Aristotele
L'appartenenza delle emozioni al corpo

Nella maggior parte dei casi si vede che l'anima non […] riceve né […] produce alcuna [attività] senza il corpo: tali la collera, l'audacia, il desiderio, in una parola la sensazione. Per eccellenza proprio dell'anima sembra il pensare: ma se anche il pensare è una specie di immaginazione o non si ha senza l'immaginazione, ne segue che neppur esso esisterà indipendentemente dal corpo. Se dunque c'è un'operazione o passione propria dell'anima, l'anima potrà esistere allo stato separato, ma se non ce n'è nessuna propria di lei, allora non sarà separata e si troverà nella stessa condizione di quel che è dritto a cui, in quanto tale, convengono molte proprietà, ad esempio di essere tangente a una sfera di bronzo in un punto, e tuttavia, in quanto separato, non può toccarla: in realtà è inseparabile perché esiste sempre con un corpo.
Ora anche le affezioni dell'anima par che siano tutte congiunte con un corpo: il coraggio, la dolcezza, il timore, la misericordia, l'audacia e ancora la gioia, l'amore, l'odio, perché, quando si producono, il corpo subisce una modificazione. Ed ecco la prova: a volte ci colpiscono stimoli forti e violenti che pure non causano né ira né timore: a volte, invece, siamo scossi da stimoli deboli e smorzati, se il corpo è sovreccitato e si trova in una condizione come quando è incollerito. Altra prova ancora più manifesta: talora, pur non essendo presente alcuna causa di terrore, si provano le stesse emozioni di chi è impaurito. Stando così le cose, è chiaro che le passioni sono forme calate nella materia e di questo, conseguentemente, si deve tenere conto nelle definizioni: la collera, per esempio, è un movimento di tale corpo o di tale parte o di tale facoltà prodotta da tale causa per tale fine. Per ciò spetta al fisico l'investigazione dell'anima o nella sua interezza o nel particolare aspetto descritto. Diversamente definirebbero il fisico e il dialettico ciascuna di queste affezioni, ad esempio che cos'è la collera: per quest'ultimo è il desiderio di vendetta o qualcosa di simile, per il primo il ribollire del sangue o del calore che sta intorno al cuore. Dei due l'uno rende conto della materia, l'altro della forma e cioè della nozione. La nozione, infatti, è la forma della cosa, ma, se dev'essere, è necessario si realizzi in una determinata materia.

Aristotele, De anima, 1, 1, 403a 6 - 403b 3, traduzione di Renato Laurenti, in Aristotele, Opere, vol. IV, Laterza, Bari 1983, pp. 102-3

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