Tommaso d’Aquino
La divina provvidenza e il libero arbitrio

Le creature intelligenti sono governate per loro stesse, mentre le altre lo sono in ordine ad esse
La condizione stessa delle nature intellettive di essere padrone dei propri atti, richiede di essere curate per se stesse da parte della divina provvidenza: mentre la condizione degli altri esseri che non hanno il dominio dei loro atti, indica che ad essi la cura è rivolta non per loro, ma perché ordinati ad altri esseri. L’essere infatti che è posto in azione da altri ha la funzione di strumento: invece ciò che si pone in opera da sé ha la funzione di agente principale. Ora, lo strumento è voluto non per se stesso, ma per l’uso che ne fa l’agente principale. Perciò tutta la cura che si ha dello strumento necessariamente ha come fine l’agente principale: quella invece che si ha verso l’agente principale, o da parte di lui stesso, o di altri, in quanto è agente principale, è per lui stesso. Perciò le creature intellettive vengono guidate da Dio come volute per se stesse, mentre le altre creature lo sono in quanto sono ordinate alle creature dotate di ragione.
Chi ha il dominio dei propri atti è libero nell’agire; poiché "è libero è chi è causa di se stesso" [Aristotele, Metafisica, I, 2, n. 9] : ciò che invece è mosso da una qualche necessità ad operare, è soggetto alla schiavitù. Ora, ogni altra creatura è per natura soggetta alla schiavitù: mentre la sola natura intellettiva è libera. Ma in qualsiasi regime alle persone libere si provvede per loro stesse; per gli schiavi invece si dispone che siano a disposizione dei cittadini liberi. Dunque la divina provvidenza provvede alle creature intellettive per loro stesse, e alle altre creature in ordine ad esse.
3. In ogni serie di cose ordinate a un fine, se ce ne sono alcune tra loro che non possono raggiungere il fine loro stesse, bisogna che siano subordinate a quelle che direttamente sono ordinate al fine. Il fine dell’esercito, p. es., è la vittoria che i soldati conseguono con i loro atti, ossia combattendo: ed essi soli sono ingaggiati nell’esercito per loro stessi. Tutti gli altri invece, deputati nei vari servizi, p. es., nella cura dei cavalli, o nella preparazione delle armi, sono ingaggiati nell’esercito per i combattenti. Ora, da quanto abbiamo detto è evidente che il fine ultimo dell’universo è Dio, che è raggiunto direttamente solo dalla natura intellettiva, mediante la conoscenza e l’amore, come risulta dalle spiegazioni date. Perciò soltanto la natura intellettiva è desiderata per se stessa nell’universo, mentre tutte le altre cose lo sono in ordine ad essa.
In un tutto qualsiasi le parti principali sono richieste per se stesse alla costituzione del tutto: le altre invece lo sono per la conservazione e il perfezionamento di quelle. Ora, tra tutte le parti dell’universo le più nobili sono le creature intelligenti: perché si avvicinano di più alla somiglianza con Dio. Dunque le creature intelligenti sono curate per se stesse dalla divina provvidenza, le altre in ordine ad esse.
È evidente che tutte le parti sono ordinate alla perfezione del tutto: poiché il tutto non è per le parti, ma le parti sono per il tutto. Ebbene, la natura intellettiva ha maggiore affinità col tutto che le altre nature: poiché ogni sostanza intellettiva è in qualche modo tutte le cose, in quanto col suo intelletto abbraccia tutto l’ente: invece qualsiasi altra sostanza ha solo una particolare partecipazione dell’ente. Quindi è giusto che gli altri esseri siano governati da Dio per le sostanze intellettive.
Ogni cosa è fatta per essere guidata secondo il corso che subisce nella natura. Ora, noi vediamo che secondo il corso della natura le sostanze intellettive si servono di tutte le altre cose per loro stesse: o per la perfezione del loro intelletto, in quanto indagano in esse la verità; o per l’esercizio delle loro virtù e l’applicazione del loro sapere, alla maniera in cui l’artigiano applica i ritrovati dalla sua arte alla materia corporea; oppure per il sostentamento del loro corpo, che è unito all’anima intellettiva, com’è evidente negli uomini. È chiaro quindi che Dio provvede a tutte le cose per le sostanze intellettive.
