Platone
L’origine dello Stato

ATENIESE. Queste cose sono così. Ma quale dobbiamo dire essere stata l’origine delle costituzioni dello stato? Non è forse di qui che potrebbe scorgersi nel modo più facile e certo? CLINIA. Di dove? ATEN. Mettendoci ad osservare di là donde bisogna ogni volta guardare la evoluzione degli stati nel loro vario muoversi verso il bene o verso il male. CLIN. Vuoi dire di dove? ATEN. Io credo dalla lunghezza dei tempi e dall’infinito e dalle trasformazioni in essi avvenute. CLIN. Come dici? ATEN. Ecco, da quando esistono stati e uomini che siano cittadini ritieni di poter tu pensare quanto tempo è passato? CLIN. Non è affatto facile. ATEN. Ma che sarebbe un tempo immenso, inconcepibile, questo si può pensarlo? CLIN. Questo sì, certamente. ATEN. Non sono stati mille sopra mille gli stati nati in tutto questo tempo e non affatto inferiori di numero, ma nella stessa proporzione invece, gli stati distrutti? Non ebbero più volte in ogni luogo tutte le specie di costituzioni e ora da piccoli grandi ora da grandi non sono divenuti piccoli, cattivi da buoni, buoni da cattivi che erano? CLIN. È necessario. ATEN. Se possiamo, cerchiamo di capire la causa di questo divenire: forse ci potrebbe mostrare la prima origine delle costituzioni e il loro cammino. CLIN. Sì, dici bene, e bisogna che ci protendiamo, tu a mostrarci ciò che pensi di loro, noi a seguirti. ATEN. Vi pare che le leggende antiche racchiudano una certa verità? CLIN. Quali? ATEN. Ci sono state molte stragi di uomini nelle inondazioni nelle malattie in molti altri avvenimenti, allora il genere umano rimane un gruppo esiguo di individui. CLIN. Di tutto questo nessuno affatto avrà da dubitare. ATEN. Pensiamo allora ad una di queste distruzioni, fra le molte, e che sia quella avvenuta per una inondazione. CLIN. E che cosa dobbiamo pensare su questa? ATEN. Pensiamo che gli uomini che sono scampati alla strage in tale occasione saranno stati quasi certamente pastori della montagna, salvi sulle cime, piccole scintille del genere umano. CLIN. È chiaro. ATEN. Di necessità tali uomini saranno inesperti di ogni altra arte così come di quei mezzi che gli uomini inventano nelle città gli uni contro gli altri per il guadagno e per l’ambizione e così pure inesperti di ogni altra meditata malefatta reciproca. CLIN. Può darsi. ATEN. Dobbiamo affermare che le città costruite sul piano e sul mare vengono completamente distrutte in tale occasione? CLIN. Lo dobbiamo. ATEN. Non diremo anche che in tali circostanze vanno perduti tutti gli strumenti e tutto é vanificato, se qualcosa v’era di attinente all’arte, con cura diligente trovato, oppure attinente alla politica o a qualche altra forma di sapienza? Perché, amico, se queste cose così come ora sono disposte fossero rimaste intatte per tutti i tempi, come qualche cosa di nuovo si sarebbe potuta mai ritrovare, qualsiasi essa sia? CLIN. Questo è come dire che innumerevoli volte in un numero enorme di anni passati sfuggirono agli uomini di allora, e sono mille o duemila anni che hanno avuto origine e sono apparse alcune a Dedalo, altre ad Orfeo ed altre a Palamede, la musica a Marsia e ad Olimpo, ciò che riguarda la lira ad Anfione, e molte altre cose ad altri, cose che noi potremmo dire di ieri e d’altro ieri. ATEN. Bene, Clinia, è bene l’aver dimenticato l’amico che non è che di ieri. CLIN. Vuoi dire Epimenide? ATEN. Sì, Epimenide; per voi infatti egli di molto superò tutti, amico, con la sua invenzione; ciò che Esiodo anticamente prediceva con la parola egli nell’opera realizzò, come voi dite. CLIN. Noi lo diciamo, è vero.
ATEN. Dunque questa affermiamo essere allora la condizione degli uomini, dopo che avvenne la catastrofe: una sconfinata paurosa solitudine, la terra immensa e abbandonata, periti quasi tutti gli animali e poche mandrie di bovini e se mai qualche gruppo di capre rimase non più che miseri resti erano anche questi ai pastori per vivere in quell’età che è all’origine di questa. CLIN. Certamente. ATEN. Ma dello stato, della costituzione, della legislazione, di quello su cui noi ora stiamo tenendo il discorso, crediamo noi, per così dire, che rimanga del tutto il ricordo? CLIN. Nemmeno il ricordo, in nessun modo. ATEN. Allora da quelle sole cose rimaste così sono derivate a noi tutte queste cose come sono ora; gli stati, le costituzioni, le arti, le leggi, e molta cattiveria, e molta virtù? CLIN. Come dici? ATEN. Crediamo forse, amico straordinario, che quelli di allora, inesperti di molti vantaggi della vita cittadina e dei molti svantaggi, siano potuti venir ad essere perfetti nella virtù o cadere al più profondo dei vizi? CLIN. Sì, dici bene, capiamo ciò che dici. ATEN. E così col passare del tempo, e mentre la nostra stirpe si moltiplicava, tutto di allora si è venuto evolvendo verso tutto ciò che è di