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Io, accingendomi a spiegare secondo la “fisica “e secondo l’ordine espositivo la prima parte della Genesi, che riguarda i sette giorni e la distinzione delle sei opere, dirò prima di tutto qualche cosa circa l’intenzione dell’autore e circa l’utilità del libro. Passerò, poi, a spiegare il senso letterale, trascurando, però, l’interpretazione allegorica e morale che è già stata data con chiarezza dai santi interpreti.
Mosè con questo scritto ha inteso mostrare che la creazione delle singole cose e la generazione dell’uomo sono state fatte dal solo unico Dio, al quale soltanto si deve adorazione e reverenza. E l’utilità di questo libro consiste nel conseguire dalle cose create la conoscenza di Dio, al quale è riservata l’adorazione religiosa.
Il titolo del libro è: “Inizia la Genesi”, cioè, il libro che tratta della generazione delle cose o della creazione, così chiamato per la sua parte iniziale, allo stesso modo in cui il vangelo di Matteo è chiamato Libro della generazione di Gesù Cristo per la sua prima parte.
“In principio Dio creò il cielo e la terra”, etc. Mosè espone in modo razionale le cause da cui ha avuto esistenza il mondo, e l’ordine dei tempi in cui il mondo è stato istituito e si sono formati gli esseri che lo adornano. Dapprima, pertanto, parleremo delle cause e, poi, dell’ordine dei tempi.
Le cause, dunque, della realtà del mondo sono quattro: causa efficiente, cioè Dio; causa formale, cioè la sapienza di Dio; causa finale, cioè la sua bontà; causa materiale, cioè i quattro elementi.
Poiché le cose che compongono il mondo sono mutevoli e caduche, è necessario, infatti, che abbiano un autore. E, poiché sono razionalmente disposte secondo un ordine bellissimo, è necessario che siano state create secondo sapienza. Poiché, inoltre, il creatore, se ben se ne comprende la natura, non ha bisogno di nulla, ma in se stesso è bene sommo e autosufficienza, è necessario che crei tutto ciò che crea solo per bontà e per carità, così da avere chi far partecipe della sua beatitudine, secondo il modo della carità.
E, poiché qualsiasi ordinamento viene imposto a ciò che ordinato non è, fu necessario che precedesse qualcosa di inordinato perché gli fosse imposto, secondo sapienza, ordine, e, così, ponendo ordine a ciò che era inordinato, la sapienza del creatore si rendesse visibile anche a chi ha poche cognizioni.
Se, dunque, l’uomo approfondisce la considerazione della struttura del mondo, vedrà che Dio ne è la causa efficiente, che la sua sapienza ne è la causa formale, che la sua bontà ne è la causa finale e che la causa materiale sono i quattro elementi che Dio stesso “ha creato” dal nulla “in principio”.
Mosè, nel suo libro, dà a conoscere con molta chiarezza questo distinguersi delle cause. Quando dice, infatti, “in principio Dio ha creato il cielo e la terra”, indica la causa efficiente, vale a dire Dio. Ma indica anche la causa materiale, cioè i quattro elementi che chiama con il nome di “cielo “e di “terra”. E, con le parole “in principio Dio ha creato il cielo e la terra”, fa vedere nello stesso tempo che anche quegli stessi elementi sono stati creati da Dio. E dovunque scrive “Dio disse”, etc., denota la causa formale, che è la sapienza di Dio, poiché il dire del creatore stesso altro non è che il disporre nella sua coeterna sapienza la forma che sta per essere. E ogni volta che scrive “Dio vide che ciò era buono”, etc., denota la causa finale che è la bontà stessa del creatore; infatti con la parola “vedere” si designa la predilezione e la bontà, come nel proverbio “dove c’è amore, lì c’è l’occhio”. Infatti, il “vedere” da parte del creatore che è stata creata una realtà buona, altro non è che il suo compiacimento, verso ciò che ha creato, nella bontà stessa secondo cui ha creato. La somma trinità, pertanto, nei confronti della materia, e cioè i quattro elementi, è attiva: creando, in quanto è causa efficiente: dando alla materia creata forma e ordinamento in quanto è causa formale: amando e reggendo la materia informata e ordinata, in quanto è causa finale. Infatti, il Padre è causa efficiente, il Figlio causa formale, lo Spirito Santo causa finale, e i quattro elementi causa materiale: da queste quattro cause la totalità della realtà corporea ha la sua esistenza.
