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Quello ch’è nato deve essere corporeo e visibile e tangibile. Ma niente potrebbe essere visibile, separato dal fuoco, né tangibile senza solidità, né solido senza terra. Sicché dio, cominciando a comporre il corpo dell’universo, lo fece di fuoco e di terra. Ma non è possibile che due cose sole si compongano bene senza una terza: bisogna che in mezzo vi sia un legame che le congiunga entrambe. E il più bello dei legami è quello che faccia, per quant’è possibile, una cosa sola di sé e delle cose legate: ora la proporzione compie questo in modo bellissimo. Perché quando di tre numeri o masse o potenze quali si vogliano, il medio sta all’ultimo come il primo al medio, e d’altra parte ancora il medio sta al primo, come l’ultimo al medio, allora il medio divenendo primo e ultimo, e l’ultimo e il primo divenendo a lor volta medi ambedue, così di necessità accadrà che tutti siano gli stessi, e divenuti gli stessi fra loro, saranno tutti una cosa sola. Se dunque il corpo dell’universo doveva essere piano e senz’alcuna profondità, un solo medio bastava a collegare sé e le cose con sé congiunte: ma ora, poiché conveniva che il corpo dell’universo fosse solido (e i solidi non li congiunge mai un medio solo, ma due ogni volta), perché dio mise acqua e aria fra fuoco e terra, e proporzionati questi elementi fra loro, per quant’era possibile, nella medesima ragione, di modo che come stava il fuoco all’aria stesse anche l’aria all’acqua, e come l’aria all’acqua l’acqua alla terra, collegò e compose il cielo visibile e tangibile. E in questo modo e di così fatti elementi, quattro di numero, fu generato il corpo del mondo, concorde per proporzione, e però ebbe tale amicizia che riunito con sé nello stesso luogo non può essere disciolto da nessun altro, se non da quello che l’ha legato. La composizione del mondo ricevette per intero ciascuno di questi quattro elementi. Perché l’artefice fece il mondo di tutto il fuoco e l’acqua e l’aria e la terra, senza lasciare fuori nessuna parte o potenza di nessuno di essi, con questo consiglio: prima, che tutto l’animale fosse, quanto più possibile, perfetto e di parti perfette, e anche fosse uno, in quanto che nient’era stato lasciato, donde potesse farsene un altro simile; e poi che fosse immune da vecchiezza e da morbo, perché dio sapeva che il caldo e il freddo e tutti gli agenti di grande energia, circondando di fuori un corpo composto e importunamente assalendolo, lo sciolgono, v’inducono morbi e vecchiezza e lo fanno morire. Per questo motivo e ragionamento fece un unico tutto di tutte le totalità, perfetto e immune da vecchiezza e da morbo. E gli diede una forma conveniente e affine. Ora all’animale, che doveva raccogliere in sé tutti gli animali, conveniva una forma, che in sé raccogliesse tutte quante le forme. Perciò lo arrotonda a mo’ di sfera, egualmente distante in ogni parte dal centro alle estremità, in orbe circolare, che è di tutte le figure la più perfetta e la più simile a se stessa, giudicando il simile infinitamente più bello del dissimile. E lo fece perfettamente liscio tutt’intorno di fuori per molte ragioni. Infatti non aveva alcun bisogno d’occhi, non essendovi rimasto niente da vedere al di fuori, né d’orecchi, non essendovi rimasto niente da udire: né v’era aria d’intorno, che domandasse d’essere respirata. E nemmeno aveva bisogno d’alcun organo per ricevere in sé il nutrimento o per espellere il residuo della digestione, perché niente perdeva e niente gli si aggiungeva di dove che fosse, non essendovi niente. Esso è stato fatto ad arte in tal modo che si procura la nutrizione dalla sua corruzione, e tutto in sé e da per sé patisce e fa. Credette infatti l’artefice che migliore sarebbe il mondo se bastasse a se stesso che se fosse bisognoso d’altri. E le mani, con le quali non aveva nessun bisogno di prendere né di respingere alcuna cosa, dio non credette di dovergliele aggiungere invano, e nemmeno i piedi, né quant’altro serve per camminare. Ma gli assegnò il movimento adatto al suo corpo, quello dei sette che più s’accosta all’intelligenza e al pensiero. E però menandolo intorno nello stesso modo, nello stesso luogo e in se stesso, lo fece muovere con moto circolare e gli tolse tutti gli altri sei movimenti e lo privò dei loro errori. E non essendovi bisogno di piedi per questa rotazione, lo generò senza gambe né piedi.
Platone, Timeo, 31b-34a; trad. it. in Platone, Opere, Laterza, Roma-Bari 1974, vol. 2°, pp. 481-483