Agostino
Ordine, musica, bellezza

Ma per molti lo scopo è il diletto umano e si rifiutano di mirare alle cose più alte, in modo da giudicare perché le cose visibili piacciano. Così, se chiedo ad un architetto perché, dopo aver costruito un arco, ne innalzi un altro simile nella parte opposta, egli, credo, risponderà: perché ci sia una corrispondenza simmetrica tra le parti dell'edificio. Se continuerò a chiedergli il motivo di questa scelta, mi risponderà che la corrispondenza simmetrica è cosa conveniente, bella e piacevole a chi l'osserva, e non oserà dire niente di più. Con gli occhi rivolti in basso, si rimette a ciò che vede, senza comprendere da dove derivi. Ma all'uomo, che è in possesso di un occhio interiore e che vede nell'invisibile, non cesserò di ricordare perché queste cose piacciano, in modo che sia capace di giudicare lo stesso diletto umano. Così infatti lo può oltrepassare, senza esserne dominato, in quanto non giudica in base ad esso ma esso stesso. E anzitutto gli chiederò se le cose belle sono belle perché piacciono o se piacciono perché sono belle; in proposito, di certo, mi risponderà che piacciono perché sono belle. Gli chiederò poi perché sono belle e, se mostrerà qualche esitazione, gli suggerirò che forse sono tali perché le parti sono tra loro simili e, per una sorta di intimo legame, danno luogo ad un insieme armonico.

Agostino, De vera religione, 32.59, in Opere di Sant'Agostino, parte I: Opere filosofico-dommatiche, vol. VI/1, a cura di A. Pieretti, Città Nuova Editrice, Roma 1995


Ciò che compete alla vista, a proposito del quale si dice che la proporzione delle parti è razionale, di solito si chiama bello. Ciò che compete all'udito, quando diciamo che un concetto è razionale e che un canto ritmico è composto razionalmente, ormai con nome appropriato è chiamato dolcezza. Ma non siamo soliti deinire razionale né ciò che ci diletta nelle cose belle, né ciò che ci diletta nella dolcezza dell'udito quando la corda toccata suona in modo quasi liquido e puro. Ne consegue quindi che dobbiamo accettare che il piacere di questi sensi appartenga alla ragione quando c'è proporzione e misura.

Agostino, De ordine, II, 11, 33, in Agostino, Ordine, musica, bellezza, a cura di M. Bettetini, Rusconi, Milano 1992


MAESTRO — Rimane da indagare perché nella definizione [sc. della musica] ci sia la scienza. ALUNNO — È così, infatti ricordo che il procedimento lo richiede. M. — Rispondi dunque, se ti sembra che l'usignolo misuri correttamente secondo un ritmo la voce in primavera: infatti quel canto è ritmico, molto dolce e, se non sbaglio, adatto alla stagione. A. — Mi pare chiaro. M. — È forse esperto in questa disciplina liberale? A. — No. M. — Vedi dunque che il termine scienza è necessario alla definizione. A. — Lo vedo bene. M. — Dunque dimmi, per favore: se non ti sembra che come è l'usignolo così siano tutti coloro che cantano correttamente condotti da una certa sensibilità, cioè lo fanno con dolcezza e ritmo, e sebbene interrogati sugli stessi ritmi o sugli intervalli dei suoni acuti e gravi, non sono in grado di rispondere? A. — Li considero molto simili. M. — E dunque coloro che ascoltano volentieri senza avere questa scienza non sono da paragonare alle bestie, dato che vediamo elefanti, orsi e altre specie di animali che si muovono secondo il canto e gli stessi uccelli che si dilettano delle proprie voci (non lo farebbero infatti con tanto impegno, al di là di un'intenzione interessata, senza un certo piacere)? […] M. — Ma che cosa te ne sembra? Coloro che suonano il flauto o la cetra e strumenti di questo tipo forse si possono paragonare all'usignolo? A. — No. M. — In che cosa dunque sono differenti? A. — Nel fatto che in costoro vedo che c'è una certa arte, nell'altro invece solo la natura. M. — Dici qualcosa di verosimile; ma ti sembra che si debba chiamare arte anche se eseguono per imitazione? A. — Perché no? Mi pare che l'imitazione nelle arti valga tanto che se fosse eliminata quasi tutte sarebbero distrutte. Anche i maestri si offrono per essere imitati, e proprio questo è ciò che chiamiamo insegnare. M. — Ti sembra che l'arte sia una certa razionalità e che coloro che si valgono dell'arte si valgano della ragione, o la pensi diversamente? A. — Mi sembra. M. — Chi dunque non può valersi della ragione, non può valersi dell'arte. A. — Concedo anche questo. M. — E ritieni che gli animali privi di parola, che sono detti anche irrazionali, possano valersi della ragione? A. — In nessun modo. M. — Allora, o dovrai definire razionali le gazze, i pappagalli e i corvi, oppure in modo temerario hai chiamato l'imitazione con il termine di arte. Osserviamo infatti questi uccelli cantare e fischiare molte cose alla maniera degli uomini e farlo soltanto per imitazione: a meno che tu pensi diversamente.

Agostino, De musica, I, 4.5- 4.7, in Agostino, Ordine, musica, bellezza, cit.

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