![]() |
La considerazione delle creature é necessaria non solo a istruire nella verità, ma anche a combattere l’errore. Infatti gli errori circa le creature talora allontanano dalla fede, perché sono incompatibili con la vera conoscenza di Dio. E questo può avvenire in più modi.
Primo, perché chi non conosce le creature talora arriva all’assurdità di considerare quale prima causa, e quindi Dio, cose le quali non possono non derivare da altre cause, ritenendo di non poter ammettere altri esseri che quelli che si vedono. Tra costoro troviamo quelli che consideravano Dio qualsiasi essere corporeo: “Coloro che”, come dice la Sapienza (XIII, 2), “o il fuoco, o il vento, o l’acre mobile, o il cielo delle stelle, o la gran massa delle acque, o il sole e la luna credettero dei”.
Secondo, per il fatto che essi attribuiscono a delle creature ciò che é prerogativa solo di Dio. Ma anche questo capita per un errore circa le creature. Infatti ciò che è incompatibile con la natura di una cosa, non le viene attribuito, se non perché codesta natura è ignorata: come nel caso in cui all’uomo si attribuissero tre piedi. Ebbene ciò che è esclusivamente di Dio è incompatibile con la natura di una creatura: come è incompatibile con altre creature ciò che è esclusivamente dell’uomo. Perciò l’errore suddetto capita perché s’ignora la natura delle creature. Di qui la condanna della Sapienza (XIV, 21): “Imposero alle pietre e al legno il nome incomunicabile”. E cadono in tale errore coloro che attribuiscono non a Dio, ma ad altre cause, la creazione, la conoscenza del futuro, o il compimento dei miracoli.
Terzo, perché ignorando la natura del creato si toglie qualcosa alla virtù di Dio che opera nelle creature. Ciò è evidente nel caso di coloro che ammettono due principi della realtà; nel caso di quelli che fanno derivare le cose da Dio, non per volontà divina, ma per necessità; e di quelli che sottraggono le cose, in tutto o in parte, alla provvidenza divina, oppure negano che Dio possa agire fuori dal corso ordinario della natura. Tutte queste tesi infatti tolgono qualcosa alla potenza di Dio. E contro di essi si legge: “Stimarono l’Onnipotente quasi incapace di nulla” (Giob., XXII, 7). E ancora: “Ma dai a conoscere tu la tua potenza, che non sei creduto perfettamente potente” (Sap., XII, 7).
Quarto, perché l’uomo, il quale é guidato verso Dio dalla fede come al suo ultimo fine, per l’ignoranza delle cose naturali e quindi della sua posizione nell’universo, può pensare di essere sottoposto alle cose cui é superiore. Ciò é evidente nel caso di coloro che ritengono la volontà degli uomini soggetta agli astri, contro i quali Geremia (X, 2), ha scritto: “Non temete i segni del cielo, di cui temono i gentili”; di coloro che ritengono gli angeli creatori delle anime, oppure che le anime degli uomini sono mortali, o altre opinioni che derogano alla dignità umana.
Di qui si vede come sia falsa l’affermazione di certuni i quali, come narra S. Agostino (De origine animae, IV, 4), sostenevano che non interessa affatto alla verità della fede quello che ciascuno pensa delle creature, purché abbiano un’idea giusta di Dio: poiché l’errore circa le creature si ripercuote in una falsa idea di Dio, e porta il pensiero umano lontano da Dio, verso il quale la fede cerca di condurlo, assoggettandolo ad altre cause.
Ecco perché la Scrittura minaccia castighi a coloro che errano circa le creature come agli increduli. Nei Salmi (XXVII, 5), p. es., si legge: “Poiché non hanno compreso le opere del Signore, e quello che hanno compiuto le sue mani, tu li distruggerai e non li riedificherai”; e nella Sapienza (II, a7) : “Così hanno pensato ed hanno sbagliato… non ebbero stima delle anime sante”.
Tommaso d’Aquino, Somma contro i Gentili, UTET, Torino 1975, pp. 268-274