Passiamo, ora a parlare dell’ordine dei tempi. E, in primo luogo, dobbiamo definire il giorno naturale. Il giorno naturale è lo spazio di tempo in cui il cielo compie una rotazione completa da una levata all’altra del sole. Si dice “giorno” anche l’illuminazione dell’aria che si fa nel cielo stesso, nettamente distinta dalle tenebre che si dicono “notte”. Questo testo scritturale usa il medesimo termine “giorno” in tutte e due le accezioni.
Si pone inoltre il problema su come possano concordarsi i due passi degli scrittori sacri, vale a dire quello secondo cui “colui che vive in eterno ha creato tutte le cose in una volta”, e quello secondo cui “in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra”. Bisogna, invero, rendersi conto che il primo testo si riferisce alla materia primordiale, mentre il secondo si riferisce alla distinzione delle forme, di cui dovremo trattare in seguito secondo la fisica.
“In principio”, dunque, “Dio ha creato il cielo e la terra”, vale a dire che, nel primo istante dei tempi, “ha creato” la materia. Il cielo, una volta creato, poiché è di estrema leggerezza, non può rimanere immobile, e, poiché contiene tutte le cose, non avrebbe potuto muoversi in avanti da un punto a un altro: perciò, dal primo momento stesso della sua creazione, cominciò a ruotare circolarmente, così che si poté perfettamente compiere la prima rotazione in uno spazio di tempo. E ciò è stato chiamato il primo “giorno”.
Ma, in questa stessa prima rotazione, l’elemento del cielo che sta più in alto, cioè il fuoco, ha illuminato la parte più alta dell’elemento che gli sta sotto, cioè l’aria: la natura del fuoco celeste, infatti, è tale da illuminare l’aria con la sua rotazione, e, mediante l’aria, da riscaldare ciò che è acqueo e terroso.
Due, infatti, come dicono i filosofi, sono le potenze del fuoco: una è lo splendore, l’altra è il calore. Il fuoco, per sua natura, infatti, produce la luminosità nell’aria e avviva il calore in ciò che è acqueo e terroso. Il calore, infatti, è potenza del fuoco di separare ciò che è solido, e, se si sente calore nell’aria, ciò si verifica in conseguenza del fatto che l’aria è ispessita per la presenza di elementi inferiori.
Nel primo giorno, dunque, “Dio ha creato” la materia e la luce, vale a dire l’illuminazione generata nell’aria mediante la prima rotazione dell’elemento superiore, cioè il fuoco. E questa è l’opera compiuta nel primo giorno.
Illuminata l’aria per la potenza dell’elemento che sta più in alto, ne seguiva che, per natura, il fuoco, proprio mediante l’illuminazione dell’aria, riscaldasse il terzo elemento, cioè l’acqua, e che, riscaldandola, la sollevasse al di sopra dell’aria. La natura del calore, infatti, consiste nel dividere l’acqua in gocce minutissime, e nell’innalzare, grazie al suo moto, quelle stesse gocce al di sopra dell’aria, come si vede nell’esalazione di vapore da un calderone, e come è visibile nelle nubi del cielo. Le nubi, infatti, e il vapore altro non sono che un cumulo di minutissime gocce d’acqua sollevate nell’aria per la potenza del calore. Ma, se la potenza del calore è troppo forte, tutto quel cumulo si trasforma in pura aria; se, invece, è troppo debole, certamente quelle gocce minutissime, riversandosi l’una sull’altra, formano gocce più grosse: e, quindi, la pioggia. Ma, se quelle piccole gocce si congelano per l’azione del vento, ne segue la neve, mentre, se sono grosse, ne viene la grandine.
La grande quantità, dunque, delle acque che tendono a precipitare, quantità che certamente all’inizio saliva fino alla regione della Luna, viene sollevata, ad opera del calore, al di sopra della sommità dell’aria, così che, subito, nella seconda rotazione del cielo, accadde che il secondo elemento, cioè l’aria, stesse come medio tra l’acqua che tende a precipitare e l’acqua innalzata in forma di vapore. E ciò corrisponde alle parole del testo sacro: e pose un “firmamento che divida le acque”. E allora l’aria fu resa idonea ad essere chiamata “firmamento”, come a dire che sostiene stabilmente l’acqua superiore e circoscrive quella inferiore, delimitandole in modo che l’una non possa passare nell’altra. O, meglio, si dice “firmamento” l’aria, per il fatto che, leggera per sua natura, circonda e stringe la terra da ogni parte e saldamente raccogliendola in forma sferica e conferendole la durezza che constatiamo: c’è, infatti, tra la durezza della terra e la leggerezza dell’aria una reciprocità di azione, per cui la durezza della terra proviene dalla azione circostringente dell’aria leggera, mentre la leggerezza e la mobilità dell’aria assumono la loro natura dal fatto che si spingono e si appoggiano sulla solidità della terra.