Ciò che si vuole per se stesso, si vuole sempre: infatti, ciò che esiste per se stesso, esiste sempre; invece quello che si vuole per altre cose non è necessario che si voglia sempre, ma solo in quanto serve a ciò che si vuole per se stesso. Ora, l’esistenza delle cose deriva dalla volontà di Dio, come sopra abbiamo spiegato. Perciò tra gli esseri, quelli fatti per esistere sempre sono voluti da Dio per se stessi: mentre quelli che non durano sempre non sono voluti per se stessi, ma per altre cose. Ora, le sostanze intellettive si avvicinano più di ogni altra all’esistenza perenne, perché sono incorruttibili. Inoltre sono prive di moto, salvo quello di ordine intellettivo. Perciò le sostanze intellettive sono come governate per se stesse, mentre le altre lo sono in ordine ad esse.
Non è in contrasto con la conclusione degli argomenti addotti, il fatto che tutte le parti dell’universo sono ordinate alla perfezione di tutto l’universo: poiché tutte le parti sono ordinate alla perfezione del tutto, proprio in quanto l’una è subordinata all’altra. Nel corpo umano, p. es., appare evidente che il polmone serve alla perfezione del corpo in quanto è a servizio del cuore: quindi non fa difficoltà che esso sia insieme per il cuore e per tutto l’animale. Così non c’è difficoltà che le altre creature siano per quelle intellettive e per la perfezione dell’universo: perché se mancassero gli esseri richiesti dalla perfezione delle sostanze intellettive, l’universo sarebbe incompleto.
Cosi pure non contraddice la dottrina precedente l’osservazione che gli individui sono per la loro specie. Poiché per il fatto che sono ordinati alla loro specie, sono ulteriormente ordinati alla natura intellettiva. Infatti nessuno degli esseri corruttibili è ordinato all’uomo a vantaggio di un solo individuo umano, bensì per tutta la specie umana. Ma esso non potrebbe servire a tutta la specie umana, se non secondo tutta la propria specie. Perciò l’ordine stesso con il quale gli esseri corruttibili sono ordinati all’uomo esige che siano ordinati alla specie.
Affermando però che le sostanze intellettive sono guidate per se stesse dalla divina provvidenza, non intendiamo escludere che a loro volta esse sono ordinate a Dio e alla perfezione dell’universo. Si dice quindi che esse sono curate e provviste per se stesse e gli altri esseri per loro, perché i beni che esse conseguono dalla divina provvidenza non sono loro dati per l’utilità di altri; mentre quelli concessi agli altri esseri per disposizione divina sono dati a loro uso.
Di qui le parole del Deuteronomio IV, 19: "Vedendo il sole, la luna e gli altri astri, non cadere in errore, adorando codesti esseri, che il Signore Dio tuo ha creato a servizio di tutti i popoli che sono sotto il cielo". E quelle del salmista: "Tutte le cose hai posto sotto i suoi piedi [dell’uomo]: pecore, buoi e tutte le bestie della campagna " (Salmi, VIII, 8). E nella Sapienza si legge: "Tu, o Dominatore potente, giudichi senza passione, e con grande cura disponi di noi" (Sapienza, XII, 18).
Viene così escluso l’errore di chi ritiene che sia peccato per l’uomo uccidere gli animali. Questi infatti dalla divina provvidenza sono ordinati secondo l’ordine naturale all’uso dell’uomo. Perciò l’uomo se ne serve senza colpa, sia uccidendoli, sia utilizzandoli in altro modo. Ecco perché il Signore disse a Noè : "Io do a voi tutte le carni come verdi legumi" (Genesi, IX, 3).
