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Il male, si disse, è privazione di bene, il quale ultimo consiste
principalmente ed essenzialmente nella perfezione e nell'atto. L’atto poi è
di due specie: atto primo e atto secondo. L’atto primo è la forma stessa e l'integrità
di una cosa, mentre l'atto secondo ne è l'operazione. Quindi il male può verificarsi
in due modi. Primo, per una sottrazione della forma o di qualche parte richiesta
all'integrità della cosa: e così è un male la cecità, oppure la privazione di
un membro. Secondo, per una carenza della debita operazione: o perché questa
non si ha affatto, oppure perché manca del debito modo e del debito ordine.
Ma poiché il bene in senso pieno e assoluto e oggetto della volontà, il male,
che è privazione di bene, si trova in una maniera tutta particolare nelle creature
razionali dotate di volontà. Il male quindi che si verifica per una sottrazione
della forma o dell'integrità di una cosa riveste il carattere di pena; specialmente
se supponiamo che tutto è sottoposto alla provvidenza e alla giustizia di Dio,
come sopra abbiamo spiegato: rientra infatti nel concetto di pena il fatto di
essere contraria alla volontà. Il male invece che consiste nella carenza della
debita operazione, trattandosi di azioni volontarie, riveste il carattere di
colpa. Infatti a uno imputiamo come colpa il non raggiungere la perfezione di
un atto del quale secondo la volontà è arbitro. Cosi dunque ogni male, nelle
cose che hanno attinenza con la volontà, o è una pena o è una colpa.
Tommaso d'Aquino, La Somma Teologica, Volume primo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1996, I, q. 48, a. 5, p. 463