Così, dunque, la prima rotazione del fuoco ha illuminato l’aria, e la durata di tale illuminazione fu il primo giorno. Allo stesso modo, la seconda rotazione del medesimo fuoco, per mezzo dell’aria, ha riscaldato l’acqua e ha posto un firmamento tra acqua e acqua: la durata di questa rotazione fu chiamata secondo “giorno”.
Ma, dopo che l’acqua si è innalzata in forma di vapore al di sopra dell’aria, la successione naturale degli eventi esigeva che, essendo diminuita l’acqua che scorre, apparisse la terra, non tuttavia nella sua ininterrotta continuità, ma, per così dire, a guisa di isole. E ciò si può accertare mediante alcune esperienze.
Quanto più vapore, infatti, si eleva da un calderone, tanto più diminuisce l’acqua che vi è contenuta. Allo stesso modo, se uno strato di acqua si estende senza interruzione sopra una tavola, e se si sovrappone del fuoco sopra la continuità dell’acqua, immediatamente accade che, per il sovrapporsi del calore, lo strato di acqua si attenua e vi appaiono alcune zone asciutte, perché l’acqua diminuisce e si raccoglie in alcuni punti.
Così, dunque, l’aria posta tra le due acque, sospinta ad opera di quel maggior calore, fece la terza rotazione completa, e, compiendo tale rotazione, divise la superficie della terra in alcune isole.
Ma nella stessa rotazione – mescolandosi il calore dell’aria che sta in alto con l’umidità della terra appena lasciata scoperta dalle acque – accadeva che, per il comporsi di questi due fattori, la terra accogliesse in sé la potenza di produrre erbe e alberi: questa potenza si trasmette, in modo naturale, dal calore del cielo alla terra appena lasciata scoperta dalle acque: la durata di questa terza rotazione è stata chiamata terzo “giorno”.
Ma, dopo che fu posto un firmamento tra acqua e acqua, e dopo che, nello stesso firmamento, si generò, da quelle acque che stavano intorno, un calore tanto grande che, proprio per quel calore, il firmamento contrasse in sé l’acqua che scorre, e così apparve la terra asciutta: dopo tutto questo, ripeto, in modo naturale, accadeva che, da quella quantità di acqua contratta nel firmamento mediante il calore del terzo giorno, si formassero, nel firmamento stesso, i corpi stellari.
E che i corpi stellari siano composti, quanto alla materia, di acqua, può essere provato in modo certo. È palese, infatti, che i due elementi che stanno più in alto – il fuoco e l’aria – per loro natura non sono massicci, e non possono essere visti per loro natura, ma solo per mezzo di un accidente accessibile alla vista. E se alcuni inesperti dicono di vedere il cielo quando l’aria è pulita, ciò è assolutamente falso, giacché si immaginano di vedere l’azzurro. Quando, infatti, vien meno la vista, l’errore del senso dà l’impressione di vedere ciò che di fatto non vede, come quando, chiusi gli occhi, sembra di vedere il buio: il raggio visivo, infatti, nonostante abbia origine dalla luce degli occhi, è del tutto inefficace se non è riflesso da un ostacolo di una certa compattezza.
Ma, se questa aria che sta in basso tra noi e la parete o il muretto o qualcosa della stessa sorta non può costituire ostacolo alla vista così che possa esserci sensazione, a maggior ragione non lo può costituire l’aria che sta più in alto e che è più pura. Per questo, propriamente, l’aria viene chiamata “cielo”, perché resta “celata” ai nostri sguardi.
Da ciò risulta che ogni corpo visibile deve avere una certa densità che gli deriva dalla compattezza dell’acqua o della terra: le nubi, infatti, ispessite dal vapore delle acque, risultano visibili; e anche le fiamme che si formano nelle nubi dell’atmosfera, o in qualche materia combustibile, hanno la loro sostanza dai vapori delle acque.
E anche il raggio di sole che sembra discendere attraverso la finestra, diventa visibile solo per la presenza di atomi di polvere che si muovono nel raggio e che risplendono alla luce del sole. Così, a chi sa guardare con precisione, in tutte le cose apparirà che nulla è visibile se non conseguentemente a un ostacolo che risulti costituito di acqua o di terra.
Ogni corpo, dunque, che appare visibile nel firmamento del cielo deve necessariamente la sua visibilità alla compattezza della terra o dell’acqua. Ma ciò che è terroso non può mediante il calore o per qualche altro mezzo elevarsi fino al firmamento, giacché questo è il proprio della natura dell’acqua.