E se nella Sacra Scrittura si trovano precetti che proibiscono atti di crudeltà verso gli animali bruti, come là dove si comanda di non uccidere un volatile con i suoi piccini [Deuteronomio, XXII, 61], ciò ha lo scopo di allontanare l’animo dell’uomo dalla crudeltà verso altri uomini; oppure perché colpire gli animali ridonda a danno temporale dell’uomo, sia di chi lo fa, sia di altri; ovvero per un significato simbolico, come spiega l’Apostolo (I Corinzi, XIX, 9) a proposito della prescrizione di "non mettere la museruola al bove che trebbia" (Deuteronomio, XXV, 4).

Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, CXII, trad. it. cit., pp. 839-841


La divina provvidenza non toglie l’esercizio del libero arbitrio
Ciò dimostra pure che la provvidenza non può eliminare la libertà del volere. Infatti: il governo di qualsiasi persona prudente è ordinato ad acquistare, aumentare, o conservare la perfezione delle cose governate. Perciò la provvidenza mira più a conservare quanto costituisce una perfezione che quanto costituisce un’imperfezione o un difetto. Ora, negli esseri inanimati la contingenza nel causare costituisce un’imperfezione, o difetto: poiché essi secondo la loro natura sono determinati ad un unico effetto, che raggiungono sempre, quando non intervenga un impedimento, o per una mancanza di virtù o per un agente esterno, oppure per un’indisposizione della materia; e per questo le cause agenti naturali non sono disposte a una alternativa, ma quasi sempre producono il loro effetto alla stessa maniera, e raramente falliscono. Invece la causalità contingente della volontà deriva dalla sua perfezione: poiché essa possiede una virtù che non è limitata ad un unico effetto, ma ha il potere di produrre un effetto e il suo contrario, essendo disponibile per entrambi. Dunque la divina provvidenza ha più il compito di conservare la libertà della volontà che la contingenza delle cause naturali.
La divina provvidenza ha il compito di servirsi delle cose secondo la loro capacità. Ora, la capacità operativa delle cose deriva dalla forma di ciascuna, che è il principio dell’operare. Ma la forma mediante la quale agiscono gli agenti volontari non è determinata: la volontà infatti agisce mediante la forma conosciuta dall’intelletto, poiché muove la volontà quale suo oggetto il bene conosciuto. L’intelletto però non ha un’unica forma determinata di un dato effetto, ma per sua natura è fatto per abbracciare una pluralità di forme. Per questo la volontà può produrre effetti molteplici. Dunque la provvidenza divina non può avere il compito di escludere la libertà del volere.
3. Il governo di una qualsiasi persona avveduta guida le cose governate al loro fine conveniente: cosicché S. Gregorio Nisseno afferma, che la provvidenza divina è "la volontà di Dio, mediante la quale tutte le cose esistenti ricevono la guida conveniente". Ora, il fine ultimo di ciascuna creatura consiste nel conseguire una somiglianza divina, come sopra abbiamo visto. Quindi sarebbe incompatibile con la sua provvidenza togliere a una cosa ciò per cui essa consegue una somiglianza con Dio. Ora, un agente volontario consegue una somiglianza divina per il fatto che agisce liberamente: poiché nel Primo Libro abbiamo dimostrato che in Dio c’è il libero arbitrio. Perciò la libertà del volere non può essere sottratta dalla provvidenza divina.
La provvidenza tende a moltiplicare il bene negli esseri che governa. Quindi tutto ciò che viene ad eliminare molti beni dall’universo non rientra nella provvidenza. Ora, se si togliesse la libertà del volere verrebbero eliminati molti beni. Si eliminerebbe infatti il merito della virtù umana, il quale è nullo se l’uomo non agisce liberamente. E verrebbe eliminata la giustizia di chi premia e di chi punisce, se l’uomo non compie liberamente il bene e il male. Inoltre avrebbe a cessare la prudenza nei consigli, essendo inutile trattare di cose che capitano necessariamente. Dunque la soppressione della libertà del volere è contro il compito della provvidenza.
Di qui le parole dell’Ecclesiastico, XV, 14: "Dio da principio creò l’uomo e lo lasciò nelle mani del suo consiglio"; "Dinnanzi all’uomo stanno la vita e la morte, il bene e il male: e gli sarà dato quello che lui sceglierà" (ibid., v. 18).
