Agostino
Il destino delle due città

Invece la casa degli uomini che non vivono secondo la fede insegue la pace terrena fra le cose e gli agi di questa vita temporale, mentre la casa degli uomini che vivono secondo la fede attende i beni eterni che sono stati promessi nella vita futura, e si serve come pellegrina delle realtà terrene e temporali, senza lasciarsi prendere da esse e fuorviare dal cammino che tende verso Dio; se ne serve per essere aiutata a tollerare più facilmente e a non aumentare i pesi del corpo corruttibile che aggravano l'anima. Per questo fuso delle realtà che sono necessarie a questa vita mortale è comune ai due gruppi di uomini e alle due famiglie, ma è ben diverso il fine secondo cui ciascuno se ne serve.
Anche la città terrena che non vive secondo la fede, desidera fortemente la pace terrena e ripone la concordia dei cittadini nel comandare e nell'obbedire, nel far sì che ci sia una certa armonia delle volontà degli uomini riguardo ai problemi che toccano la vita mortale. La città celeste invece, o piuttosto quella parte di essa che è pellegrina in questa condizione mortale e vive secondo la fede, necessariamente si serve anche di questa pace, finché non passi la condizione mortale alla quale tale pace è necessaria. Perciò mentre conduce la sua vita itinerante come una schiava presso la città terrena, avendo già ricevuto però la promessa di redenzione e il dono spirituale come pegno, non esita a obbedire alle leggi della città terrena, secondo cui si regge tutto ciò che serve per mantenere questa vita mortale, cosicché, condividendo entrambe la stessa condizione mortale, si conservi fra le due città la concordia per ciò che riguarda quella condizione.
A dire il vero, però, la città terrena ebbe al suo interno alcuni sapienti, che la sapienza divina respinse; essi, o con una semplice supposizione o perché ingannati dal demonio, credevano che si dovessero chiamare in causa molti dèi nell'ambito delle realtà terrene, affidando a ciascuno di essi in certo senso diverse incombenze: ad uno il corpo, ad un altro l'anima; per quel che riguarda il corpo, poi, ad uno il capo, ad un altro la nuca, ad altri altre parti ancora; allo stesso modo, per quanto riguarda l'anima, ad uno fu affidato l'ingegno, ad un altro la dottrina, ad un altro la collera, ad un altro la concupiscenza; fra le cose che riguardano questa vita, ad uno fu affidato il bestiame, ad un altro il frumento, ad un altro il vino, ad un altro l'olio, ad un altro i boschi, ad un altro il denaro, ad un altro la navigazione, ad un altro guerre e vittorie, ad un altro i matrimoni, ad un altro il parto e la fecondità, e via dicendo.
La città celeste invece ha riconosciuto che si deve venerare un unico Dio e a Lui soltanto si deve offrire con fede e devozione quel culto che in greco si dice latrea, con la conseguenza che non ha potuto condividere con la città terrena le stesse leggi religiose, dovendo quindi dissentire da essa; è divenuta così intollerabile agli occhi di quanti la pensavano diversamente, dovendo sopportare la loro collera, il loro odio ed il loro impeto di persecuzione, salvo quando riusciva a respingere l'animosità dei suoi avversari, qualche volta facendosi forza delle sue moltitudini e sempre grazie all'aiuto divino. Questa città celeste quindi, finché è pellegrina sulla terra, chiama cittadini da tutte le nazioni e raccoglie la società pellegrina fra tutte le lingue, senza badare a diversità di costumi, di leggi, di istituzioni con le quali si istituisce o si mantiene la pace terrena, senza eliminare o distruggere nessuna di esse, anzi accettando e seguendo tutto ciò che tende ad un unico e medesimo fine della pace terrena, nonostante le diversità da nazione a nazione, purché ciò non costituisca un ostacolo per quella religione che insegna a venerare l'unico, vero e sommo Dio.
Anche la città celeste quindi usa, nel suo cammino, della pace terrena, protegge e desidera l'armonia delle volontà umane in ciò che riguarda la natura mortale degli uomini, fatta salva la devozione e la religione, e riferisce questa pace terrena alla pace celeste, che è la vera pace, da ritenersi e da definirsi l'unica pace della creatura razionale; questa è la società che ha il massimo di ordine e di concordia nel godere di Dio e nel godere reciprocamente in Dio. Quando ciò sarà raggiunto, la vita non sarà mortale, ma pienamente e sicuramente vitale, e il corpo, che mentre si corrompe appesantisce l'anima, non sarà più animale, ma spirituale, completamente sottomesso alla volontà, senza alcun bisogno. Questa pace la si possiede finché si è pellegrini nella fede e in questa fede si vive nella giustizia, riferendo al conseguimento di quella pace tutto ciò che di buono si compie verso Dio e verso il prossimo, poiché la vita della città è indubbiamente una vita sociale.

Agostino, La Città di Dio, l. XIX, 17, Rusconi, Milano 1990

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