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Sembra loro che vi siano due princìpi del tutto, il principio attivo e quello passivo. Quello passivo è la sostanza senza proprietà, la materia, e quello attivo è la ragione che si trova in essa, la divinità; quest’ultima, che è eterna, scorrendo per la materia foggia tutte le realtà. Sostengono questa dottrina Zenone di Cizio nel Della sostanza, Cleante nel Degli atomi, Crisippo nella Fisica, verso la fine del libro I, Archedemo nel Degli elementi, Posidonio nel libro II della Trattazione fisica. Dicono che sono diversi fra loro princìpi ed elementi: i princìpi sono ingenerati e indistruttibili, gli elementi si distruggono nella conflagrazione. Inoltre i princìpi sono incorporei e privi di forma, mentre gli elementi hanno determinate forme.
Un corpo è, come dice Apollodoro nella Fisica, una realtà che ha tre dimensioni, lunghezza, larghezza, profondità; questo si chiama corpo solido, la superficie invece è il limite esteriore del corpo, oppure è ciò che ha solo lunghezza e larghezza, non profondità; Posidonio, nel libro V del Delle meteore la considera esistente non solo nel pensiero, ma anche nella realtà. La linea è il limite della superficie, o lunghezza senza larghezza, o ciò che ha lunghezza soltanto; il punto è il limite della linea, vale a dire il segno minimo.
Dicono che una sola cosa è la divinità, il destino, Zeus; anche se viene indicato con molti altri appellativi. Originariamente raccolto in sé, egli ha fatto poi volgere tutta la realtà di aria in acqua; e come nella generazione si effonde il seme, così anche questo, essendo la ragione seminale dell’universo, resta insito con tale facoltà creativa nell’umidità, rendendo la materia simile a lui nella potenza generativa in vista della formazione delle cose; in seguito genera poi i quattro elementi, fuoco, acqua, aria, terra. Parla di questi Zenone nel Dell’universo, Crisippo nel libro I della Fisica, Archedemo in qualche libro del Degli elementi. L’elemento è ciò da cui prende origine ciò che si genera, e in cui da ultimo si risolve. I quattro elementi formano nel loro insieme la sostanza senza proprietà, la materia: il fuoco è il caldo, l’acqua è l’umido, l’aria è il freddo, la terra è il secco. E ciò non basta, ma nella stessa aria si trova quest’ultimo elemento: infatti nella regione più alta dell’aria c’è il fuoco che si chiama etere, da cui nasce tutta la prima sfera, quella degli astri immobili, e in secondo luogo quella degli astri erranti; più in basso viene l’aria, poi l’acqua, poi la terra, sostegno del tutto, e posta nel mezzo dell’universo.
Dicono che “cosmo” si intende in tre modi: come la divinità stessa, che ha la stessa qualità specifica della sostanza universale; è infatti indistruttibile e ingenerato, artigiano dell’ordine del mondo, portato a risolvere totalmente in sé la sua sostanza stessa in determinate fasi e poi a generarla nuovamente da se stesso; tuttavia come cosmo può essere anche inteso l’ordinamento proprio degli astri, e in terzo luogo l’insieme che risulta dall’uno e dall’altro. È cosmo ciò che ha le proprietà specifiche della sostanza universale, o, come dice Posidonio negli Elementi di meteorologia, un complesso organico di cielo e terra, e, nell’ambito di questi, un complesso organico di uomini, dèi, e cose generate in virtù di essi. Il cielo è l’estrema superficie periferica in cui si colloca tutto ciò che è divino. Il cosmo è governato secondo intelletto e provvidenza, come dice Crisippo nel libro V del Della provvidenza e Posidonio nel libro XIII del Degli dei, poiché l’intelletto lo percorre tutto quanto, così come negli individui l’anima: tuttavia in alcune parti fa sentire di più la sua efficacia e in altre meno: per esempio in alcune parti esiste solo come disposizione, così come nel corpo umano avviene nelle ossa e nei nervi; in altre è presente proprio come intelletto, come avviene nella parte direttiva dell’anima. Così l’intero cosmo, essendo un essere vivente, animato, razionale, ha come parte direttiva dell’anima l’etere come dice Antipatro di Tiro nel libro VIII del suo Dell’universo; ma Crisippo nel libro I del Della provvidenza e Posidonio nel Degli dei dicono che parte direttiva dell’anima dell’universo è il cielo, e Cleante il sole. Del resto lo stesso Crisippo poi si differenzia da se stesso e dice nello stesso libro che parte direttiva è l’elemento più puro dell’etere, quello che essi dicono anche essere il primo dio, che è insito sensibilmente nelle realtà che sono nell’aria, e negli esseri viventi, e nelle piante, mentre nella terra si trova come semplice disposizione. […]
L’universo ha la sua nascita quando la sostanza da fuoco trapassa in aria e poi in acqua, e infine la parte più solida condensandosi viene a formare la terra, mentre la parte più leggera evapora e, diventando sempre più tenue, dà luogo al fuoco; quindi, in base a mescolanza di questi elementi, si formano le piante, gli esseri viventi e tutte le altre stirpi. Della genesi e della distruzione del cosmo parlano Zenone nel Dell’universo, Crisippo nel libro I della Fisica, Posidonio nel libro I del Dell’universo, Cleante, Antipatro nel libro X del Dell’universo; ma Panezio invece ha affermato che il cosmo è indistruttibile. Che il cosmo sia razionale, animato, dotato di intelletto, lo dicono Crisippo nel libro I del Della provvidenza e Apollodoro nella Fisica e Posidonio; ed il cosmo essendo un essere vivente di tal fatta, ciò significa che la sostanza è animata e dotata di sensazione. Ciò che è essere vivente è migliore di ciò che non lo è; ma nulla può esser migliore del cosmo; e quindi il cosmo è un essere vivente. È poi dotato di anima, in quanto è evidente che la nostra anima è una sua emanazione. Tuttavia Boeto dice che il cosmo non è un essere vivente. Che esso è uno lo dice Zenone nel Dell’universo, e Crisippo e Apollodoro nella Fisica, e Posidonio nel libro 1 della Trattazione fisica. Quanto all’espressione “il tutto”, come dice Apollodoro, essa può riferirsi o al cosmo ordinato o, secondo un’altra accezione, all’insieme di questo e del vuoto esterno: e di essi l’uno è limitato, l’altro, il vuoto, è infinito.
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 134-151,
trad. it. in Gli Stoici. Opere e testimonianze, a cura di M. Isnardi
Parente, Tea, Milano 1994, pp. 782-788