Viene cosi esclusa l’opinione degli Stoici. i quali affermavano che tutto avviene per necessità "secondo una concatenazione inderogabile di cause, che i greci chiamano eimarméne".

Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, LXIII, trad. it. cit. pp. 726-728


Le creature intelligenti sono soggette alla divina provvidenza in una maniera speciale
Da quanto abbiamo detto in precedenza risulta evidente che la provvidenza divina si estende a tutti gli esseri. Tuttavia è necessario che essa si eserciti sulle nature intellettive e razionali in una maniera speciale, più che sulle altre creature. Infatti codesti esseri superano le altre creature, sia nella perfezione della natura, che nella nobiltà del loro fine. Nella perfezione della natura, perché soltanto la creatura ragionevole ha il dominio dei propri atti, muovendosi liberamente all’operazione; invece le altre creature più che muoversi sono mosse ad operare, come sopra abbiamo spiegato. Le superano nella nobiltà del fine, poiché la sola creatura intellettiva raggiunge con la sua operazione il fine ultimo dell’universo, cioè Dio, conoscendolo e amandolo: invece le altre creature non possono raggiungerlo che mediante una certa partecipazione della sua somiglianza. Ora, tutti gli aspetti di un’azione, e di quanto ne dipende, cambiano secondo le diversità del fine: come cambiano i procedimenti dell’arte, secondo la diversità del fine e della materia. Un medico infatti, nell’eliminare la malattia procede diversamente che nel preservare la salute; e usa procedimenti diversi per corpi di complessione diversa. Cosi pure nel governo di una città bisogna seguire sistemi diversi, secondo le diverse condizioni di coloro che vi sono soggetti, e secondo i compiti cui questi sono ordinati: diverso é infatti il modo di disporre i soldati, per prepararli a combattere, e quello di disporre gli artigiani perché possano attendere bene ai loro mestieri. Dunque l’ordine col quale sono soggette alla divina provvidenza le creature ragionevoli, è diverso da quello col quale sono ordinate le altre creature.

Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, CXI, trad. it. cit., pp. 838-839


Dio governa il mondo con la sua provvidenza
Quanto precede è sufficiente a provare che Dio è il fine di tutte le cose. E da ciò si può procedere anche a dimostrare che egli con la sua provvidenza governa e regge l’universo. Infatti
Ogni qual volta delle cose sono ordinate a un fine, sottostanno tutte alla direzione di colui al quale quel fine principalmente appartiene, com’è evidente nel caso dell’esercito. Infatti tutti i reparti dell’esercito e le loro funzioni sono ordinati al bene perseguito dal comandante supremo, che è la vittoria; e per questo a lui spetta guidare l’esercito. Cosi pure l’arte che ha per oggetto il fine comanda e detta legge all’arte che ha per oggetto i mezzi ordinati al fine: è così che la politica guida l’arte militare, l’arte militare il maneggio dei cavalli, e l’arte nautica guida quella cantieristica. Perciò, siccome tutti gli esseri sono ordinati come a loro fine alla bontà divina, e sopra lo abbiamo dimostrato, è necessario che Dio, cui principalmente appartiene tale bontà, possedendola egli, conoscendola e amandola sostanzialmente, sia il reggitore di tutte le cose.
Chiunque produce qualche cosa per un fine, si serve di essa per tale scopo. Ora, sopra noi abbiamo dimostrato che tutte le cose comunque esistenti sono prodotte da Dio; e che Dio compie ogni cosa per il fine che è lui stesso. Dunque egli si serve di tutte le cose dirigendole verso un fine. Ma questo equivale a governare. Dunque è Dio con la sua provvidenza a governare l’universo.
