Duns Scoto
Il processo astrattivo

1. Dico che l'universale in atto è quello che ha l'unità indifferente, in forza della quale la stessa e identica cosa si trova in potenza prossima ad essere attribuita a qualsiasi soggetto, giacché si legge nel primo libro degli Analitici posteriori: "l'universale è ciò che è uno in molte cose e si dice di molte cose" [...].
E da ciò appare improbabile che l'intelletto agente, spogliando la quiddità esistente nel fantasma, produca l'universalità nelle cose: giacché in qualsiasi cosa essa si trovi anche prima che abbia l'essere oggettivamente nell'intelletto possibile, sia nella realtà e sia nel fantasma sia che abbia l'essere certo oppure dedotto dalla ragione, e quindi non in forza di qualche lume ma di per se stessa, è sempre di tal natura che può, senza alcuna ripugnanza, ritrovarsi in un'altra cosa, ma non è di tal natura che nella sua potenza prossima possa attribuirsi a qualsiasi cosa, ma lo è solo nell'intelletto possibile.
Vi è dunque in ogni cosa un quid comune che non è per sé questa cosa e cui per conseguenza non ripugna essere un'altra cosa: ma questo quid comune non è l'universale in atto, perché gli manca quella indifferenza, la quale è necessaria perché si abbia nel senso più completo l'universale, perché cioè una stessa e identica cosa possa attribuirsi ad un qualsiasi individuo e con questo identificarsi […].
2. L'intelletto viene a trovarsi a volte in potenza prossima ed accidentale a conoscere, mentre prima non era che in potenza essenziale e remota. Ciò accade nell'intelletto in forza di una mutazione: mutazione, evidentemente, non dell'oggetto nel quale si ha soltanto una relazione di ragione, ma dello stesso intelletto. Questa mutazione quindi, che avviene nella potenza prossima, sembra che consista in una forma, per la quale l'oggetto intelligibile diviene presente all'intelletto forma che naturalmente è antecedente all'atto conoscitivo perché per natura la potenza prossima, per la quale alcuno è capace ad intendere, è prima dell'atto di intendere; ma questa forma, per la quale l'oggetto diviene presente, si dice immagine; quindi [deve ammettersi nell'intelletto un'immagine intelligibile ...].
3. Che si conosca o no il singolare, non ci interessa nel momento. E' certo però che l'universale può essere conosciuto dall'intelletto, ed anzi i filosofi ritengono appunto che l'intelletto sia una facoltà distinta dalle potenze sensitive per la conoscenza che ha dell'universale, per l'attitudine a comporre e a dividere, e per il sillogizzare, piuttosto che per la conoscenza del singolare, posto che possa conoscerlo.
Da questa cosa evidente e cioè che l'intelletto può conoscere l'universale - prendo la proposizione seguente: "L'intelletto può avere l'oggetto, universale in atto, a lui perfettamente presente in qualità di oggetto, prima ancora naturalmente che in atto intenda". Da ciò consegue il mio proposito, che nel primo istante ha presente l'oggetto nella immagine intelligibile e così ha l'immagine intelligibile antecedente all'atto. Questa proposizione sembra abbastanza manifesta, perché l'oggetto in qualità di oggetto è naturalmente antecedente all'atto; quindi l'universalità che è la condizione proprie dell'oggetto in quanto oggetto, precede l'atto di conoscenza, ed è necessario che l'oggetto sia presente sotto questo aspetto, perché la presenza dell'oggetto precede naturalmente l'atto di conoscere. Provo la conseguenza, in primo luogo per parte dell'universalità dell'oggetto, in secondo per parte della presenza [...].
Argomento così: l'immagine in quanto è questa immagine, ha questa ragione di rappresentare, e precisamente l'oggetto in quanto è rappresentabile sotto questo aspetto; quindi rimanendo la stessa immagine, non può avere due ragioni rappresentative, né è in funzione di due ragioni rappresentabili. Ora, rappresentare l'oggetto sotto l'aspetto dell'universale e sotto l'aspetto del singolare comporta una duplice ragione rappresentativa, ed è rappresentabile formalmente per rispetto ad una duplice ragione; una medesima cosa quindi rimanendo immutata non rappresenta questo e quello; perciò il fantasma, che per sé rappresenta l'oggetto sotto l'aspetto del singolare, non lo può rappresentare sotto l'aspetto dell'universale [...].
4. L'intelletto agente è potenza meramente attiva, secondo Aristotele nel libro III del De anima, sia perché è ciò " che fa tutto ", sia perché comparato all'intelletto possibile, è come l'arte verso la materia; quindi può avere un'azione reale. Ogni azione reale ha qualche termine reale. Quel termine reale però non si trova nel fantasma, perché l'intelletto agente non produce nulla nei fantasmi; poiché quanto in essi fosse ricevuto sarebbe esteso, e così l'intelletto agente non trasporrebbe l'oggetto da un ordine all'altro, né quello sarebbe maggiormente proporzionato all'intelletto possibile del fantasma; e nemmeno l'intelletto agente causa qualche cosa nei fantasmi, poiché non è il suo passivo, secondo le predette autorità; quindi si trova nell'intelletto possibile, perché nell'intelletto agente non si riceve nulla [...].
