![]() |
ATENA
Se alcuno pensa che troppo grave sia per uomini mortali giudicare questa contesa, neanche a me conviene dare giudizio di una uccisione che suscita così acute collere vendicatrici. D’altra parte, poiché tu sei pur venuto qui supplice compiutamente purificato, senza danno per la mia dimora e anche senza biasimo alcuno che a te possa fare la mia città, io ti accolgo. Ma queste [le Erinni] hanno un loro privilegio che non è facile rifiutare, e se non riescono nella causa a riportare vittoria, temo che dai loro precordi cadranno su questo paese i dardi avvelenati di un triste e intollerabile flagello.
Ora, che io accolga costoro o che le respinga, sono cose ambedue difficili per me e cagione di dolore. E poiché la lite a questo punto è precipitata, io eleggerò giudici giurati e fonderò un istituto di giustizia che resterà saldo per sempre. Voi intanto (si rivolge insieme alle Erinni e a Oreste) raccogliete prove e testimonianze, che sono, consacrate da giuramento, gli aiuti della giustizia. Io ritornerò appena eletti i migliori dei cittadini, i quali definiscano con verità la contesa e non violino, iniquamente, i giuramenti.
Atena scompare
ERINNI
Vedrete voi ora a quali rovine porteranno le nuove leggi se la causa - il delitto! - di questo matricida dovrà prevalere. Agli uomini sarà facile ogni audacia. Dai propri figli i genitori ferite e morti si dovranno d’ora innanzi aspettare.
Nessuna vigilanza avranno più le Menadi sui mortali; nessuna collera punitrice inseguirà misfatti come questo. Ad ogni morte, libera strada. E quante pene per mano dei congiunti patite! Invano si chiederanno gli uomini l’un l’altro quale fine alle sventure trovare, quale tregua; e non troveranno, infelici, che vane blandizie di vani rimedi.
Né alcuno più, percosso da sventura, implori soccorso levando il grido "O Giustizia, o Troni delle Erinni!". Sarà forse un padre, sarà forse una madre or ora uccisa, che così gemeranno gemiti di pietà. Invano! La casa di Giustizia è crollata.
È bene talvolta il terrore. È bene che sul cuore degli uomini abbia il suo posto di guardia. Il dolore giova a saggezza. Chi mai, o città o uomo mortale, che nessun’ansia, finché vivo, abbia avuto nel cuore, potrà tuttavia venerare Giustizia?
Senza freno di leggi non lodare la vita, né senza libertà. Sempre il giusto mezzo prevalga. Questo volle il dio, che i casi diversi diversamente sorveglia e dirige.
E sia qui ripetuto il detto: "Di Empietà verissima figlia è Tracotanza". Da equilibrio di mente nasce felicità a tutti cara, da tutti desiderata.
Anche ripeto, ed è legge suprema: "Rispetta l’altare di Giustizia. Non ti seduca guadagno a rovesciarlo con piede sacrilego, perché il castigo sopravverrà".
Ogni azione ha suo termine fisso. Abbia ciascuno per i genitori la reverenza dovuta, e sia rispettoso degli ospiti che frequentano la sua casa.
Chi per suo volere, non costretto da necessità, ama Giustizia, non sarà infelice né potrà mai perire del tutto. Ma chi per sua ribellione trasgredisce ogni norma, costui io dico che con tutta la sua nave, con tutto il suo carico di ricchezze contro giustizia accumulate, per forza un giorno dovrà precipitare nel mare quando il vento della tempesta gli prenda le vele e gli spezzi l’antenna.
Chiama egli al soccorso, ma nessuno lo ascolta in mezzo al turbine che lo travolge. Ride il demone sull’orgoglio dell’uomo, a vederlo così dal suo orgoglio caduto. E ora è come un fuscello tra gorghi di calamità senza scampo, né più si regge sul filo dell’onda. Con la sua lunga e felice opulenza di un tempo egli ha dato di cozzo nello scoglio di Giustizia, e quivi si è spento, nessuno lo piange, niente è più.
ATENA
Bandisci il bando, araldo, e contieni la folla. Empi del tuo fiato la tromba tirrenica che faccia udire al popolo il suo acuto squillo (tre squilli di tromba). Radunato è il Consiglio. In silenzio deve la città tutta quanta e debbono costoro (indicando le Erinni) apprendere le leggi che qui per sempre io stabilisco. Con giustizia il giudizio ha da essere pronunciato. E tu, nume Apollo, esercita l’ufficio tuo. Esponi quale parte tu hai in questa contesa.
APOLLO
Qui io venni per fare testimonianza. Quest’uomo è supplice, com’è costume, del mio santuario, è ospite del mio focolare. Del sangue del matricidio fu già da me purificato. E venni per farne la difesa io stesso. Della uccisione di sua madre io sono responsabile. E tu (ad Atena) apri il giudizio; segui saggezza e risolvi la causa.
