Aristotele
Sull’intellettualismo di Socrate

Quindi bisogna indagare di nuovo anche la virtù. Infatti anche la virtù si trova in condizione analoga: come la saggezza sta all'abilità (non è identica, ma è simile), così anche la virtù naturale sta alla virtù in senso proprio. Infatti tutti sono convinti che ciascun tipo di carattere ci appartiene, in qualche modo, per natura (subito, fin dalla nascita, siamo giusti, temperanti, coraggiosi e via dicendo), ma ugua1mente cerchiamo qualcosa di diverso, il bene in senso proprio, e che tali qualità ci appartengano in altro modo. Infatti gli stati abituali naturali appartengono anche ai fanciulli e alle bestie, ma è evidente che, senza intelletto, sono dannosi. Comunque sia, è possibile osservare almeno questo, che, come a un corpo forte privo di vista capita di cadere rovinosamente per il fatto di non possedere la vista, così stanno le cose anche in questo caso; quando uno avrà acquisito il bene dell'intelletto, l'agire sarà differente, e lo stato abituale, pur essendo simile a quello naturale, sarà virtù in senso proprio. E così, proprio come vi sono due specie della parte opinativa, abilità e saggezza, così anche riguardo al carattere vi saranno due specie, la virtù naturale e la virtù in senso proprio, e, di queste, quella in senso proprio non si genera senza saggezza.

Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 1144b 1 - 1145a 17, trad. it. di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 250-255


Qualcuno potrebbe domandarsi come sia possibile che uno, pur giudicando correttamente, non si domini. Certuni non ammettono che ciò sia possibile, se si ha scienza: sarebbe strano infatti – come pensava Socrate - che, quando è presente la scienza, qualcosa d'altro la domini e la trascini qua e là come una schiava. Socrate, a dire il vero, combatteva contro quella tesi in generale, ritenendo che non esistesse affatto la mancanza di autocontrollo, infatti riteneva che nessuno agisce contro il meglio, quando lo ha riconosciuto, ma che lo fa per ignoranza. Ora, tale argomento si oppone, senza alcun dubbio, a ciò che è evidente, e si deve indagare, nel caso in cui la mancanza di autocontrollo sia causata da ignoranza, quale tipo di ignoranza si verifichi, dato che è chiaro che chi non si controlla non ritiene di agire così, prima di trovarsi in quell’affezione.
Altri accettano una parte di quella tesi, e una parte la rifiutano: ammettono che nulla è superiore alla scienza, ma non ammettono l'idea che nessuno agisce contro ciò che ritiene migliore; quindi affermano che chi non si domina cade sotto l'impero del piacere, non quando ha scienza, ma quando ha solo un'opinione. Eppure, se fosse vero che chi non si domina ha opinione, e non scienza, e che quello che si oppone al desiderio è un giudizio non saldo ma vacillante, come quello di coloro che esitano, ci sarebbe indulgenza per il fatto che alcuni, di fronte a un forte desiderio, non tengono saldi i giudizi basati sull'opinione, mentre non si ha indulgenza per la cattiveria, o per qualsiasi altro stato degno di biasimo.
Allora in chi non si domina è la saggezza ciò che si oppone? Infatti essa è fortissima. Ma ciò è assurdo: la stessa persona verrebbe a essere insieme saggia e incapace di dominarsi, mentre non si potrà trovare nessuno disposto ad ammettere che sia tipico del saggio compiere volontariamente le cose più ignobili. Oltre a ciò, prima è stato dimostrato che il saggio è uno che sa agire, infatti si occupa del termine estremo, e possiede le altre virtù.

Aristotele, Etica Nicomachea, VII, 1145b 21 - 1146a 9, trad. it. di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 258-261

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