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Perché vi sono da ogni parte intorno alla terra molte cavità, e diversissime l'una dall'altra così di forma come di grandezza, nelle quali confluiscono insieme l'acqua, la nebbia e l'aria; ma essa la vera terra si libra pura nel cielo puro dove sono le stelle, il quale la più parte di coloro che si occupano di queste cose chiamano ètere; e l'acqua, la nebbia e l'aria sono un sedimento di questo ètere, e insieme si riversano continuamente nelle cavità della terra. Ora, noi che abbiamo queste cavità, non ce ne accorgiamo, e crediamo di abitare in alto sopra la terra: allo stesso modo di uno il quale, abitando in mezzo alla profondità del mare, s'immaginasse di abitare su la superficie, e vedendo, attraverso l'acqua, il sole e le altre stelle, credesse cielo il mare; e non essendo mai giunto, per sua inerzia e debolezza, su la superficie del mare, non avesse mai osservato, come avrebbe potuto emergendo dal mare e levando su il capo verso le regioni che abitiamo noi, di quanto queste sono più pure e più belle di quelle di chi abita nel mare, e non ne avesse mai neanche sentito parlare da altri che le avesse vedute. Ebbene, anche a noi, credo, è capitato precisamente lo stesso: che, mentre abitiamo in una cavità della terra, crediamo di abitare in alto sopra di essa; e l'aria la chiamiamo cielo perché ci pare che attraverso questa, quasi fosse cielo, facciano lor cammino le stelle. Ed è, ripeto, proprio la stessa cosa: anche noi, per nostra debolezza e inerzia, non siamo capaci di passare attraverso l'aria fino alla sua sommità; e infatti, se uno riuscisse a spingersi fin su all'estremo lembo dell'aria, o, messe le ali, vi giungesse volando; colui vedrebbe, levando il capo fuori dell'aria, allo stesso modo che qui da noi i pesci levando il capo fuori del mare vedono le cose nostre, così vedrebbe anche le cose di lassù; e, se la natura sua fosse capace di sostenere codesta visione, riconoscerebbe che quello è il vero cielo, quella la vera luce e la vera terra. E in verità questa terra nostra e le pietre e tutta quanta la regione che noi abitiamo, sono guaste e corrose come le regioni di dentro il mare sono guaste e corrose dalla salsedine; e nel mare non nasce cosa alcuna che abbia pregio, e nulla v'è, diciamo pure, che sia perfetto, bensì vi sono scoscendimenti e sabbie e fango senza fine, e pantani dovunque sia anche terra, cose insomma che neppure sono da mettere a confronto con le bellezze di qui; e a loro volta le bellezze di lassù anche meglio dovranno apparire di gran lunga superiori a queste nostre di qui. Dunque, o Simmia, se anche dire una favola è bello, val bene la pena che tu ascolti come siano le cose sopra la terra subito al di sotto del cielo. –Ma certo, rispose Simmia, noi avremo gran piacere di ascoltare questa favola, o Socrate. -Anzi tutto dunque, o amico, egli riprese, dicono questo, che la vera terra, chi la guardi dall'alto, ha l'aspetto delle nostre palle di cuoio a dodici pezzi, iridescente, e come intarsiata di diversi colori; e di codesti colori perfino quelli che adoprano i pittori qui da noi sono immagini appena. E tutta quanta la terra lassù è colorata di colori siffatti, e assai più rilucenti e più puri di questi di qui; e parte infatti è porporina, di meravigliosa bellezza, parte ha lo splendore dell'oro, parte, tutta quella ch'è bianca, è più bianca del gesso e della neve; e così dico di tutti gli altri colori che la colorano nel rimanente, che sono anche di più e più belli di quanti mai noi ne abbiamo veduti. E le stesse cavità della terra, ripiene come sono di acqua e di aria, presentano lassù un lor colorito particolare: cosicché, rilucendo ancor esse tra mezzo la iridescente varietà di tutti gli