ora? CLIN. Esattissimo. ATEN. Non d’improvviso, come è verosimile, ma a poco a poco, in un tempo lunghissimo. CLIN. Conviene proprio alla cosa che ciò non sia stato diversamente. ATEN. E io credo che dominasse in tutti una paura di recente origine a discendere dai luoghi alti al piano. CLIN. Ma certamente. ATEN. E non si vedevano allora l’un l’altro con piacere, tanto pochi erano in quel tempo quando i mezzi di trasporto, con cui potessero allora fra loro viaggiare per terra o per mare, si può dire che si fossero quasi tutti perduti insieme a tutte le arti? Io credo che non fosse proprio possibile che essi si mescolassero fra loro: erano spariti il ferro, il rame e tutti i metalli sommersi confusamente dall’alluvione sì che doveva esserci una insormontabile difficoltà di estrarli e purificarli, e il taglio degli alberi doveva essere insufficiente. Anche se nelle montagne fosse rimasto qua o là qualche utensile, in breve tempo era venuto meno, consumato, ed altri non ne potevano nascere, prima che agli uomini fosse di nuovo tornata l’arte dei minatori. CLIN. E come infatti? ATEN. Dopo quante generazioni pensiamo che questa sia .ritornata ad essere così presso gli uomini? CLIN. Moltissime, è chiaro. ATEN. Così anche le arti che hanno bisogno del ferro e del rame e di tutte queste cose per altrettanto tempo e anche di più furono assenti in tale circostanza? CLIN. Certamente. ATEN. E allora la rivolta e la guerra in molti luoghi erano scomparse a quel tempo. CLIN. Come? ATEN. Prima di tutto fra di loro si amavano, si volevano bene perché erano pochi e soli e poi non dovevano combattersi per mangiare. Non c’era scarsità di pascoli, se non per qualcuno forse in principio, e dai pascoli allora traevano la base del loro alimento. Non erano mai poveri infatti di latte e di carni e anche quando cacciavano avevano modo di procurarsi un cibo che non era vile né poco. Ed avevano abbondanza di vestiti e di coperte e di case e di vasi da mettere sul fuoco e da tenere per altro uso. Le arti fittili e tessili non hanno per nulla bisogno di ferro, e un dio le diede, le une e le altre, perché procurassero agli uomini tutte le cose dette poco fa e il genere umano non fosse privo di un germe di sviluppo, quando avesse a cadere in questa difficoltà. Perciò proprio non erano poveri e non divenivano discordi sotto la spinta della povertà; e nemmeno ricchi divennero mai perché erano senza oro e senza argento; così vivevano allora. Nella società dove non sia presente ricchezza né povertà necessariamente i costumi, direi, saranno nobilissimi: infatti non sorge violenza né ingiustizia, rivalità ed invidie non possono nascere. Erano buoni in grazia di questa vita e di quella che si dice “semplicità”; ciò che sentivano definire bello o brutto ritenevano esser detto con verità, senza limitazione, e vi si conformavano, .essendo appunto uomini semplici. E infatti sospettare la bugia nessuno sapeva per opera di attenta sapienza come ora, ma tenevano per vero ciò che si tramandava degli dèi e degli uomini e ne vivevano in conformità; per ciò che erano in tutto così come noi adesso li abbiamo descritti. CLIN. Anche a me paiono esser così queste cose ed anche a lui.
ATEN. Dobbiamo dire quindi che sono state molte le generazioni vissute in questo modo, e così che gli uomini erano meno progrediti di quelli venuti prima della inondazione e di quelli che vivono ora e più ignoranti di tutte le altre arti future, anche di quelle di guerra, quante sono le arti della guerra per terra e della guerra per mare che si praticano adesso e le arti delle lotte interne solo al proprio stato che si chiamano “processo” e “rivolta” e macchinano con le parole e le opere tutti i mezzi perché i cittadini fra di loro si procurino .male ed ingiustizia? Dobbiamo dire che c’erano uomini allora di costumi più semplici e più coraggiosi ed anche più saggi e in tutto più giusti? La causa di questo stato di cose l’abbiamo già esposta. CLIN. Hai ragione. ATEN. Tutto questo, sia da noi enunciato e quanto seguirà sì intenda da noi detto alfine di comprendere quale bisogno quegli uomini avevano delle leggi e quale era il loro legislatore. CLIN. Hai detto bene. ATEN. Perché non è forse vero che quelli non potevano avere bisogno di legislatori né in quei tempi la legislazione soleva essere realizzata? Infatti non hanno neppur in alcun modo la scrittura quelli nati in questa parte del periodo di tempo necessario all’evoluzione, vivono seguendo i costumi e le leggi che si dicono tramandate dagli avi. CLIN. È verosimile. ATEN. Ma questa è già una forma di costituzione politica. CLIN. Quale? ATEN. Mi pare che tutti chiamino la costituzione in vigore a quel tempo “patriarcato”, e c’è anche ora in molti luoghi, sia presso i Greci che i barbari. E Omero dice anche che in qualche modo c’era nel governo dei Ciclopi. Omero dice:

