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Dopo che tutti gli dèi, così quelli che si muovono attorno palesemente, come quelli che si mostrano quando vogliono, furono nati, il creatore di quest’universo parlò ad essi in questo modo: "O dèi, figli di dèi, io sono il vostro artefice e padre, e le cose generate per mezzo mio non sono dissolubili, se io non voglio. Tutto che è legato è dissolubile, ma il voler dissolvere quello che è ben congiunto e che sta bene è da malvagio. E però neppur voi, poiché siete stati generati, siete immortali, né interamente indissolubili, ma non sarete disciolti, né vi coglierà la sorte del morire, perché la mia volontà è per voi legame anche maggiore e più forte di quelli, da cui foste legati nascendo. Ascoltate or dunque quello che vi dimostra il mio discorso. Tre specie mortali restano ancora da generare. E se queste non nasceranno, il cielo sarà incompiuto: perché non avrà in sé tutte le specie di animali, e occorre che le abbia, se deve essere pienamente perfetto. Ma se esse nascessero e ottenessero la vita per mio mezzo, eguaglierebbero gli dèi. Affinché dunque siano mortali, e quest’universo sia veramente universo, attendete secondo vostra natura alla creazione degli animali, imitando la mia potenza nella vostra generazione. E quanto a quella parte di essi, che conviene che abbia lo stesso nome degl’immortali, e che è detta divina e governa quelli di essi, che vogliono sempre seguitare la giustizia e voi, io ve ne darò la semenza e il principio. Quanto al resto, voi, contessendo la parte mortale con l’immortale, formate e generate animali, e dando il nutrimento fateli crescere, e di nuovo accoglieteli quando periranno. […] Imitando la forma dell’universo, ch’è rotonda, gli dei collegarono i circoli divini, che sono due, in un corpo sferico, quello che noi ora chiamiamo capo, che è la parte più divina e domina in noi tutto il resto. E ad esso gli dèi diedero come servitore anche tutto il corpo, dopo che l’ebbero composto, comprendendo che questo parteciperebbe a tutti i suoi movimenti, quali che fossero. Affinché dunque rotolando sulla terra, che ha alture e profondità d’ogni specie, non provasse difficoltà a superare le une e ad uscire dalle altre, gli diedero questo carro e questa facilità di camminare: perciò il corpo ebbe lunghezza e germinò quattro membra distese e flessibili, strumenti procurati dal dio, con cui prendendo e appoggiandosi potesse incedere per tutti i luoghi, portando al di sopra di noi la dimora di quello ch’è più divino e più sacro. Così dunque e per questa ragione a tutti furono aggiunte gambe e mani. Ma credendo gli dèi che la parte anteriore del corpo sia più nobile e più degna di comando che la posteriore, ci diedero per lo più il movimento in questa direzione. Pertanto occorreva che l’uomo avesse la parte anteriore del corpo distinta e diversa. Perciò dapprima intorno alla cavità del capo, dopo avervi adattata la faccia, legarono ivi gli organi, per ogni provvidenza dell’anima, e stabilirono che questa parte naturalmente anteriore fosse partecipe della signoria. Prima di ogni altro organo fabbricarono gli occhi che portano la luce, e ve li collocarono in siffatto modo: di tutto quel fuoco che non può bruciare, ma produce la mite luce propria d’ogni giorno, fecero in modo che esistesse un corpo. Il fuoco puro, che sta dentro di noi ed è della stessa natura di questo fuoco del giorno lo fecero scorrere liscio e denso attraverso agli occhi, costringendo tutte le parti, ma specialmente quelle di mezzo, degli occhi, in modo che trattenessero tutto quello ch’era più grasso e lasciassero passare solo quello puro. Quando dunque v’è luce diurna intorno alla corrente del fuoco visuale, allora il simile incontrandosi col simile e unendosi strettamente con esso costituisce un corpo unico e appropriato nella direzione degli occhi, dove la luce che sopravviene dal di dentro s’urta con quella che s’abbatte dal di fuori. E questo corpo, divenuto tutto sensibile alle stesse impressioni per la somiglianza delle sue parti, se tocca qualche cosa o ne è toccato, ne trasmette i movimenti per tutto il corpo fino all’anima, e produce quella sensazione per cui noi diciamo di vedere. […]
Dio ha trovato e ci ha donato la vista, affinché, contemplando nel cielo i giri dell’intelligenza, ce ne giovassimo per i giri della nostra mente, che sono affini a quelli, sebbene essi siano disordinati e quelli ordinati, e così ammaestrati e fatti partecipi dei ragionamenti veri secondo natura, imitando i giri della divinità che sono regolari, potessimo correggere l’irregolarità dei nostri. Intorno poi alla voce e all’udito di nuovo lo stesso discorso, che ci sono stati donati dagli dèi per lo stesso scopo e per la stessa cagione. Perché anche la parola è stata ordinata per lo stesso fine, ed essa vi concorre moltissimo, e così quanto v’è di utile nel suono musicale è stato dato all’udito per causa dell’armonia. E l’armonia, che ha movimenti affini ai giri dell’anima, che sono in noi, a chi con intelletto si giovi delle Muse non sembra utile, come si crede ora, a stolti piaceri, ma essa è stata data dalle Muse per comporre e rendere consono a se stesso il giro dell’anima che fosse divenuto discorde in noi: e così il ritmo, per il costume che nella più parte di noi è privo di misura e di grazia, fu dato da quelle come ausiliario allo stesso fine.
Platone, Timeo, in Opere complete, vol. 6, trad. it. di C. Giarratano, Laterza, Roma – Bari 1992