Agostino
Il significato di “niente”

Agostino - Risulta dunque dal nostro dialogo che le parole sono segni.
Adeodato - Si.
Ag. - E se il segno non significasse qualche cosa può esser segno?
Ad. - No.
Ag. - Quante parole sono in questo verso: Si nihil ex tanta superis placet urbe relinqui? ("Se agli dei piace non lasciare nulla di una così grande città", Virgilio, Eneide)
Ad. - Otto.
Ag. - Son dunque otto segni?
Ad. -
Ag.- Capisci il verso, credo.
Ad.- Abbastanza, mi pare.
Ag. Dimmi cosa significano le singole parole.
Ad. Capisco cosa significa Si (se), ma non scopro un altro termine con cui dirne il significato.
Ag. - Per lo meno puoi scoprire dove si trova il significato, qualunque sia, di questa parola?
Ad. - Si significa dubbio, mi pare, e il dubbio è esclusivamente nel pensiero.
Ag. - Per il momento approvo; va avanti.
Ad. - Nihil (niente) significa soltanto ciò che non è.
Ag. - Forse dici bene; ma mi trattiene dal consentire senza esitazione la tua precedente affermazione che non si dà segno se non significa qualche cosa. Ora è assolutamente impossibile che ciò che non è sia qualche cosa. Dunque la seconda parola del verso non è un segno perché non significa un qualche cosa. Quindi per errore è emerso dal nostro dialogo che tutte le parole sono segni o che ogni segno significa qualche cosa.
Ad. - Mi incalzi troppo. Tuttavia quando non si ha cosa significare, è proprio da ignoranti proferire delle parole. Tu ora stai parlando con me. Non credo che proferisci un suono senza utilità, ma con ogni. parola che esce dalla tua bocca mi fornisci un segno per farmi capire qualche cosa. Pertanto nel parlare non devi pronunziare quelle due sillabe se non intendi con esse significare un qualche cosa. Ma se capisci che la formulazione del pensiero necessariamente le implica e che esse, nel giungere all'udito, ci insegnano o richiamano qualche cosa, capiresti certamente anche ciò che intendo dire e non so spiegare.
Ag. - Che fare dunque? Forse con queste parole s'intende significare, anziché l'oggetto che non esiste, una disposizione della mente quando non può rappresentarsi l'oggetto e scopre, o per lo meno pensa di scoprire, che esso non esiste.
Ad. - E' forse proprio quello che tentavo di dire.
Ag. - Andiamo avanti, comunque sia, affinché non ci capiti un fatto del tutto assurdo.
Ad. - E quale?.
Ag. - Che il niente ci trattiene, eppure stiamo indugiando.
Ad. - Sarebbe davvero degno di scherno e non capisco il modo in cui tuttavia scorgo che è possibile, anzi scorgo che è già avvenuto.

Agostino, Maestro 2,3. trad. it. in Opere di Agostino, v.3/2 Città Nuova, Roma 1976, p.731-3

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