Essi non hanno assemblee che danno consiglio non hanno leggi,
essi abitano le cime dei monti più alti
nelle caverne scavate, ciascuno dà legge
ai figli e alle donne, fra di loro si ignorano.

CLIN. È bello, sembra, per voi, questo vostro poeta e vi è gradito. Noi infatti abbiamo letto anche altri passi suoi molto belli, ma non numerosi. Noi Cretesi non ci dedichiamo molto alla poesia straniera. MEG. Noi invece lo leggiamo Omero e par superiore a tutti gli altri epici, benché egli sempre descriva piuttosto una vita ionica, non quella della Laconia. Ed ora pare che per te sia una buona testimonianza al tuo discorso riportando col mito ai tempi selvaggi la vita primitiva di quelli. ATEN. Sì, Omero mi è testimone. Prendiamolo quindi come una fonte che ci indica che queste forme di costituzione sono in realtà esistenti, in qualche epoca. CLIN. Va bene. ATEN. E non si formano esse allora da questi uomini dispersi dalla difficile condizione conseguente alle distruzioni in famiglie e stirpi, nelle quali il comando è dei più vecchi in quanto l’hanno ricevuto dal padre e dalla madre, seguendo i quali come uccelli formeranno essi uno sciame e vivranno sotto la legge degli avi, governati con il governo più giusto fra tutti i governi regali? CLIN. Certamente. ATEN. Poi si radunano in comunità più numerose e formano organismi politici più grandi; si rivolgono dapprima alle campagne poste ai piedi dei monti e stendono recinti a guisa di siepe come mura a difesa dalle fiere, e compiono allora una sola casa grande e comune. CLIN. È verosimile che ciò avvenga così. ATEN. E questo non lo credi verosimile? CLIN. Che cosa? ATEN. Che queste organizzazioni più grandi crescono per l’aggregarsi delle prime e più piccole, e ciascuna delle minori è presente, per ciascuna singola stirpe avendo come suo capo il più vecchio e certi suoi costumi particolari a lei sola per il fatto che sono vissute separate l’una dalle altre; essendo stati diversi fra di loro i capostipiti e gli educatori, diversi devono essere stati anche i rapporti loro consueti con gli dèi e con gli uomini, più prudenti quelli degli ascendenti più prudenti, più virili quelli degli ascendenti più virili. A questo modo ciascuna forma secondo le sue concezioni i suoi figli e i figli dei figli e così come stiamo dicendo vengono nella comunità più grande avendo norme particolari. CLIN. Come no? ATEN. E a ciascuno necessariamente vanno bene le proprie norme,, e dopo quelle degli altri. CLIN. Certamente è così. ATEN. E pare che mentre noi siamo, per così dire, risaliti all’origine della legislazione, non ce ne siamo accorti. CLIN. È vero.
ATEN. Si rende quindi necessario che tutti questi uomini convenuti insieme scelgano alcuni di loro per tutti, i quali, esaminate le norme proprie d’ognuno, mostrino in comune e chiaramente ai capi ed ai condottieri di quei popoli, come si farebbe coi re, quelle che per loro sono le più adatte e le diano loro da vagliare. Essi verranno chiamati “legislatori”. Saranno da loro poi stabiliti i magistrati e costituita una aristocrazia o anche una monarchia, traendola dai capi del patriarcato, e governeranno così in questa fase di sviluppo della costituzione. CLIN. È per una ordinata conseguenza che potrebbe avvenire proprio così. ATEN. Ora diciamo che viene ad essere poi terza forma di costituzione quella in cui tutti gli aspetti che contraddistinguono le costituzioni, ed insieme gli stati, e le loro affezioni, sono coesistenti. CLIN. Quale è questa? ATEN. Quella che dopo la seconda anche Omero ha indicato dicendo appunto che la terza viene ad essere così:

