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Che nessun universale sia una sostanza esistente al di fuori dell'anima può esser provato in modo evidente. Innanzi tutto qualcuno argomenta così: nessun singolare è una sostanza singolare e una di numero. Se infatti si sostenesse questa posizione, seguirebbe che Socrate sarebbe un universale, poiché non c'è una ragione per cui un universale sia una sostanza singolare piuttosto che un'altra. In realtà, nessuna sostanza singolare è un universale, ma ogni sostanza è una di numero e singolare. [...] Sebbene a molti risulti evidente che l'universale non sia una sostanza extramentale, esistente negli individui, realmente distinta da essi, tuttavia ad alcuni sembra che l'universale esista in qualche maniera fuori della mente degli individui, non come qualcosa di realmente distinto da essi, ma solo formalmente distinto. Costoro sostengono dunque che in Socrate c'è una natura umana, che è unita a Socrate per una differenza individuale, che non si distingue da quella natura realmente, ma formalmente. [...] Ma questa opinione mi sembra del tutto improbabile.[...]
Bisogna dunque dire che nelle cose create non esiste alcuna distinzione formale di questo tipo, ma ciò che è distinto nel mondo delle creature è realmente distinto, e sono cose distinte se ciascuna è veramente una cosa. [...] Quindi non bisogna immaginare che ci sia in Socrate l'umanità, oppure la natura umana distinta in qualche modo da Socrate, cui si aggiunga una differenza individuale, che contrae quella natura.
Guglielmo di Ockham, Logica dei termini, a cura di P. Müller, pp.
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L'universale è alcunché di reale, che esiste soggettivamente in qualche luogo?
In quinto luogo pongo la questione: l'universale è alcunché di reale, che esiste soggettivamente in qualche luogo? Circa tale questione ci sono diverse opinioni, alcune delle quali considero assolutamente false, ma che tuttavia esporrò prima di quella già criticata in precedenza.
La prima opinione sostiene che l'universale è un concetto mentale, e che quel concetto coincide con lo stesso atto di intendere, di modo che l'universale non sarebbe altro che la conoscenza confusa di una cosa; tale atto di intendere poi, siccome per suo mezzo non si conosce un ente singolare piuttosto che un altro, sarebbe indifferente e comune a tutti gli enti singolari, e perciò a seconda del suo maggiore o minore grado di confusione, sarebbe più o meno universale
Contro questa opinione, si può così argomentare: poiché attraverso ogni atto di intendere qualche cosa viene intesa, dunque mediante quell'atto di intendere qualche cosa è intesa. E non qualche cosa di singolare extramentale, perché non si può dire che venga intesa una cosa piuttosto che un'altra, né viene inteso ciò che non è piuttosto di ciò che è: dunque con quell'atto di intendere o non s'intende nulla di particolare o s'intende qualsiasi particolare. Siccome è falso che venga inteso qualsiasi particolare, perché accadrebbe che con quell'atto di intendere sarebbero conosciute infinite cose, dunque è vero che non s'intende nulla di particolare. [...]
La seconda opinione è quella di chi afferma che l'universale è una certa specie che, siccome riguarda egualmente ogni cosa singola, viene detta universale; è perciò universale per il contenuto rappresentativo, ma è particolare per il suo essere. Questa opinione è falsa perché, come si vedrà più avanti, non è necessario ammettere l'esistenza di una tale specie. Inoltre è falsa perché per l'universale s'intende ciò che è conosciuto attraverso l'astrazione dell'intelletto, mentre quella specie non è conosciuta in questo modo: infatti o tale specie è conosciuta in se stessa, e allora - come vedremo - deve necessariamente essere conosciuta dapprima intuitivamente; oppure è conosciuta in qualche cosa d'altro e, di conseguenza - come vedremo - questo qualche cosa d'altro è un universale rispetto alla specie, e allora nei suoi confronti avanzo gli stessi interrogativi di prima. E così o si va all'infinito o la specie non è universale. Inoltre, quell'opinione viene a dire che l'universale non è astratto, ma è veramente generato, perché sarebbe una vera qualità generata nell'intelletto.
