Platone
La scelta e l’educazione dei guardiani nella comunità politica

Queste dunque potranno essere le grandi linee dell’educazione morale e fisica. Perché si dovrebbero esporre nei dettagli danze, cacce, battute con cani, gare ginniche e ippiche? E’ pressoché evidente che devono corrispondere ai principi posti, e la loro scoperta non presenta più difficoltà. Forse no, rispose. - Ebbene, feci io, che cosa ci rimane ora da determinare? Non forse quali tra questi medesimi individui sono destinati a comandare, e quali a essere comandati? - Sì, certamente. - Non è chiaro che quelli che comandano devono essere più vecchi, quelli comandati più giovani? - E’ chiaro. - E che devono essere i migliori tra gli anziani? - Anche questo. - Ma i migliori tra i contadini non sono i più provetti agricoltori? - Sì. - Ora, poiché i nostri uomini devono essere i migliori tra i guardiani, non devono essere i più provetti nella guardia dello stato? - Sì. - E avere intelligenza per questo compito, autorità e inoltre cura dello stato? - E’ così. - Ma uno avrà una cura particolare di ciò che ama. - Per forza. - E certo amerà di un amore particolare ciò cui ritiene siano utili le stesse cose che a lui, e quando crede che il massimo successo dell’oggetto amato si traduca nel successo suo proprio, e viceversa. - E’ così, disse. - Tra i guardiani si debbono dunque scegliere uomini tali che al nostro esame risultino estremamente decisi a fare per tutta la vita, e con ogni entusiasmo, quello che ritengono utile allo stato, evitando assolutamente di compiere quello che non giudicano utile. - Sì, disse, è gente adatta, questa. - Mi sembra che si debbano sorvegliare in ogni età, per vedere se osservano scrupolosamente questo principio e se alcuna malìa o costruzione li induca a respingere, obliandola, l’opinione di dover fare ciò che è il meglio per lo stato. - Di che ripulsa parli?, chiese. - Te lo dirò, risposi. Secondo me, una certa opinione esce dal pensiero o volontariamente o involontariamente: volontariamente quella, falsa, di chi disimpara una cosa per apprenderne un’altra, involontariamente ogni opinione verace. - Comprendo, disse, che cosa è questa ripulsa volontaria ma devo comprendere in che cosa consiste l’involontaria. - Che? Non pensi anche tu, feci io, che gli uomini si privano involontariamente dei beni, ma volontariamente dei mali? Non ritieni che ingannarsi sulla verità è male, possedere il vero, bene? E non ti sembra che sia possedere il vero avere un’opinione conforme alle cose che sono? - Ma sì, disse, hai ragione, sembra anche a me che gli uomini non si privino volontariamente della vera opinione. - Ora, questo non succede loro perché derubati o ammaliati o violentati? - Non comprendo nemmeno adesso, rispose. - Si vede, dissi, che parlo in stile tragico. Per derubati intendo coloro ai quali si è fatto mutare avviso e coloro che dimenticano: perché, senza che se n’accorgano, a questi viene sottratto il tempo, a quelli la ragione. E ora comprendi? - Sì. - Ancora, per violentati intendo quelli che cambiano di parere per un dolore fisico o morale. - Ho compreso anche questo, rispose, e hai ragione. - Ammaliati dovresti dire tu pure, come credo io, coloro che mutano d’avviso o perché affascinati da un piacere o perché la paura fa loro temere qualcosa. - Sì, ammise, tutto ciò che inganna sembra sprigionare una malìa.