altri colori, la superficie della terra apparisce alla vista come un'unica ininterrotta iridescenza. Analogamente a questo suo aspetto crescono ivi i suoi prodotti, e alberi e fiori e i lor frutti; e così, medesimamente, le montagne e le pietre vi sono levigate e trasparenti, e quindi i loro colori hanno più vivo splendore; e di codeste pietre e montagne, anche quelle pietruzze che qui da noi hanno si gran pregio, non sono che frammenti, sarde diaspri smeraldi, e altre simili; e insomma non c'è niente lassù che non sia della stessa vista di queste nostre gemme e anche più bello di queste. E la ragione è che lassù codeste pietre sono pure, e non rose ne guaste, come queste di qui, da putredine e da salse dine a cagione dei sedimenti che qui confluiscono e posano, e che alle pietre e alla terra, come pure agli animali e alle piante, ingenerano deformità e malattie. La terra medesima riceve bellezza da tutti questi ornamenti, come anche dall'oro e dall'argento e da tutti gli altri metalli di simil genere: tanto più che quivi, per loro propria e naturale disposizione, si vedono allo scoperto, e ce n'è gran quantità, è sono grandi e disseminati da ogni parte; cosicché a mirarla codesta terra è davvero uno spettacolo di spettatori beati. E vi sono esseri viventi e molti e di specie diverse, e anche uomini; e gli uomini abitano alcuni verso l'interno della terra, altri su le rive dell'aria come noi su le rive del mire, altri in isole non lontane dal continente e circondate tutt'intorno dall'aria; e, in una parola, ciò che per noi, cioè, dico, per la consuetudine nostra, è l'acqua e il mare, per quelli di lassù è l'aria, e ciò che per noi è l'aria, per costoro è I'ètere. E le stagioni hanno ivi tal temperanza che non vi sono ammalati; e gli uomini non solo vi campano assai più tempo che qui, ma anche, per la finezza della vista, dell'udito, dell'intelligenza e in genere di tutte le altre facoltà, sono alla stessa distanza da noi che la purezza dell'aria dalla purezza dell'acqua e la purezza dell'ètere da quella dell'aria. E inoltre vi sono boschi sacri agli dèi e templi dove gli dèi abitano realmente; e vi sono oracoli e divinazioni e contatti diretti con gli dèi, e insomma personali comunioni di essi stessi gli uomini con essi stessi gli dèi. E anche il sole, la luna e le stelle si veggono da codesti uomini direttamente quali sono in realtà; e così essi godono di ogni altra beatitudine che è conseguenza delle cose sopra dette. Dicono dunque che la terra nel suo insieme sia così, e così siano le cose intorno alla sua superficie. Dentro di essa poi, tutt'intorno, e in corrispondenza alle sue cavità, sono molte regioni, alcune più profonde e più aperte di questa che abitiamo noi, altre più profonde ma con minore apertura, e ce n'è di quelle che hanno minore profondità di questa nostra e sono più estese. Tutte queste regioni sono perforate in più parti da sotterranei ora più stretti ora più larghi che comunicano fra loro; e vi sono appunto vie di comunicazione onde scorre molta acqua da una regione all'altra come da un bacino in altro bacino; e vi sono sotto la terra smisurate masse di fiumi perenni e di acque calde e fredde, e molto fuoco, e grandi fiumi di fuoco, e molti anche di liquido fango, ora più chiaro ora più limaccioso, come in Sicilia quei fiumi di fango che scorrono davanti la lava, ed essa stessa la lava. E di codesti fiumi si empiono via via tutte le regioni, secondo che in ogni regione si riversi via via il flutto delle correnti. E tutte queste acque le agita in su e in giù come una specie di altalena che è dentro la terra. E questa altalena è dovuta, io credo, a questa cagione. Una delle voragine della terra, oltre che fra tutte le altre grandissima, anche attraversa la