esame la salute in assoluto, ma quella dell'uomo, e ancora di più, forse, quella di quest'uomo qui, infatti cura i singoli individui.

Aristotele, Etica Nicomachea, I 1096a 11-1097a 14, trad. it. di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 10-17

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