ATENA
(alle Erinni) A voi la parola. Il giudizio è aperto. Parli per primo l’accusatore. E innanzi tutto ci informi esattamente come furono i fatti.
CORIFEA
In molte siamo, ma poche e brevi le nostre parole. E tu (a Oreste) rispondi punto per punto alle mie domande. A questa, per prima:
uccidesti tua madre?
ORESTE
La uccisi; non nego.
CORIFEA
Già uno intanto dei tre assalti l’ho vinto.
ORESTE
Ma ancora non sono a terra; non gloriarti troppo.
CORIFEA
Dimmi ora come la uccidesti.
ORESTE
Trassi la spada e le tagliai la gola.
CORIFEA
E chi ti consigliò, chi ti persuase?
ORESTE
Gli oracoli del Lossia. E il Lossia è qui, mio testimone.
CORIFEA
Lui fu, l’indovino, che ti guidò a uccidere la madre?
ORESTE
Né ho ragione, fin qui, di maledire la mia sorte.
CORIFEA
Ma se ti coglie voto di condanna, non dirai, credo, altrettanto.
ORESTE
Verrà su mio padre dalla tomba a recarmi soccorso. Ne ho fede certa.
CORIFEA
Abbi pur fede nei morti, tu che hai fatto morire tua madre.
ORESTE
La vergogna di due colpe ella aveva sopra di sé.
CORIFEA
Come? Chiarisci bene ai giudici questo.
ORESTE
Uccidendo il marito uccise mio padre.
CORIFEA
Ma tu vivi, e lei si liberò dalla colpa morendo.
ORESTE
E perché lei, quand’ancora era viva, tu non la perseguitasti?
CORIFEA
Non era dello stesso suo sangue l’uomo che uccise.
ORESTE
E sono io dello stesso sangue di mia madre?
CORIFEA
E come ti nutrì ella, sciagurato, dentro il suo ventre? Tu rinneghi il dolce sangue della madre?
ORESTE
Fammi tu ora, Apollo, testimonianza, dimmi tu se lei con diritto io la uccisi. Il fatto, qual è, non lo nego. Ma se giusta fu, a giudizio tuo, la uccisione o no, questo mi devi dire, ché io lo dica a costoro (ai giudici, non alle Erinni).
APOLLO
Parlerò io a voi, che siete il grande tribunale qui costituito da Atena. Giusta fu. Né io, profeta, posso mentire. Non mai, dal mio seggio profetico, su uomo o donna o città, pronunciai oracoli che non m’avesse Zeus comandato di pronunciare, il padre degli dèi d’Olimpo. Quale forza abbiano in loro giustizia questi comandi di Zeus vi invito a considerare, e a seguire i voleri del padre. Non c’è giuramento che valga più della parola di Zeus.
CORIFEA
Fu dunque Zeus, tu dici, che dettò a te quest’oracolo, e fu l’oracolo che intimò a Oreste di vendicare la morte del padre senza fare nessun conto del rispetto dovuto alla madre?
APOLLO
Oh, non è la medesima cosa la morte di un nobile eroe onorato da Zeus dello scettro regale! ed è anche peggio che questo eroe sia morto per mano di donna, e non in guerra colpito dall’arco di un’Amazzone veloce. Com’egli morì, udirete ora, tu Pallade e voi che qui siete seduti per definire col vostro voto questa contesa.
Ritornava dalla guerra. La sua maggiore impresa l’aveva compiuta felicemente. Con lieto volto la sua donna l’accolse. Gli preparò un bagno. Poi, nella vasca, lo avvolse di un mantello, lo chiuse nell’artificio di un peplo, lo impigliò in una rete inestricabile, e lo colpì.
Questa fu, questa che vi ho detto, la morte dell’eroe sopra tutti venerato, del duce che guidò a Ilio l’armata navale; e tale qual dissi la sua donna. Non si sentono i giudici mordere il cuore di collera e il popolo che qui è chiamato a fare giustizia?
CORIFEA
Secondo il tuo ragionare, maggiore cura si prenderebbe Zeus della sorte dei padri. E non incatenò egli suo padre, il vecchio Crono? Come le metti d’accordo tu queste cose fra loro? Siatemi voi, giudici, testimoni di ciò ch’egli dice.
APOLLO
O mostri da tutti esecrati, abominio dei numi! Ma si possono sciogliere le catene, c’è rimedio a questo, mezzi assai numerosi ci sono di liberazione. Ma una volta che il sangue di un uomo ucciso la polvere lo abbia succhiato, non c’è più risurrezione per lui. Non inventò per questo mio padre incantesimi, lui che tutto il mondo, e cielo e terra, e senza fatica né affanno, ordina e volge.
CORIFEA
Vedi come difendi costui dalla condanna. È il sangue delle sue stesse vene, è il sangue di sua madre che costui versò a terra; ed egli resterà in Argo ad abitare la casa di suo padre? A quali altari della sua gente potrà accostarsi? Quale patria lo potrà accogliere e dargli l’acqua lustrale?