Tutte le cose, dunque, che appaiono visibili in cielo traggono il loro principio materiale dalle acque: di tal fatta sono le nubi, i lampi e le comete. Analogamente; dunque, è necessario che i corpi stellari; quanto alla materia, risultino composti di acqua. E ancora: la fisica attesta che tutto ciò che si nutre, si nutre di ciò stesso di cui materialmente consta; ma i fisici dicono che i corpi stellari si nutrono di umidità. Sembra, dunque, possibile che, quanto alla materia, constino di acqua.
La durata, dunque, della quarta rotazione, nella quale i corpi stellari hanno assunto forma sferica dalle acque sospese in forma di vapore, quella durata, dico, è stata chiamata quarto “giorno”.
Ma, dopo che si furono formate le stelle, e poiché compivano il loro moto nel firmamento, da quel moto si accrebbe il calore, e, poiché progrediva fino al calore vitale, si sparse sulle acque, cioè sull’elemento che sta sopra la terra. E si formarono gli animali dell’acqua e i volatili. E la durata di questa rotazione fu chiamata quinto “giorno”.
Con la mediazione dell’umidità, quel calore vitale raggiunse, per sua natura, le cose composte di terra e, di qui, sono stati formati gli animali della terra, e nel numero di questi l’uomo fu fatto a “immagine e somiglianza” di Dio. E la durata di questa sesta rotazione fu chiamata sesto “giorno”.
Così, dunque, la prima rotazione del cielo più leggero e più lontano e assolutamente incapace di mantenersi fermo, illuminò l’aria. L’aria illuminata, scaldando l’acqua e sollevandola al di sopra di sé, divenne firmamento. Il firmamento, contenendo in sé la potenza del calore derivantegli dal vapore sovrastante, fece apparire la terra asciutta e vi inoculò la potenza della fecondità. Allora, dalla quantità di acqua sospesa nel firmamento in forza del calore si formarono le stelle.
E, così, dal moto e dal calore delle stelle ebbe inizio nelle acque la generazione degli animali, che per la mediazione delle acque si estese fino alla terra.
E, oltre questi modi di creare le cose corporee, siano esse del cielo o della terra, non poteva essercene alcun altro.
Tutto ciò, dunque, che è nato o che è stato fatto dopo il sesto giorno, non è stato istituito secondo un nuovo modo di creazione, ma ha avuto la sua natura da uno dei modi predetti. Così, dunque, il “Signore nel settimo giorno si riposò”, vale a dire rinunciò a nuovi modi di creazione, dopo aver dato la perfezione (ornatus) che compete ai singoli elementi e dopo aver loro conferito una reciproca e perfetta armonia.
Infatti, anche se in seguito ha creato cose nuove e meravigliose, non diciamo tuttavia che si sia valso di un nuovo modo di creare, ma affermiamo che Dio ha prodotto tutto ciò che ha creato e che tuttora crea secondo uno dei modi predetti e per mezzo di cause seminali, che ha inserite negli elementi durante i sei giorni.
Infatti, soltanto il fuoco ha energia propria, mentre la terra è soltanto passiva, e i due elementi che stanno in mezzo sono ad un tempo attivi e passivi. L’aria, invero, è passiva rispetto al fuoco e, per così dire, somministra la potenza del fuoco e la trasferisce agli altri elementi. L’acqua, invece, è passiva sia rispetto al fuoco sia rispetto all’aria, e somministra la potenza dei due elementi superiori e la trasferisce all’ultimo elemento.
In tal modo, dunque, il fuoco è, per così dire, artefice e causa efficiente, mentre la terra, che sta in basso, è come una sorta di causa materiale. I due elementi che stanno nel mezzo sono uno strumento con una certa qual capacità di unificare, mediante cui l’atto dell’elemento superiore viene somministrato a quello più basso: infatti, essi moderano e compongono la leggerezza eccessiva del fuoco e l’eccessiva pesantezza della terra con il loro stare in mezzo.
Queste potenze e quelle che chiamo cause seminali, Dio, creatore di tutte le cose, ha poste negli elementi e le ha proporzionate in giusta misura, in modo che da quelle potenze degli elementi potesse procedere l’equilibrato ordine dei tempi, e che, nei tempi opportuni e nell’ordinato loro succedersi, le cose corporee potessero essere prodotte.
Teodorico di Chartres, Trattato dei sei giorni della creazione, tr. it. in Il divino e il megacosmo, Rusconi, Milano 1980, pp. 179-188