5. La disposizione abituale del più universale e quella del meno universale sono disposizioni abituali distinte e proprie, altrimenti non si dovrebbe dire che la metafisica in quanto metafisica non sarebbe una disposizione abituale distinta dell'intelletto, poiché tratterebbe di un oggetto in rapporto a tutti gli altri oggetti; ora avviene che ci serviamo di una disposizione abituale più universale senza che ci serviamo di un'altra disposizione abituale meno universale; quindi accade di emettere un atto circa un oggetto più universale nella forma secondo la quale viene riguardato da quella disposizione più universale senza che si emetta un atto circa il meno universale. Ma non si ha un atto di conoscenza del più universale, se esso sotto tale aspetto non sia presente al nostro intelletto; quindi ciò che è più universale può essere presente all'intelletto senza la presenza del meno universale. Ora, se l'oggetto dovesse intendersi precisamente nel fantasma, il più universale non sarebbe mai presente se non nel meno universale, perché non altrimenti presente se non nel fantasma singolare; quindi [è presente nell'immagine intelligibile, esistente nell'intelletto] [...].
6. Del secondo membro, cioè della presenza dell'oggetto, viene provata la prima conseguenza, innanzi tutto così: o l'intelletto può aver presente l'oggetto nella sua ragione di oggetto intelligibile senza che sia presente ad una potenza inferiore, o non lo può. Se non lo può, allora non può avere alcuna operazione sua propria senza le potenze inferiori (perché non può avere il suo oggetto come presente senza quelle), e se non può avere l'operazione senza quelle, quindi non può nemmeno essere senza di esse, secondo l'argomento del Filosofo nel prologo del libro De anima. Se invece può avere l'oggetto presente senza la sua presenza nella potenza inferiore, allora lo ha. Questa conseguenza si prova, poiché gli agenti di tale presenza dell'oggetto cioè il fantasma e l'intelletto agente, - sono sufficientemente approssimati all'intelletto possibile e agiscono a modo di natura, e così producono necessariamente in esso quello di cui è ricettivo [...].
Inoltre, le altre potenze conoscitive hanno presente l'oggetto, non solo con una presenzialità secondaria, cioè in quanto gli oggetti sono presenti alle potenze inferiori ma con una presenzialità, propria, come il senso comune ha presente il colore non soltanto in quanto è presente alla vista, ma anche perché la sua specie è presente nell'organo, del senso comune. Quindi essendo ciò una perfezione nella potenza conoscitiva, cioè poter avere l'oggetto presente in quanto esso è oggetto di tale potenza, segue che non soltanto può avere l'oggetto presente perché è presente alla fantasia, ma presente con propria presenzialità, in quanto cioè risplende nell'intelletto in virtù di qualche cosa che si trova nello stesso intelletto [...].
7. Se obietti: non si deve porre una pluralità se non c'è necessità; qui non c'è necessità; quindi rispondo: necessità vi è quando una cosa è richiesta dalla perfezione della natura. Ammesso dunque che questo soggetto, che è l'uomo, possa avere l'oggetto presente nel suo fantasma, poiché è uomo; tuttavia la natura intellettuale dell'uomo, considerata come tale, non ha l'oggetto sufficientemente presente se l'ha solo in una presenza mendicata dalla virtù immaginativa. Questa cosa umilia la natura intellettuale come tale, poiché le viene tolto ciò che costituisce la perfezione della potenza conoscitiva e che pure si trova nella potenza sensitiva come virtù immaginativa. Si pone, dunque qui la pluralità, per necessità: per salvare la perfezione di una natura più perfetta, che è maggiore di quella di una natura più imperfetta, o per lo meno, uguale.
8. Per cui dico che è necessario ammettere nell'intelletto, in quanto ha la ragione di memoria, un'immagine intelligibile, rappresentante l'universale in quanto universale, antecedente naturalmente all'atto dell'intelletto, e ciò per le ragioni esposte da parte dell'oggetto in quanto universale e in quanto presente all'intelletto, le quali due condizioni, cioè l'universalità e la presenza, precedono per natura la cognizione. E questo sembra il pensiero di Aristotele, il quale nel libro III del De anima, volendo che l'anima " in certo senso sia tutte le cose ", dice che l'anima " per i sensi è le cose sensibili, per la scienza è le cose intelligibili " […]. Ma più espresso al riguardo è il pensiero di Agostino che prova così: nessuna potenza è sufficientemente pronta a produrre una conoscenza attuale, se prima naturalmente dell'atto non gli è presente l'oggetto, o in se stesso o in qualche cosa che lo rappresenti; ma se si nega l'immagine intelligibile, tutta la parte intellettiva, prima del ratto di conoscenza, non ha l'oggetto presente né in sé né in alcuno suo rappresentante; quindi, se si nega l'immagine intelligibile, non vi sarà niente nella parte intellettiva di sufficientemente capace a produrre l'atto di conoscenza, e conseguentemente non vi sarà nella parte intellettiva un'adeguata memoria di tali conoscenze, ciò che è negato da Agostino nel libro XII del De trinitate.

Giovanni Duns Scoto, Opus Oxoniensis, II, d. 3, q. 1, n. 8-9, traduzione di Carlo Balic in Grande antologia filosofica,. a cura di Umberto Antonio Padovani, Marzorati, Milano 1954, vol. 4, tomo 1, pp. 1355-9

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