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Bisogna indagare su ciò non solo in base alla conclusione cui siamo arrivati e alle premesse del nostro ragionamento, ma anche a partire da quanto si dice su di esso. Tutti i fatti concordano con ciò che è vero, ma vengono ben presto in conflitto con il falso.
Divisi quindi i beni in tre gruppi, e, dopo aver detto che alcuni sono esterni a noi, e altri relativi all'anima o al corpo, affermiamo che quelli che riguardano l'anima sono più importanti, e sono beni in misura maggiore. Poniamo poi che le azioni e le attività che riguardano l'anima siano i beni relativi all'anima. E così avremmo detto bene, almeno secondo la dottrina dei tre tipi di beni, che è antica ed è accreditata da tutti i filosofi.
E’ corretta anche l'affermazione che certe azioni e certe attività sono il fine: così il fine risulta essere uno dei beni relativi all'anima, e non uno dei beni esterni. Con il nostro ragionamento concorda anche l'idea che l'uomo felice viva bene e si realizzi nell’azione: abbiamo detto, all'incirca, che la felicità è un certo modo di vivere bene e di agire bene.
E’ evidente che tutti gli aspetti che si desiderano avere in una teoria della felicità si trovano in quanto abbiamo detto. Pare che per alcuni la felicità debba essere virtù, per altri saggezza, per altri un certo tipo di sapienza, per altri ancora tutte queste cose, o alcune di esse, accompagnate dal piacere o non disgiunte da esso; altri, poi, vi includono anche la prosperità esterna. Alcune di queste opinioni sono state sostenute da molti personaggi e antichi, altre solo da pochi, ma famosi: è ragionevole che nessuno di loro si sia sbagliato in tutto, ma che abbiano avuto ragione almeno su un punto, o anche su più di uno. Il nostro discorso è in armonia anche con quelli che dicono che la felicità è la virtù, o che è una qualche virtù; infatti è propria della virtù l'attività secondo virtù.
Ma è probabile che faccia non poca differenza il credere che il sommo bene consiste nel possesso o che consiste invece nell’uso, cioè nello stato abituale o nell'attività. Infatti è possibile che lo stato abituale sia presente senza che si realizzi nulla di buono, per esempio in chi dorme o è in qualche modo sotto costrizione; mentre per l'attività ciò non è possibile, infatti chi è in attività agirà necessariamente, e avrà successo. Come nei giochi olimpici non vengono premiati i più belli e i più forti, ma coloro che si impegnano nelle gare, dato che alcuni di loro vincono, così quelli che agiscono correttamente risultano essere i vincitori delle cose belle e buone nella vita. Il loro modo di vivere è inoltre piacevole di per sé: il provare piacere è cosa che avviene nell'anima, e per ciascuno è piacevole quello di cui lo si dice 'appassionato', per esempio, per l'appassionato di ippica un cavallo, per lo spettatore appassionato uno spettacolo, e allo stesso modo sono piacevoli anche le azioni giuste per l'amante della giustizia e più in generale le azioni secondo virtù per l'amante della virtù. Ora, per la massa le cose piacevoli sono in conflitto tra loro, perché non sono piacevoli per natura, ma per gli amanti delle belle azioni sono piacevoli le cose piacevoli per natura. E tali sono le azioni secondo virtù, cosicché sono piacevoli e in sé e per costoro. Il loro modo di vivere, quindi, non ha affatto bisogno che si aggiunga il piacere, come se fosse una specie di decorazione posticcia, ma ha il piacere in se stesso. Oltre a quanto abbiamo detto, infatti, vi è il fatto che non è nemmeno buono colui che non si rallegra per le sue belle azioni, infatti nessuno direbbe che è giusto colui che non si rallegra nel compiere azioni giuste, o generoso colui che non si rallegra nel compiere azioni generose, e lo stesso vale per tutti gli altri casi.
Se le cose stanno così, le azioni secondo virtù verranno a essere piacevoli in sé. Ma anche buone, invero, e belle, e avranno ciascuna di queste caratteristiche in modo sommo, se è vero che l'uomo eccellente giudica bene su di esse: giudica nello stesso modo in cui noi abbiamo detto. In conclusione la felicità è cosa ottima, e bellissima, e piacevolissima, e tutte queste caratteristiche non sono separate reciprocamente, come invece è nell'iscrizione di Delo:
Bellissimo è il culmine del giusto, ottimo l'essere in salute,
conseguire ciò che desidera il cuore è piacevolissimo per sua natura,
infatti alle migliori attività ineriscono tutte le caratteristiche dette, e tali attività, o una di loro, la migliore, noi diciamo che siano la felicità.
Allo stesso modo appare evidente che la felicità ha bisogno dei beni esteriori, come abbiamo già detto: è impossibile, o non facile, compiere azioni belle se si è sprovvisti di risorse. Infatti si compiono molte azioni per mezzo di amici, denaro o potere politico, usandoli come strumenti; e se siamo privati di certe cose, come buona nascita, buona discendenza, bellezza, la nostra beatitudine ne risulta intaccata. Perciò è lontano dall'essere felice chi è del tutto sgradevole a vedersi o di bassa stirpe o solitario e senza figli, o, ancor meno, se gli capitano figli o amici degeneri, o se ne ha di buoni, ma muoiono. Come abbiamo detto prima, sembrerebbe che la felicità abbia bisogno anche di una simile prosperità esterna. A partire da ciò, alcuni fanno una cosa sola della felicità e della buona fortuna, proprio come altri la identificano con la virtù.
Aristotele, Etica Nicomachea, 1098 b 8-1099b 8, trad. it. di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 24-29