Come dunque dicevo poco fa, si deve cercare quali guardiani meglio rispettino la norma loro propria, di dover fare ciò che ritengano sempre il meglio per lo stato. Occorre perciò sorvegliarli fin da fanciulli e proporre loro opere che potrebbero far scordare assai facilmente tale norma e dare luogo a inganni; e si deve approvare chi la ricorda e non è facile all’inganno, scartare invece chi lo è. Non è vero? - Sì. - E bisogna poi imporre loro fatiche, dolori e gare in cui si devono osservare queste medesime doti. - Giusto, disse. - Perciò occorre, continuai, istituire per questi uomini una prova anche per la terza specie, quella della malìa, e stare a vedere: come, conducendo i puledri nello strepito e nella confusione, si esamina se sono paurosi, così nella giovinezza bisogna far provare a questi nostri uomini qualche spavento e poi, mutando sistema, riportarli ai piaceri, saggiandoli assai più di quanto si saggi l’oro nel fuoco; e osservare se in ogni circostanza uno si dimostra resistente alla malìa e si comporta bene, facendo buona guardia alla propria persona e alla musica che ha appresa; se sì dimostra sempre ossequente alle leggi del ritmo e dell’armonia; con tali doti potrebbe essere molto utile a sé e allo stato. E a chi superi le successive prove, nell’infanzia, nell’adolescenza e nella maturità, e risulti integro, si devono affidare il governo e la guardia dello stato e conferire onori da vivo e da morto; deve ottenerne i massimi segni sia con tombe sia con ogni altro genere di monumenti. Ma chi non è tale, si deve scartarlo. Pressappoco così, continuai, mi sembra, Glaucone, che si debbano scegliere e costituire i governanti e guardiani: a grandi linee, dico, senza, entrare nel dettaglio. - Pressappoco così, disse, penso anch’io. - E allora, non è forse molto giusto, in verità, definire costoro perfetti guardiani sia rispetto ai nemici esterni sia rispetto agli amici interni, ad evitare che questi vogliano e quelli possano fare del male? e definire ausiliari e tutori dei decreti dei governanti quei giovani che or ora chiamavamo guardiani? - Mi sembra di sì, rispose.
Se dobbiamo dire una nobile menzogna, una di quelle che si rendono necessarie e alle quali or ora alludevamo, quale espediente potremmo adottare, continuai, per farla credere specialmente agli stessi governanti e, se no, al resto dei cittadini? - Quale menzogna?, chiese. - Non si tratta di una novità, risposi, ma di una certa cosa fenicia, che è già successa per il passato in parecchi luoghi, come raccontano e hanno fatto credere i poeti; ma che non è successa nel nostro tempo e non so se possa succedere; e per farla credere, occorre essere molto bravi a persuadere. Oh, disse, sembra che tu abbia scrupolo di parlare! Quando avrò parlato, ribattei, vedrai che ne ho fondato motivo. - Parla, disse, senza timore. - Ebbene, parlo: pure non so con quale coraggio o quali parole mi esprimerò. Cercherò di persuadere prima gli stessi governanti e i soldati, poi anche il resto dei cittadini, che tutta quell’educazione fisica e spirituale che noi davamo loro, essi credevano di sentirla e di riceverla, ma non erano che dei sogni; e veramente allora essi si trovavano entro la terra, già plasmati e allevati, essi stessi, le loro armi e, bell’e fabbricato, tutto il resto del loro equipaggiamento. E quando in ogni dettaglio fu ultimata la loro preparazione, la terra loro madre li mise alla luce: ora essi sono tenuti a provvedere e a difendere la terra che abitano come fosse la loro madre e nutrice, se qualcuno l’assale, e a considerare gli altri cittadini come fratelli e "nati dalla terra". - Non era senza ragione, disse, che da un pezzo esitavi a dire questa menzogna. - Molto naturale!, risposi; ciononostante ascolta anche il resto del mito. Continuando il racconto, diremo loro così: voi, quanti siete cittadini dello stato, siete tutti fratelli, ma la divinità, mentre vi plasmava, a quelli tra voi che hanno attitudine al governo mescolò, nella loro generazione, dell’oro, e perciò altissimo è il loro pregio; agli ausiliari, argento; ferro e bronzo agli agricoltori e agli altri artigiani. Per questa generale comunanza di origine dovreste generare figli per lo più simili a voi; ma v’è caso che da oro nasca prole d’argento e da argento prole d’oro, e così reciprocamente nelle altre nascite. Perciò la divinità ordina prima e particolarmente ai governanti di non essere di nessuno tanto buoni guardiani e di non custodire nulla con tanto impegno quanto i figli, osservando attentamente quale tra questi metalli si trova mescolato nelle anime loro; e se uno stesso loro figlio ha in sé alla nascita bronzo o ferro, di non averne alcuna pietà, ma di usare alla natura il riguardo dovutole e di respingerlo tra gli artigiani o tra gli agricoltori; e reciprocamente, se da costoro nascono figli che abbiano in sé oro o argento, di rendere loro gli onori dovuti e d’innalzare quelli ai compiti di guardia, questi ai compiti di difesa, perché esiste un oracolo per cui lo stato è destinato a perire quando la sua custodia sia affidata al guardiano di ferro o a quello di bronzo. Ora, conosci qualche espediente per indurli a credere questo mito? Per indurre proprio loro, rispose, no, non ne conosco; né conosco però per indurre i loro figli, i posteri e il resto della futura umanità. - Sarebbe anche questo, dissi, un ottimo mezzo per aumentare il loro interessamento per lo stato e degli uni per gli altri: più o meno comprendo il tuo pensiero.