terra tutta quanta da una estremità all'altra; ed è quella voragine di cui parla Omero quando dice "lungi, sotterra, dove profondissimo un baratro s'apre", e che anche altrove e Omero e molti altri poeti hanno chiamata Tartaro. Di fatti in questa voragine confluiscono tutti i fiumi, e da questa di nuovo tutti quanti refluiscono fuori; e ognuno di questi fiumi diviene di volta in volta della stessa natura della terra in cui si trova a scorrere. Ora, la cagione di siffatto confluire e refluire di tutte le fiumane dal Tartaro è questa, che laggiù tutto questo umore non ha ne fondo ne base; e quindi oscilla e ondeggia in su e in giù, e anche l'aere e il fiato che gli sono d'attorno fanno lo stesso, perché sono tratti a seguirlo sia quando si spinge verso le regioni della terra che sono dalla parte di là, sia quando si spinge verso le regioni di qua; e, come accade di chi respira che il fiato sempre va e viene fluendo senza interruzione, così anche là questo fiato che oscilla insieme con 1 'umore produce venti terribili e sterminati entrando e uscendo. Quando dunque la massa d'acqua si ritrae verso la regione che la gente, come sai, chiama ‘giù in basso’, ecco che si riversa attraverso la terra in que' luoghi lungo le correnti che sono da quella parte, e le riempie come riempiono lor canali quelli che attingono acqua; e quando poi recede di là e rompe dalla parte nostra, allora empie le fiumane che sono di qua; e queste, come quelle, riempite, scorrono per i lor condotti attraverso la terra, e, giunte in quei luoghi ai quali ognuna s'è aperta la sua via, formano mari e laghi e fiumi e fonti; o poi di lì nuovamente si sprofondano giù sotto la terra, e, dopo aver percorso, quale regioni più estese e di più, quale meno estese e di meno, si riversano di nuovo nel Tartaro, alcune molto più giù del punto da cui l'impeto dell'altalena le sospinse in alto, altre meno, ma tutte sfociano in un punto più basso di quello da cui sgorgarono; e ce n'è che sboccano dalla parte opposta a quella da cui ruppero fuori, altre dalla stessa parte; e ce n'è di quelle che, dopo fatto a dirittura tutto intorno il giro della terra, rivolgendosi intorno ad essa o una o più volte a modo di spirale come fanno i serpenti, discese il più possibile in giù, imboccano di nuovo nel Tartaro. Ed è possibile scendere giù in direzione di una parte e dell'altra fino al centro; ma non oltre il centro; perché, per ciascuna delle due serie dei fiumi, viene a trovarsi in salita quella parte che discende al centro dal lato opposto. Di questi fiumi dunque ce n' è parecchi altri e grandi e di natura diversa; ma, fra questi molti, ce n'è quattro, dei quali il maggiore, e che scorre tutto intorno alla terra più lontano dal centro, è quello chiamato Oceano; dirimpetto a questo, e scorrente in senso contrario, c'è l'Acheronte, il quale attraversa luoghi deserti, e poi, inabissandosi, come sai, sotto la terra, giunge alla palude Acheruslade: quivi convengono la più parte delle anime dei morti, le quali, dopo rimaste colà quello spazio di tempo che a ciascuna è destinato, alcune più lungo altre più breve, sono rimandate di nuovo nel mondo a rigenerarsi in forme. di esseri viventi. Un terzo fiume scaturisce nel mezzo tra questi due, e vicino alla sua scaturigine dilaga in un luogo ampio e riarso da molto fuoco, e fa una palude più vasta del nostro mare, ribollente d'acqua e di fango; di là poi muove in giro, torbido e fangoso, e, serpeggiando per entro la terra, passa per altri luoghi finche giunge a una estremità della palude Acheruslade, ma senza mescolare con quella le sue acque; e, dopo fatti più giri a spirale sotto la terra, imbocca nel Tartaro, ma in un punto più basso della sopraddetta palude. Questo fiume è quello che chiamano