Bonaventura da Bagnoregio
La conoscenza umana

Quaestio: Se qualsiasi cosa noi conosciamo con certezza la conosciamo nelle ragioni eterne
[…] Per avere la certezza della conoscenza intellettiva si richiede che anche chi è pellegrino sulla terra attinga in qualche modo le ragioni eterne, come ragioni normativa e motrici; non però da sole e nella loro chiarezza, ma insieme con la propria ragione creata e conoscendole come in uno specchio o in un'ombra.
Rispondo.
Per comprendere quanto si è affermato, occorre rilevare che, quando si dice che tutto ciò che si conosce con certezza lo si conosce nella luce delle ragioni eterne, questo può essere inteso in tre modi. In primo luogo, si può intendere che alla certezza conoscitiva concorre l'evidenza dell'eterna Luce come criterio totale e unico del conoscere. Tale modo di intendere è il meno giusto, per il fatto che, in questo caso, non vi sarebbe alcuna conoscenza delle cose se non nel Verbo; e allora la conoscenza su questa terra non differirebbe da quella della vita celeste, né la conoscenza nel Verbo da quella nel proprio genere, né la conoscenza propria della scienza da quella propria della sapienza, né la conoscenza di natura da quella di grazia, né la conoscenza razionale da quella rivelata. Ora, dato che tutto ciò è falso, non si deve in alcun modo sostenere questa tesi. Infatti, dalla tesi, sostenuta da alcuni, quali i primi Accademici, che nulla si può conoscere in modo certo se non nel mondo archetipo ed intelligibile, nacque, come afferma Agostino nel Contra Academicos, l'errore dei nuovi Accademici, cioè che non si può conoscere nulla, per il fatto che quel mondo intelligibile è celato alle menti umane. Perciò essi, volendo restare fedeli alla prima tesi e alla propria posizione, caddero in un errore manifesto, poiché " un errore piccolo in principio diviene grande alla fine " .
In secondo luogo, si può intendere che le ragioni eterne concorrono necessariamente alla certezza conoscitiva per ciò che concerne il loro influsso, in modo che il soggetto conoscente, nel conoscere, attinge non le ragioni eterne in sé, bensì soltanto tale loro influsso. - Ma anche questo modo di intendere è insufficiente, stando alle parole del beato Agostino; egli infatti dimostra con parole ed argomenti inequivocabili che, nella conoscenza certa, lo spirito deve essere orientato da leggi immutabili ed eterne, non come attraverso una disposizione acquisita dello spirito stesso, ma proprio attraverso quelle leggi che sono al di sopra di sé nella Verità eterna. Pertanto, dire che il nostro spirito, nel conoscere, non si eleva al di sopra dell'influsso della Luce increata, significa dire che Agostino si è ingannato, dato che non è facile, quando si espongono i suoi testi, interpretarli in questo modo, Ora, è sommamente assurdo affermare questo di un così grande Padre e Dottore, degno di fede sopra ogni altro tra tutti gli interpreti della sacra Scrittura.
Inoltre, tale influsso della Luce increata o è generale, in quanto Dio esercita un influsso su tutte le creature, o è speciale, come quando Dio influisce per mezzo della grazia. Poniamo che sia generale: ma allora di Dio non si deve dire che dà la sapienza più di quanto si dice che feconda la terra, né si dovrebbe dire che da Lui proviene la scienza più che il denaro. Poniamo, invece, che tale influsso sia speciale, come è la grazia: ma allora, secondo questo modo di argomentare, ogni conoscenza è infusa e nessuna è acquisita o innata, cose tutte assurde .
Vi è, quindi, un terzo modo di intendere, quasi mediano rispetto agli altri due, e cioè che la conoscenza certa richiede necessariamente la ragione eterna, come normativa e motrice, non però da sola e in tutta la sua chiarezza, ma insieme con la ragione creata, e come imperfettamente intravista da noi, secondo la nostra condizione di pellegrini sulla terra.

Bonaventura da Bagnoregio, La conoscenza di Cristo, q. IV, trad. it. L.I.E.F, Vicenza 1987, PP.148-154

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