Terza opinione: l'universale è una vera cosa prodotta dall'atto di intendere: sarebbe un'immagine della cosa, e sarebbe universale per il fatto che si rapporta ugualmente a tutte le cose. Questa opinione non è vera: non si deve ammettere nessuna immagine siffatta, perché tutto ciò che si trova nell'intelletto o è un atto o una modificazione [passione] o un abito; ma quell'immagine non può essere nessuna di queste cose.
Queste tre opinioni convengono nel concludere che l'universale è in se stesso una vera cosa singolare, numericamente una; in rapporto alle cose extramentali essa sarebbe universale e comune e indifferente riguardo alle singole cose; sarebbe quasi un'immagine naturale delle cose extramentali, e perciò potrebbe supporre per esse. Questo universale si comporterebbe allo stesso modo di una statua in rapporto alle cose simili: la statua è in se stessa singolare e numericamente una; tuttavia è indifferente rispetto alle cose cui assomiglia, perché porta alla conoscenza di una o dell'altra di esse, indifferentemente (senza farne conoscere l'una piuttosto che l'altra). Parimenti, coloro che sostengono che nella mente, oltre all'atto di intendere, c'è una specie o un abito, non possono affermare che l'atto di intendere è realmente universale senza dire che lo è anche la specie o l'abito, e nemmeno il contrario, perché uno qualunque dei tre è indifferente in rapporto alle cose singolari.
Queste opinioni non si possono confutare facilmente, né hanno lo stesso grado di improbabilità o di manifesta falsità delle opinioni precedentemente confutate.
Quarta opinione: non esiste un universale naturale, bensì solo l'universale convenzionale, allo stesso modo in cui un termine orale è universale: nessuna cosa infatti per sua natura è portata a supporre per qualche cosa d'altro, né può essere veramente predicata di un'altra cosa, così come si predica una parola; ciò si verifica solo per un'istituzione convenzionale. Pertanto, come le parole sono universali e predicabili delle cose per convenzione, così avviene per tutti gli universali.
Questa opinione non è vera: se così fosse, nulla per sua natura sarebbe specie o genere o viceversa. Di conseguenza Dio e una sostanza extramentale potrebbero essere egualmente universali, esattamente come qualsiasi contenuto mentale; il che è falso.
Pertanto si può affermare con molta probabilità che l'universale non è qualche cosa di reale, dotato di un essere soggettivo intramentale o extramentale, ma possiede solamente un essere oggettivo nella mente ed è una rappresentazione mentale che ha un essere tale nell'essere oggettivo, quale è l'essere posseduto dalla cosa extramentale nell'essere soggettivo. E ciò è possibile in questo modo: l'intelletto che vede una cosa extramentale, se ne rappresenta una simile nella mente, in modo che, se avesse il potere di produrre le cose nella realtà come ha il potere di produrre nuovi pensieri, farebbe esistere quella cosa nella realtà extramentale, con un proprio essere soggettivo e numericamente distinta dalla prima.
Accadrebbe - con le debite proporzioni - quello che accade nell'architetto che, vedendo una casa o un edificio qualsiasi, si forma la rappresentazione di una casa consimile nella sua mente e poi ne costruisce una simile al di fuori, che si distingue solo numericamente dalla prima; allo stesso modo, nel caso degli universali, la rappresentazione mentale formatasi nella mente alla vista di qualche cosa al di fuori, è un modello. Infatti come la casa rappresentata idealmente funge da modello all'architetto, se questi ha la capacità di produrre realmente ciò che si rappresenta, così la rappresentazione mentale è un modello per colui che l'ha presente. Essa può pertanto dirsi universale, dal momento che è un modello e si riferisce indifferentemente a tutte le cose singolari extramentali, e in base a tale somiglianza nell'essere oggettivo può stare al posto delle cose esterne, che hanno un essere simile fuori dell'intelletto. In tal modo l'universale non è prodotto per via di generazione, bensì per astrazione, che consiste in una rappresentazione mentale.
Guglielmo di Ockham, Ordinatio, Disputa 2, Quaestio
8, trad. it. a cura di A. Ghisalberti,
in Ockham, Scritti filosofici, Nardini, Firenze, 1991, pp. 120-127