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Il dialogo culturale non è così urgente fino a quando la nuova fede si rivolge agli umiliati e offesi della società antica, ma è la sua stessa diffusione a suscitare l'incontro - dialogo o scontro - con i notabili e i letterati, consci della propria identità culturale. L'apologetica cristiana non può rinchiudersi in un atteggiamento ostile alla saggezza pagana, il rispetto della quale è imposto da alcuni rappresentanti. Si deve trovare un linguaggio che stabilisca un contatto tra gli uomini della Bibbia ed i custodi della tradizione classica. Gli stessi cristiani colti non potevano arrivare a rifiutare d'un sol colpo i venerabili insegnamenti che li avevano formati, né condannare alla dannazione i custodi degli antichi valori i cui capolavori vivevano nel cuore della loro memoria, Omero, Virgilio, Platone, Cicerone, gli intercessori del pagano Macrobio. Per i convertiti il problema pedagogico non sì poneva solo in termini retroattivi. Esso poneva in discussione anche la formazione della generazione successiva. Le scritture giudaiche, anche se completate dai vangeli cristiani, non costituivano un bagaglio culturale adatto alla formazione della gioventù in tutte le parti dell'Impero.
La cultura non è soltanto un movimento dall'interno all'esterno, una diffusione di una coscienza istruita; essa implica anche un movimento dall'esterno all'interno, un occuparsi intelligente e sensibile del paesaggio mentale costruito dalle generazioni che si erano succedute, scenario della città, ritmi della comunità, testi resi sacri dall’uso. Il cristianesimo, con la sua aspirazione all'universalità, doveva negoziare un accordo con questo mondo antico che pretendeva di animare dall'interno. I seguaci della nuova fede dovevano sentirsi in una posizione di debolezza davanti al grande splendore del patrimonio classico. Si distrugge solo ciò che viene sostituito, ed essi non avevano i mezzi per sostituire il programma degli studi classici con un altro programma di analogo valore. Più il cristianesimo acquisiva importanza in seno alla società nel suo complesso e più i responsabili della nuova religione dovevano avvertire l'esigenza di un accordo con la cultura dei pagani, tanto più che si erano creati i presupposti per stipulare questa alleanza in una posizione di forza. […]
Sembra un paradosso, ma la comprensione del messaggio cristiano pare sempre più impenetrabile. La parola di Gesù, nella sua attualità storica, si rivolgeva con semplicità a gente semplice che la comprendeva senza difficoltà, a partire da rappresentazioni mentali comuni nell'ambiente palestinese. Ma nel giro di poche generazioni le Scritture della nuova fede sembrano aver perduto la loro trasparenza, e richiedono sforzi sempre maggiori da parte di coloro che aspirano a cogliere il significato del testo. Sicuramente la difficoltà derivava in gran parte dal fatto che i proseliti non giudaici non possedevano quel retroterra ebraico proprio degli abitanti della Palestina. Essendo estranei a questa tradizione, essi dovevano fare uno sforzo intellettuale e spirituale per appropriarsi di realtà che non erano loro congenite. Molti libri dell'Antico Testamento non risultano di facile e diretto approccio, nonostante la traduzione dall'ebraico in greco o in latino. D'altra parte, dal confronto fra culture diverse scaturiscono delle difficoltà imprevedibili: sottintesi da cogliere, difficoltà d'interpretazione da risolvere. Un romano colto è molto più esigente di un pescatore del lago Tiberiade. A ciò si aggiunga l'enorme complessità del documento biblico considerato nel suo insieme. Nell'originario ambiente giudaico esisteva una lunga tradizione di rabbini e commenti nutriti della Bibbia che potevano mettere il loro sapere a disposizione dei propri concittadini. Ma una volta che il cristianesimo è uscito dalla Sinagoga e si accinge a diffondersi nell'ambiente culturale del paganesimo, i nuovi cristiani e le loro guide spirituali rischiano di trovarsi in possesso di un libro dell’Antica Legge che è diventato un libro chiuso.
La lettura biblica è così diventata, rapidamente, sempre più difficile. Ora, l'edificio cristiano poggia interamente sulle basi del Libro, e del resto anche il Nuovo Testamento rimanda costantemente all'Antico. I Padri della Chiesa si trovano di fronte ad un compito ineluttabile. Essi possono usufruire della tradizione dei rabbini, ma l'interpretazione cristiana sovrappone alle esegesi giudaiche un rinnovamento del significato che impedisce di riprendere solo ed esclusivamente i commenti giudaici. La scienza dei cristiani deve crearsi una nuova base a suo proprio uso, ed è proprio a questo che lavorano personalità quali Clemente, Origene, Girolamo, Agostino, iniziatori di un cambiamento culturale, maestri di un nuovo umanesimo. Al di fuori della religione degli umili, che si accontentano di un minimo di spiritualità, religione del cuore e dell'obbedienza, si costituisce una religione dei dotti, baluardo culturale in seno al quale si rifugiano nel corso dei secoli ingrati tutti coloro che compongono l'élite colta della cristianità.
G. Gusdorf., Storia dell'ermeneutica (1988), trad. it. Bompiani, Milano 1989, pp. 49-50; 59-60