APOLLO
Anche questo ti dirò; e tu vedi se rettamente io parlo. Non è la madre la generatrice di colui che si dice da lei generato, di suo figlio, bensì è la nutrice del feto appena in lei seminato. Generatore è chi getta il seme; e la madre è come ospite ad ospite, che accoglie e custodisce il germoglio, almeno finché ai due non rechi danno qualche iddio. Posso darvi la prova di ciò che dico. Padre, uno può essere anche senza madre. Qui stesso ne è testimone la figlia di Zeus olimpio, che non fu allevata nel buio di un grembo materno; ed è tale rampollo che nessuna dea avrebbe potuto generare.
Per il resto, Pàllade Atena, e per quanto è in me, io voglio far grande la tua città e la tua gente; come già mandando costui supplice al focolare del tuo santuario volli che ti fosse fedele per sempre e in lui tu acquistassi, o dea, un alleato ed alleati i suoi discendenti, e che quindi tra Ateniesi e i figli dei figli di Oreste un patto di fedeltà rimanesse stabilito in eterno.
ATENA
É tempo, ormai, che io inviti costoro a deporre nell’urna, secondo coscienza, il loro voto. Abbastanza fu detto.
CORIFEA
Sì, ogni dardo da noi fu scagliato. Non ci resta che udire come sarà giudicata la lite.
ATENA
Bene: ma come potrò fare per non essere da voi biasimata?
CORIFEA
Quello che c’era da udire, giudici, lo udiste. Portando il voto nell’urna, vi sia sacro nel cuore il giuramento.
ATENA
Ascoltatemi, o cittadini di Atene; udite che cosa è questo ordine da me qui istituito, voi che per primi siete chiamati a giudicare in una causa di sangue. Anche per l’avvenire resterà al popolo di Ègeo, e sempre rinnovato, questo Consiglio di giudici. Il colle di Ares è questo: dove già le Amazzoni ebbero loro sedi e tende quando per odio a Teseo qui si accamparono in guerra e di fronte all’Acropoli antica questa città nuova munirono di alte torri; e qui fecero sacrifici ad Ares, ond’ebbero il nome di Ares la rupe ed il colle. Su questo colle Reverenza e Paura, che di Reverenza è cognata, impediranno ai cittadini di fare offesa a Giustizia, quando non vogliano essi stessi sovvertire le leggi: chi di correnti impure e di fango intorbida limpide acque non troverà più da bere. Né anarchia né dispotismo: questa è la regola che ai cittadini amanti della patria consiglio di osservare; e di non scacciare del tutto dalla città il timore, perché senza il timore nessuno dei mortali opera secondo giustizia. E se voi, come dovete, avete timore e reverenza della maestà di questo istituto, il vostro paese e la vostra città avranno un baluardo di sicurezza quale nessun’altra gente conosce, né fra gli Scizi, né nella terra di Pelope. Incorruttibile al lucro io voglio questo Consiglio, e rispettoso del giusto; e inflessibile e pronto, vigile scolta che se anche gli altri dormono è desta.
Questi sono gli avvertimenti che ai miei cittadini, pensando al futuro, mi sono indugiata a dare. E ora levatevi, o giudici, recate all’urna i vostri suffragi e, rispettando il giuramento, definite la causa. Non ho altro da dire.
I giudici si alzano e votano uno alla volta. Ogni giudice aveva due voti, distintamente segnati, uno per l’assoluzione, uno per la condanna.
ATENA
Tocca a me ora di dare per ultima il mio giudizio. [Atena va a gettare il suo voto di assoluzione] Io voto in favore di Oreste. Madre che mi abbia generato io non l’ho. Il mio cuore, esclusi legami di nozze, è tutto per l’uomo. Io sono solamente del padre. E così il destino di una donna omicida del proprio sposo a me non importa: lo sposo m’importa, custode del focolare domestico. La vittoria sarà di Oreste anche se uguale il numero dei voti. Or via: traete fuori i voti dalle urne. A voi, dico, dei giudici che avete questo compito.
Alcuni giudici incaricati fanno lo spoglio e il computo dei voti.
ORESTE
Febo Apollo, quale sarà il giudizio?
CORIFEA
O nera Notte, madre mia, vedi tu quello che accade?
ORESTE
O un laccio di morte o ancora la luce!
CORIFEA
E noi, o scomparire per sempre o possedere ancora i nostri onori.
APOLLO
Esatto sia, ospiti, il calcolo dei voti; non ci sia frode nella divisione. Un voto che manca può essere grave danno. Basta un voto a raddrizzare una casa, o ad abbatterla.
I giudici presentano ad Atena il conto dei voti.
ATENA
Assolto è quest’uomo dall’accusa di matricidio. Il calcolo dei voti dà due numeri eguali.
Eschilo, Eumenidi, trad. it. M. Valgimigli, in Il teatro greco. Tutte le tragedie, a cura di C. Diano, Sansoni, Firenze 1970, vv. 470-753