Aristotele
La critica alla tesi pitagorica della funzione causale dei numeri

Se si ammette la necessità che tutte le cose abbiano un numero come elemento comune, ne verrà fuori anche che molte cose debbano essere identiche tra loro e che il medesimo numero debba appartenere ad una cosa e anche ad un’altra. Ma, allora, bisogna credere che la presenza del numero è causa delle cose, e che in virtù di essa esiste l’oggetto, oppure si deve convenire che si tratta di un fatto poco chiaro? Ammettiamo, ad esempio, che un certo numero corrisponda ai movimenti di traslazione del sole, e un altro a quelli della luna, e un altro ancora alla vita e all’età di ciascun essere vivente [...] Ma per quale motivo questi numeri dovrebbero essere cause? Sette sono le vocali, di sette note è costituita la scala musicale, sette sono le Pleiadi [...] e sette furono anche quei guerrieri "che assisero Tebe". Si dovrà, dunque, ritenere che, proprio perché questo numero è di tale natura, quei guerrieri furono sette e la costellazione delle Pleiadi è composta di sette stelle? Ma è indubbiamente più giusto ritenere che quei guerrieri furono sette, perché sette erano le porte di Tebe, o anche per qualche altro motivo, e che le Pleiadi sono sette, perché è questo il modo nostro di enumerarle, proprio come nell’Orsa noi contiamo dodici stelle, mentre altri ne contano di più [...].

Aristotele, Metafisica, XIV, 6, 1093a, trad. it. in Opere, Laterza, Roma-Bari 1993, vol. 6

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