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Se di questi argomenti e delle virtù, ed inoltre dell’amicizia e del piacere si è trattato sufficientemente nelle loro grandi linee, bisogna forse pensare che l’intento propostoci ha fine? O non è forse che, come si è detto, nel campo di ciò che è oggetto d’azione il fine non è il contemplare ed il conoscere ogni singola determinazione, ma piuttosto il compierla? Pertanto neppure per quel che concerne la virtù è sufficiente il conoscere, ma bisogna cercare di possederla e di praticarla, o, se per qualche altra via diventiamo uomini dabbene, battere questa via. Se dunque i ragionamenti fossero in se stessi sufficienti a rendere onesti gli uomini "porterebbero a buon diritto molte e grandi ricompense", secondo il detto di Teognide, e se ne dovrebbe far provvista. Ma, in realtà, consta che essi volgono ed incoraggiano sì quei giovani che sono di spirito liberale ad esser forti, e rendono un carattere nobile e veramente amante della bellezza morale posseduto dalla virtù, ma sono incapaci di volgere la massa degli uomini verso l’assoluta perfezione. Infatti la massa non è naturalmente portata ad ubbidire al pudore, ma alla paura, né ad astenersi dalle azioni malvagie per la loro turpitudìne, ma per le punizioni: giacché, vivendo sotto l’impulso della passione, persegue i piaceri che le sono propri e le cose per le quali saranno realizzati, e fugge i dolori opposti; invece della bellezza morale e del vero piacere non ha neppure l’idea, poiché non ne prova il gusto. Gente di questo genere quale argomento potrebbe cambiare? Infatti non è possibile o non è facile che delle determinazioni da lungo tempo radicate nei caratteri siano cambiate dal ragionamento. [... ] Alcuni pensano che si diventi buoni per natura, altri per abitudine, altri ancora con l’insegnamento. Ora, ciò che è dono della natura è chiaro che non dipende da noi, ma è per qualche causa divina che appartiene a coloro che sono veramente fortunati. E d’altro canto l’insegnamento teorico c’è da temere che non sia efficace in tutti quanti gli uomini, ma con le abitudini bisogna preparare previamente l’animo dell’ascoltatore a rallegrarsi e ad odiare per giusti motivi, come terra che nutrirà il seme. Infatti chi vive secondo la passione non darebbe retta ad un ragionamento che lo distolga da questo genere di vita, né invero lo comprenderebbe. Ora, chi versa in una simile condizione com’è possibile persuadere a cambiare vita? È comunemente ammesso che, in generale, la passione non si sottomette alla ragione, ma alla forza. Di conseguenza il carattere deve in qualche modo già possedere qualcosa che è proprio della virtù, amando la bellezza morale ed avendo in dispregio la turpitudine. Ma avere fin da giovane una retta educazione alla virtù è difficile se non si è allevati sotto leggi di questo genere: infatti vivere nella moderazione e nella fermezza ai più non è piacevole, e specialmente ai giovani. Per questo si devono regolare con delle leggi il loro nutrimento e le loro occupazioni: esse infatti non saranno penose una volta divenute abituali. Ma, senz’altro, non basta avere quando si è giovani un corretto regime alimentare ed una corretta cura; ma poiché anche quando si è diventati adulti si devono praticare le cose che si sono apprese ed avervi consuetudine, anche a questo riguardo avremo bisogno di leggi: e, in generale, dunque, ne avremo bisogno per tutta la vita. Infatti la massa degli uomini ubbidisce di più alla costrizione che al ragionamento, ed al castigo che alla bellezza morale. Per questo alcuni pensano che i legislatori da un lato devono invitare alla virtù ed esortare ad essa in grazia della bellezza morale, nella speranza che daranno loro ascolto coloro che nelle abitudini sono progrediti come si conviene; dall’altro infliggere punizioni e castighi a quelli che non ubbidiscono e sono riottosi per natura, e bandire totalmente gli incorreggibili.
Aristotele, Etica Nicomachea, X, 10, 1179b-1180a, BUR, Rizzoli, Milano 1986