Fondò Dardania – dice così –
poiché non ancora la sacra Ilio
era stata edificata sulla pianura, città d’uomini mortali,
essi ancora abitavano le falde dell’Ida ricco di sorgenti.

Dice queste parole e quelle che ha dette dei Ciclopi come le direbbe un dio, com’è la natura delle cose. E infatti anche i poeti essendo un genere di uomini divino e cantando i loro inni ispirati dal dio, essi ogni volta riescono a raggiungere ed afferrare coll’aiuto di qualcuna delle Grazie e delle Muse molte cose che avvengono in realtà. CLIN. Certamente. ATEN. Andiamo avanti ancora un po’ con questo racconto che ora ci si è fatto innanzi, forse ci potrebbe indicare qualche cosa di ciò che noi cerchiamo. Non dobbiamo far così? CLIN. Ma certo. ATEN. Ilio fu appunto fondata, noi dicevamo, quando gli abitanti discesero dai monti in una grande e bella pianura, sopra un’altura non molto elevata cui scendevano dall’alto molti fiumi sorgenti dall’Ida. CLIN. Dicono così. ATEN. Non dobbiamo credere che ciò sia avvenuto in un tempo molto lontano dalla inondazione? CLIN. E come non molto lontano? ATEN. E verosimilmente li prese allora una sciagurata dimenticanza della rovina di cui ora parliamo, quando così costruirono la città e la posero sotto molti fiumi scorrenti dall’alto, fidandosi di colli non certo elevati. CLIN. È chiaro che dovevano veramente essere lontani di un tempo molto lungo da quell’avvenimento. ATEN. E io credo che allora già molti altri stati venivano fondati, perché gli uomini continuarono ad aumentare. CLIN. Certo. ATEN. E quelli poi fecero ad un certo momento la spedizione contro Ilio e probabilmente anche per mare, perché allora già si servivano tutti del mare senza paura. CLIN. Chiaro. ATEN. Per dieci anni rimasti colà, io credo, gli Achei rovesciarono Troia. CLIN. Sì. ATEN. E per tutto questo tempo dell’assedio di Troia, dieci anni, in grande numero accadevano in patria di ciascuno degli assedianti le sventure, per la rivolta dei giovani, i quali non fecero né bella né giusta accoglienza ai reduci tornati alle loro città e alle loro case, ma tale che molte furono le morti, le uccisioni, i bandi d’esilio. Questi di nuovo fuggitivi ritornarono cambiato nome, e si chiamarono Dori invece di Achei perché Doro fu chi raccolse quelli che erano allora dispersi in esilio. E già voi, Spartani, tutte queste cose raccontate punto per punto da qui in avanti. MEGILLO. Sì, certamente.

Platone, Leggi, 676a-682e; trad. it. in Opere, vol. 2°, Laterza, Bari 1974, pp. 667-674

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