Ora, questo andrà attuato così come vorrà la pubblica opinione. Quanto a noi, armiamo questi "nati dalla terra" e poi facciamoli avanzare guidati dai loro capi. Quando sono giunti, osservino quale luogo dello stato sarà migliore per porre il campo, un luogo donde più facilmente possano frenare i concittadini, se c’è chi non vuole obbedire alle leggi, e respingere gli stranieri, se si produce un assalto nemico come quello di un lupo a un gregge. Quando si sono accampati e hanno celebrato i sacrifici agli dèi cui spettano, si fabbrichino gli alloggi. Che ne pensi? - Così, rispose. - Non li devono fabbricare tali che li coprano nella cattiva stagione e siano adatti nella buona? - Come no?, disse. Tu parli delle abitazioni, mi sembra. - Sì, risposi, ma per soldati, non per uomini d’affari. - Come puoi dire, chiese, che ci sia differenza tra le due cose? - Cercherò di spiegartelo, risposi. La cosa più grave e più vergognosa di cui si possano macchiare dei pastori è quella di nutrire, a protezione delle greggi, cani di tale razza e indole che per intemperanza o fame o altra cattiva abitudine cerchino di fare del male alle pecore, pur essendo cani, e, invece di essere cani, rendersi simili a lupi. - Grave, ammise; come no? - Non bisogna dunque stare attenti in ogni modo che i nostri ausiliari non si comportino così con i cittadini, ad evitare che per la loro maggiore forza, anziché esserne benevoli alleati, si riducano simili a selvaggi padroni? - Bisogna, sì, rispose. - E il miglior modo di premunirli non sarà se hanno una educazione realmente buona? - Ma certo che ce l’hanno, disse. E io: - Non è il caso di affermarlo recisamente, caro Glaucone. Si può però asserire quello che dicevamo poco fa, che essi devono ricevere la retta educazione, qualunque sia, se sono destinati a essere estremamente miti con se stessi e con le persone che custodiscono. - Precisamente, rispose. - Ora, una persona assennata direbbe che, oltre a questa educazione, occorre procurare loro anche le abitazioni, insieme con un capitale che non impedisca loro di essere i migliori guardiani possibili e che non li spinga a fare del male agli altri cittadini. - E sarebbe la sua un’affermazione verace. - Vedi ora, dissi, se, per essere tali, è così che devono vivere e abitare: prima di tutto nessuno deve avere sostanze personali, a meno che non ce ne sia necessità assoluta; nessuno deve poi disporre di un’abitazione o di una dispensa cui non possa accedere chiunque lo voglia. Riguardo alla quantità di provviste occorrenti ad atleti di guerra temperanti e coraggiosi, devono ricevere dagli altri cittadini, dopo averla determinata, una mercede per il servizio di guardia, in misura né maggiore né minore del loro annuo fabbisogno. Devono vivere in comune, frequentando mense collettive come se si trovassero al campo. Per quello che concerne l’oro e l’argento, occorre dire loro che nell’anima hanno sempre oro e argento. divino, per dono degli dèi, e che non hanno alcun bisogno di oro e argento umano; e che non è pio contaminare il possesso dell’oro divino mescolandolo a quello dell’oro mortale: perché numerose sono le empietà che si sono prodotte a causa della moneta volgare, mentre integra resta quella che portano entro il loro. Anzi a essi soli tra i cittadini del nostro stato non è concesso di maneggiare e di toccare oro ed i argento, e di entrare sotto quel ‘medesimo tetto che ne ricopra; né di portarli attorno sulla propria persona né di bere da coppe d’argento o d’oro. E così potranno salvarsi e salvare lo stato. Quando però s’acquisteranno personalmente terra, case e monete, invece di essere guardiani, saranno amministratori e agricoltori; e diventeranno padroni odiosi anziché alleati degli altri cittadini. E così condurranno tutta la loro vita odiando e odiati, insidiando e insidiati, temendo molto più spesso e molto di più i nemici interni che gli esterni; ed eccoli già correre sull’orlo della rovina, essi e il resto dei cittadini. Per tutto ciò, continuai, diciamo pure che così debbono essere organizzati i guardiani per quanto riguarda l’abitazione e gli altri bisogni; e siano queste le nostre leggi. No? - Senza dubbio, rispose Glaucone.

Platone, Repubblica, III, 412 b – 417 b, in Opere complete, Laterza, Roma-Bari 1980

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