Abbiamo già dimostrato che Dio è il primo motore non mosso. Ora, il primo motore non muove meno dei motori subalterni, ma anzi di più; poiché senza di esso gli altri non possono muovere. Ma tutte le cose che sono in moto sono mosse per un fine, come sopra abbiamo spiegato. Dunque Dio muove tutti gli esseri al loro fine. E, secondo le spiegazioni date, li muove con l’intelletto, non già per necessità di natura: ma per intelletto e volontà. Ebbene, dirigere e governare con provvidenza altro non è che muovere delle cose con intelligenza. Perciò Dio con la sua provvidenza governa e dirige tutto ciò che si muove verso un fine: sia che si muova fisicamente, sia che si muova spiritualmente, come chi desidera, p. es., è mosso dall’oggetto desiderato.
Abbiamo già dimostrato che i corpi di ordine naturale si muovono ed operano per un fine, sebbene non conoscano il fine, partendo dal fatto che sempre o con la massima frequenza si produce in essi quel che è meglio; e che non potrebbe capitare diversamente, se ciò fosse fatto ad arte. Ora, è impossibile che esseri privi di conoscenza agiscano per un fine e lo raggiungano ordinatamente, senza che siano mossi da una realtà che abbia la conoscenza del fine: ossia come la freccia che è indirizzata al bersaglio dall’arciere. Dunque è necessario che ogni opera della natura sia ordinata da una conoscenza. E questo mediatamente o immediatamente deve risalire a Dio: poiché ogni arte di ordine inferiore mutua i principi da quella superiore, com’è evidente nelle scienze e speculative e pratiche. Quindi Dio governa il mondo con la sua provvidenza.
Cose che per loro natura sono distinte non possono cooperare a un unico ordine, se non vengono collegate tra loro da un ordinatore. Ora, nell’universo ci sono cose distinte e di natura contraria, che tuttavia cooperano a un unico ordine; poiché le une ricevono l’azione dalle altre, mentre alcune sono aiutate o comandate da altre. Dunque è necessario che ci sia un unico ordinatore e reggitore di tutte le cose.
Dai moti che si riscontrano nei corpi celesti non si può derivare la ragione di una necessità di natura; poiché alcuni di codesti corpi hanno moti più numerosi e difformi da quelli di altri. Dunque è necessario che l’ordinamento di tali moti, e di conseguenza quelli di tutti i moti e operazioni inferiori, ad essi subordinati, dipendano da una provvidenza.
Quanto più una cosa è vicino alla sua causa, tanto più partecipa della sua efficacia. Perciò se una data cosa tanto viene partecipata più perfettamente quanto chi più ne partecipa si avvicina a una data realtà, è segno che quest’ultima è causa di ciò che viene così diversamente partecipato. Se, p. es., troviamo che i corpi sono più o meno caldi secondo la loro vicinanza al fuoco, è segno che il fuoco è causa del loro calore. Ora, si riscontra che le cose sono tanto più perfettamente ordinate, quanto più sono vicine a Dio: poiché nei corpi inferiori, che sono i più distanti da Dio per la dissomiglianza di natura, si trovano talora dei difetti rispetto al corso normale della natura, com’è evidente nei parti mostruosi e in altri fatti casuali. Invece questo non capita mai nei corpi celesti, che però sono in qualche modo mutevoli; mentre nelle sostanze intellettive separate non capitano neppure tali mutazioni. Perciò è evidente che Dio è causa di tutto l’ordine delle cose. Dunque egli con la sua provvidenza è il reggitore di tutto l’universo.
Come sopra abbiamo dimostrato, Dio ha dato l’esistenza alle cose non per necessità di natura, bensì per intelletto e volontà. Ma l’ultimo fine del suo intelletto e del suo volere non può essere che la sua bontà, ossia il proposito di comunicare la sua bontà alle cose, com’è evidente da quanto abbiamo detto. Ora, le cose partecipano la bontà di Dio mediante una somiglianza, in quanto esse stesse sono buone. Ma quello che nelle cose è il bene più grande, è il bene che consiste nell’ordine dell’universo, che è la cosa più perfetta, come nota il Filosofo [Aristotele, Metafisica, XI, 10, n. 1], e cui fa eco la Sacra Scrittura, laddove afferma: "Vide Dio tutte le cose che aveva fatto, ed erano molto buone" (Genesi, 1, 31), mentre parlando delle singole opere dice semplicemente che "erano buone". Perciò il bene dell’ordine esistente nelle cose causate da Dio è ciò che principalmente è voluto e causato da lui. Ora, governare altro non è che imporre un ordine a determinate cose. Dunque Dio col suo intelletto e con la sua volontà governa tutte le cose.