Piriflegetonte; del quale sono come frammenti quelle colate di lava che erompono fuori sopra la terra, dovunque trovino una via d'uscita. Dirimpetto a questo scaturisce il quarto fiume: il quale dapprima dilaga, come dicono, in una regione orrida e selvaggia e che ha da per tutto il colore del cìano, ed è quella regione che chiamano Stigia; e la palude che fa questo fiume imboccandovi la chiamano Stige. Questo fiume, dopo imboccato in codesto luogo e attinte quivi nell'acqua certe sue orribili forze, si sprofonda sotto terra, e, girando a spirale, scorre in senso contrario al Piriflegetonte e con esso s'incontra nella palude Acherusìade dal lato opposto. Neppur questo fiume mescola con altra acqua le sue acque ; e anche questo, dopo girato in cerchio, si getta nel Tartaro dal lato opposto al Piriflegetonte. Il suo nome, come dicono i poeti, è Cocìto. Questa dunque è la forma e la natura della terra. Ora, quando i morti giungono al luogo dove è me nato ognuno dal suo dèmone, per prima cosa si sottomettono al giudizio; e si distinguono coloro che hanno vissuto bene e santamente e quelli che no. E quelli i quali si riconosca abbiano tenuta nella vita una via di mezzo, giunti alle rive dell’Acheronte, salgono su quelle navicelle che sono là appunto per loro, e arrivano così alla palude Acherusìade; e quivi dimorano, e, scontando lor pene, si purificano e sciolgono delle colpe se mai ne hanno commesse, e delle buone azioni ricevono premi ognuno secondo il suo merito. E quelli i quali siano riconosciuti in istato di inespiabilità per la gravezza dei loro peccati, come chi abbia commesso sacrilègi molti e gravi, e uccisioni inique e molte e in onta alle leggi, o altrettali misfatti, costoro il meritato castigo li getta nel Tartaro, e di il non escono fuori mai più. Quelli invece che siano incorsi in colpe espiabili si ma gravi, come chi, per esempio, in un impeto di collera, abbia fatto violenza al padre o alla madre e poi se ne sia pentito e abbia vissuto così il resto di sua vita ; o chi sia divenuto omicida per altro motivo simile e allo stesso modo se ne sia pentito; costoro debbono sì, necessariamente, precipitare nel Tartaro, ma poi, trascorso laggiù un anno dalla loro caduta, ecco che la marea li ricaccia fuori, gli omicidi lungo il Cocìto, i percotitori del padre e della madre lungo il Piriflegetonte; e quando, trasportati da queste fiumane, giungono a livello della palude Acherusìade, quivi allora gridano e invocano, gli uni quelli che uccisero, gli altri quelli cui fecero violenza, e, chiamandoli a nome, pregano e supplicano che gli lascino uscir fuori nella palude e che gli accolgano; e, se riescono a persuaderli, escono fuori e così hanno pace dai loro mali; se no, sono riportati via un'altra volta nel Tartaro, e dal Tartaro sono ributtati un'altra volta nei fiumi, e mai cessano di patire quest'alterna vicenda se prima non hanno persuaso coloro a cui fecero offesa: perché questa è la pena che da quei giudici fu loro inflitta. Quelli poi i quali sono segnalati fra tutti per la santità della vita, costoro vengono a trovarsi senz'altro liberi e sciolti da questi luoghi terreni come da carceri, e giungono in alto nella pura abitazione e abitano su la vera terra. E di costoro sono quelli i quali, fatti mondi e puri dalla filosofia, vivono il resto di lor vita senza legami corporei, e giungono in abitazioni anche più belle di queste, le quali non è facile descrivere, ne basterebbe il tempo nell'ora presente. E così dunque, o Simmia, per tutto quello di cui abbiamo discorso, giova non tralasciar nella vita alcuna cosa per acquistare virtù e intelligenza: che bello è il premio e la speranza è grande.
Platone, Fedone, LIX 108b - LXIII 114c, in Opere, Laterza, Roma-Bari 1986, vol. 1