M. Ferraris
Interpretazione si dice in molti modi

"Interpretazione" è una parola che si attaglia a molte operazioni non necessariamente collegate. In primo luogo (è il senso della hermeneia nel Perí hermeneias aristotelico, tradotto in latino con De interpretatione), l'interpretazione è l'espressione linguistica propria degli uomini ma, secondo il De anima, anche degli animali di simboli che risultano universali, conseguendo da impressioni presenti nell'anima, attraverso suoni particolari (ossia variabili col mutare delle lingue). In secondo luogo, troviamo una funzione speculare, l'interpretariato linguistico, chiamato a ricondurre le espressioni, diverse nelle varie lingue, ai symbola universali, così da assicurare l'intesa. In terzo luogo, c'è (e si tratta di un fossile del senso aristotelico e generalmente antico che, come abbiamo visto, risulta desueto, tranne in frasi fatte come "farsi interprete del sentimento nazionale", ecc.) l'interpretazione come espressione, in musica o in recitazione, di note musicali o parole scritte: Glenn Gould interpreta Bach, Lawrence Olivier Shakespeare, ecc. In quarto luogo, abbiamo l'esplicitazione di un senso oscuro o non sufficientemente determinato: un manoscritto corrotto non ci dà un senso coerente, e dobbiamo interpretare (al limite, però, solo come extrema ratio, divinatio filologica, cioè congettura); una poesia è ellittica, e possiamo cercare di esplicitarla; un quadro suggerisce allusioni che possiamo notificare a chi vede; una legge vale per molti casi, e bisogna farla quadrare nel caso specifico. In quinto luogo, c'è l'interpretazione come "comprensione", secondo l'asse Schleiermacher-Dilthey-Gadamer: la natura, un altro uomo, un'altra epoca, ci risultano estranei, magari ci parlano, però non ci "dicono" niente; bisogna gettare un ponte (per esempio dire che la natura è un libro, l'altro uomo è nostro fratello in Adamo, l'altra epoca ha problemi parte uguali parte diversi dai nostri), e allora forse ci "parleranno". In sesto luogo, c'è l'interpretazione come smascheramento (Nietzsche-Freud-Marx). La natura, l'epoca, ci sollecitano e ci interessano, però abbiamo motivi per credere che mistifichino: la natura ama nascondersi, l'uomo è un bugiardo (o forse si automistifica), l'epoca non si è compresa per difetto di distanza storica; dunque, dobbiamo pervenire alle intenzioni vere che sottostanno alle espressioni fallaci. In settimo luogo, abbiamo la tesi (Nietzsche-Heidegger) secondo cui non ci sono fatti bensì solo interpretazioni: il mondo è costituito dai nostri bisogni vitali, e questi a loro volta appaiono carichi di storia e di linguaggio, sicché ciò che sembra un oggetto è il risultato di interpretazioni di cui solo in minima parte siamo consapevoli.
Come in un cadavre exquis, la parentela che si stabilisce tra questi molteplici sensi è sovente di contiguità metonimica: poiché c'è lingua nell'espressione (senso 1, i simboli della voce esprimono le impressioni e le intenzioni che hanno luogo nell'anima), allora l'interpretazione vale anche per chi traduce lingue diverse (senso 2) o per chi si esprime in forma non linguistica o non solo linguistica, per esempio con la faccia, poniamo storcendo la bocca (o come si dice, in fondo curiosamente, il naso) e con le mani (indicazioni, gesti ingiuriosi, ecc.), e magari senza volerlo, per esempio arrossendo (senso 5). Dal momento poi che certe espressioni non risultano perspicue, perché oscure o, più frequentemente, perché ignote a molti (non tutti sanno che "epperò" non vuol dire "tuttavia" ma "perciò", o che "affatto" è affermativo, e questo può compromettere la comprensione di un testo scritto in buon italiano o, inversamente, di un testo scritto da chi creda che "epperò" o "affatto" siano avversativi, ecc.), "interpretazione" sarà anche il loro chiarimento (senso 4). E giacché parecchie cose anche chiare possono lasciarci indifferenti, "interpretazione" sarà anche l'opera di coinvolgimento per cui, poniamo, si spiegherà che la conquista romana della Gallia non è semplicemente un evento passato, ma prolunga i suoi effetti sino a noi, per esempio nella tradizione vinicola (senso 5). Ma visto che spesso non è il caso, bensì la cattiva volontà, a non farci capire le cose, "interpretazione" sarà pure lo smascheramento di chi ci voglia ingannare, o - come nella psicoanalisi - di chi si automistifichi (senso 6). Poiché infine la cattiva volontà non nasce dal nulla, bensì dalla situazione storica e vitale in cui ci troviamo (in qualità di vittime della società, della tecnica, del sistema scolastico o sanitario, dei mass media, e magari delle nostre stesse passioni, che - per questa ipotesi - sono indotte per l'appunto dalla storia), nulla esiste, fuorché le "interpretazioni" (che a questo punto sono una sfera davvero molto indeterminata, e vengono a ricoprire tutta la sfera - del resto non meno ubiqua e indeterminata - dei "fatti").
Quanto poco questi usi linguistici abbiano il medesimo significato, lo si può illustrare attraverso un esempio. Poniamo che Kohl e Chirac si incontrino. Gli viene chiesto (in tedesco a uno, in francese all'altro) se abbisognino di un interprete. I due, secondo il senso 1 (interpretazione come espressione), dovrebbero rispondere che non ne hanno bisogno, perché il solo fatto di parlare dimostra che sanno interpretare. L'equivoco si rimedierebbe attraverso una interpretazione nel senso 4 (interpretazione come chiarimento), e verrebbe un interprete nel senso 2 (interpretazione come interpretariato), che sa sia il francese sia il tedesco. Se però questi credesse di essere un interprete anche nel senso 3 (interpretazione come esecuzione), dovrebbe esigere un applauso alla fine della sua prestazione e, forse, per farlo eserciterebbe - con zelo inopportuno - l'interpretazione nel senso 5 (interpretazione come immedesimazione), per esempio dicendo a Chirac: "Lo so che lei non ha molta stima di quest'uomo, ma deve capirlo, perché fa il suo lavoro, che non è poi molto diverso da quello che fa lei", o addirittura nel senso 6 (interpretazione come smascheramento), poniamo, dicendo a Kohl: "Non creda a una parola di quello che le sta dicendo costui; e, per dirla tutta, son fatti vostri e io me ne infischio". Se poi vigesse davvero l'interpretazione nel senso 7 ("non esistono fatti bensì solo interpretazioni"), non si capisce perché i due si sarebbero incontrati, né di che cosa parlino.

M. Ferraris, L'ermeneutica, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 17-20

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