Chi persegue un fine cura di più il bene che è più vicino al suo fine ultimo: perché codesto bene è fine anche di tutto il resto. Ora, l’ultimo fine della volontà di Dio è la bontà di Dio stesso, cui si avvicina al massimo nelle cose create il bene di tutto l’universo poiché ad esso sono ordinati i beni particolari di questa o di quell’altra cosa, come ciò che è meno perfetto è ordinato a quello che è più perfetto; cosicché si riscontra che ciascuna parte è per il tutto rispettivo. Perciò la cosa che Dio cura di più nel creato è l’ordine dell’universo. Dunque egli ne è il reggitore.
Ciascuna cosa raggiunge la sua ultima perfezione mediante la propria operazione: poiché fine ultimo e perfezione di una cosa, o è la sua stessa operazione, oppure l’oggetto o l’effetto di codesta operazione; mentre la forma che costituisce la cosa ne è la perfezione prima, come spiega Aristotele [De Anima, II, c. 1, n. 2]. Ora, l’ordine delle cose causate, nella loro distinzione di natura e di grado, procede dalla sapienza divina, come sopra abbiamo dimostrato; e quindi da essa procede anche l’ordine delle operazioni con le quali le cose create si avvicinano maggiormente all’ultimo fine. Ma ordinare gli atti di determinate cose al loro fine equivale a governarle. Dunque Dio con la sua provvidenza regge e governa l’universo.
Ecco perché la Sacra Scrittura chiama Dio Signore e Re, secondo le espressioni del Salmista: "Dio stesso è Signore" (Salmi, XCIX, 2); "Dio è re di tutta la terra" (Salmi, XLVI, 8): poiché spetta al re e al signore governare i propri sudditi con i suoi comandi. Infatti la Sacra Scrittura attribuisce il corso delle cose al comando di Dio. "Egli comanda al sole, e questi non sorge, e chiude le stelle sotto sigillo", dice il Libro di Giobbe, IX, 7. E nei Salmi si legge: "Egli fissò un comando che non sarà trasgredito" (Salmi, CXLVIII, 6).
Viene escluso cosi l’errore degli antichi filosofi Naturalisti, i quali affermavano che tutto proviene dalla necessità della materia: cosicché tutto deriverebbe dal caso, e non per una disposizione della provvidenza.

Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, LXIV, trad. it. cit. 697-700


Le deliberazioni e le volizioni umane sono soggette alla divina provvidenza
Da ciò risulta evidente che anche le volizioni e le deliberazioni umane devono essere soggette alla divina provvidenza. Infatti:
Tutto ciò che Dio compie, lo compie secondo l’ordine della divina provvidenza. Perciò, siccome egli è causa della nostra deliberazione e volizione, codesti atti sono soggetti alla divina provvidenza.
Come sopra abbiamo visto, tutti gli esseri corporei sono governati da quelli spirituali. Ora, gli esseri spirituali agiscono su quelli corporei mediante la volontà. Perciò se le deliberazioni e i moti della volontà delle sostanze intellettive non rientrassero nella provvidenza di Dio, ne seguirebbe che anche gli esseri corporei sarebbero estranei alla sua provvidenza. E quindi non esisterebbe nessuna provvidenza.
Più gli esseri dell’universo sono perfetti, più devono partecipare l’ordine, in cui consiste appunto il bene dell’universo. Aristotele infatti rimprovera per questo gli antichi filosofi (Fisica, II, 4, nn. 6 ss.), i quali ammettevano il caso e la sorte nella costituzione dei corpi celesti, e li escludevano negli esseri inferiori. Ora, le sostanze intellettive sono più nobili di quelle corporee. Se quindi le sostanze corporee, per la loro sostanza e i loro atti ricadono nell’ordine della provvidenza, a maggior ragione vi ricadono le sostanze intellettive.
