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Essi dicono che il primo impulso dell’essere vivente è quello della conservazione e che gli è stato dispensato dalla natura sin dall’inizio. Crisippo, infatti, nel primo libro Dei fini sostiene che la prima proprietà di ogni essere vivente è la sua stessa costituzione e la coscienza di essa. Non si può logicamente ammettere né che la natura renda a se stesso estraneo l’essere vivente (altrimenti non l’avrebbe creato), né che lo abbia estraneo, né che non l’abbia come creatura propria.
Bisogna dunque dire che la natura che l’ha costruito lo concilia a se stesso; per questo, esso respinge ciò che può danneggiarlo ed accoglie tutto quello che si confà alla sua costituzione. Mostrano che dicono il falso quanti sostengono che il primo impulso degli esseri viventi sia verso il piacere.
Gli Stoici sostengono, infatti, che il piacere, se realmente esiste, viene in un secondo tempo, quando la natura per se stessa ha cercato e rinvenuto tutto ciò che s’adatta alla sua costituzione: in questo modo, gli animali hanno l’umor lieto e le piante la piena fioritura.
Essi dicono, inoltre, che la natura non fa alcuna differenza tra le piante e gli animali, perché essa regola anche la vita delle piante senza impulso e senza sensazione, e d’altra parte in noi si generano fenomeni nella medesima guisa che nelle piante. Ma poiché agli animali è stato ingenerato per sovrappiù l’impulso per mezzo del quale essi si dirigono ai loro propri fini, ne deriva che la loro disposizione naturale si attua nel seguire l’impulso. E poiché gli esseri razionali hanno ricevuto la ragione per una condotta più perfetta, il loro vivere secondo ragione coincide rettamente col vivere secondo natura, in quanto la ragione si aggiunge per loro come plasmatrice ed educatrice dell’istinto.
Perciò Zenone per primo nella sua opera Della natura dell’uomo definì fine il vivere in accordo con la natura, cioè vivere secondo virtù, perché la natura ci guida alla virtù. Così anche Cleante nel libro Sul piacere [...].
Crisippo nel libro primo Dei fini afferma, inoltre, che il vivere secondo virtù coincide col vivere nell’esperienza degli accidenti naturali; ché le nostre nature sono parti della natura dell’universo.
Per questo motivo, il fine è costituito dal vivere secondo natura, cioè secondo la natura singola e la natura dell’universo, nulla operando di ciò che suole proibire la legge a tutti comune, che è identica alla retta ragione diffusa per tutto l’universo ed è identica anche a Zeus, guida e capo dell’universo. Ed in ciò consiste la virtù dell’uomo felice e il facile corso della vita, quando tutte le azioni compiute mostrino il perfetto accordo del demone che è in ciascuno di noi col volere del signore dell’universo.
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 85-89, a cura di M. Gigante, Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 329-330