Le cose che sono più prossime al fine ricadono maggiormente sotto l’ordine che ad esso conduce: poiché esse servono a ordinare al fine anche le altre. Ebbene, gli atti delle sostanze intellettive sono ordinati a Dio più da vicino che gli atti delle altre cose, come sopra abbiamo visto. Perciò gli atti delle sostanze intellettive ricadono sotto l’ordine della provvidenza, con la quale Dio ordina tutte le cose a se stesso, più di quanto non vi ricadono quelli degli altri esseri.
Il governo della provvidenza deriva dall’amore col quale Dio ama le cose da lui create: infatti l’amore consiste specialmente nel fatto che "chi ama vuole del bene all’amato" [Retorica, II, c. 4, n. 2] . Quindi quanto più Dio ama determinate cose, tanto più esse ricadono sotto la sua provvidenza. Questo la Sacra Scrittura lo insegna nei Salmi, quando dice: "Il Signore custodisce tutti coloro che lo amano" [Salmi, CXLIV, 20]; e anche il Filosofo vi accenna nell’Etica (Etica, X, c. 8, n. 13), dicendo che Dio ha cura soprattutto di coloro che amano le cose dell’intelligenza come se si trattasse dei suoi amici. Da ciò risulta che Dio ama soprattutto le sostanze intellettive. Dunque le loro volizioni e deliberazioni ricadono sotto la sua provvidenza.
I beni interiori dell’uomo, che dipendono dal volere e dall’agire, sono più propri dell’uomo che i beni esterni, quali il possesso delle ricchezze e altre cose del genere: cosicché l’uomo é giudicato buono per quei beni e non per questi ultimi. Perciò se le deliberazioni e le volizioni umane non ricadessero sotto la divina provvidenza, ma vi ricadessero solo i vantaggi esterni, sarebbe più vero dire che le cose umane sono estranee piuttosto che soggette alla provvidenza. II che è riferito dalla Scrittura come affermazione di bestemmiatori. "Egli non bada alle cose nostre, e cammina attorno ai cardini del cielo" (Giobbe, XXII, 14); "Il Signore ha abbandonato la terra, e il Signore non vede" (Ezechiele, IX, 9); "Chi é colui che ha detto che si facesse una cosa, senza che il Signore la comandasse?" (Tren., III, 37).
Ci sono però delle frasi nella Scrittura, le quali sembrano a favore di questa tesi. Si legge infatti nell’Ecclesiastico, XV, "Dio da principio creò l’uomo, e lo lasciò nelle mani del suo consiglio". E poco dopo il testo continua: "Egli ti ha messo dinnanzi d’acqua e il fuoco: stendi la mano a quello che ti piace. Davanti all’uomo stanno la vita e la morte, il bene e il male: gli sarà dato quello che sceglierà". Nel Deuteronomio poi si legge: "Considera che io oggi ti ho presentato da un lato la vita e il bene, e dall’altro la morte e il male" (Deuteronomio, XXX, 15). Ma queste parole sono addotte per dimostrare che l’uomo é dotato di libero arbitrio: non già per escludere le sue deliberazioni dalla divina provvidenza.
Allo stesso modo vanno intese le affermazioni di S. Gregorio Nisseno, nel suo De Homine: "La provvidenza è di quelle cose che sono fuori di noi, ma non di quelle esistenti in noi"; e così pure le espressioni del Damasceno, il quale lo segue, e che nel secondo libro [La fede ortodossa, 11, cap. 30], scrive: "Le cose che sono in noi Dio le conosce in precedenza, ma non le predetermina". Codeste affermazioni vanno spiegate nel senso che le cose esistenti in noi non sono soggette alla determinazione della divina provvidenza così da ricevere da essa una [intrinseca] necessità.

Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, XC, trad. it. UTET, Torino 1978, pp. 775-777

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