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SOCR. Sottoponiamo dunque al nostro esame e alla scelta del nostro giudizio la vita informata dal piacere e quella informata dall’intelligenza vedendole separatamente l’una all’altra. PROT. Come dici? SOCR. Poniamo che non vi sia intelligenza nella vita del piacere, né piacere in quella dell’intelligenza. Se infatti uno dei due è bene bisogna che per nulla esso abbia più bisogno di nulla. E se ci risulterà uno dei due aver bisogno di altro, esso non potrà essere più comunque ciò che per noi è vero bene. PROT. E come potrebbe? SOCR. Vuoi allora che tentiamo la prova di ciò su di te? PROT. Ma certo. SOCR. Rispondi dunque. PROT. Domanda. SOCR. Accetteresti tu, Protarco, di vivere l’intera vita godendo dei più grandi piaceri? PROT. E perché no? SOCR. E penseresti di aver bisogno di qualche altra cosa ancora, una volta pienamente ottenuta tale vita? PROT. Per nulla. SOCR. Osserva bene: non avresti bisogno dell’intelligenza, del pensiero, del calcolo di ciò che è necessario e di tutto ciò che è ad essi fratello? PROT. E perché? Avrei tutto infatti avendo la gioia, io direi. SOCR. Dunque vivendo così tu potresti godere dei più grandi piaceri sempre, tutta la vita? PROT. E perché no? SOCR. Ma senza aver intelletto, memoria, scienza, senza opinione vera, non sarebbe questa la prima cosa che, direi, ignoreresti necessariamente, se godi o non godi cioè, poiché saresti privo di ogni barlume di intelligenza? PROT. E’ necessario. SOCR. E certo, analogamente, in quanto saresti senza memoria, è, direi, necessario che neppure tu ricordi che una volta godevi, e anche del piacere che cade nel presente neppure rimanga il ricordo più lieve. Senza opinione vera d’altra parte durante il godimento non potresti pensare di godere e privo della capacità di calcolare non potresti neppure prevedere che nel tempo futuro godrai; sarà necessario così a te di vivere non la vita di un uomo, ma di un "polmone marino" oppure di quegli animali, quanti ve ne ha che vivono avendo il corpo sotto la conchiglia, nel mare. E’ così, oppure v’è possibilità di pensare altro che a questo si opponga? PROT. E come? SOCR. E una simile vita possiamo preferirla alle altre? PROT. Questo discorso, Socrate, in questo momento mi ha gettato in una assoluta incapacità di parlare. SOCR. Ma non dobbiamo ancora cedere per questo; assumiamo e vediamo invece la vita informata dalla intelligenza.
PROT. Quale dici dunque? SOCR. Per esempio se uno di noi questa volta accettasse a preferenza di vivere nel possesso dell’intelligenza, della mente, della scienza, della memoria, di tutte queste facoltà senza limitazioni loro né del loro oggetto, senza avere parte al piacere, né molto né poco, e senza dolore d’altra parte, ma invece assolutamente immune da tutte le affezioni simili a queste ultime. PROT. O Socrate, né il primo né il secondo di questi modi di vivere mi parrà mai tale da esser prescelto, né mai ad altri tale potrà apparire, io credo. SOCR. E che dici di ambedue presi insieme, Protarco, di un modo di vita che li comprenda entrambi e che risulti tale dalla mescolanza di ambedue? PROT. Tu intendi vita che si svolge nel piacere e insieme nell’esercizio della mente e dell’intelligenza? SOCR. Così, vita fondata proprio su tali elementi. PROT. Ognuno sceglierà, io credo, questa, prima che l’una o l’altra di quelle due, e darà ad essa la precedenza su quelle. Ognuno, dico, non qualcuno sì, qualche altro no. SOCR. E ci rendiamo conto noi di quale è ora la conseguenza del nostro discorso attuale? PROT. Sì, pienamente: sono stati proposti tre modi di vita, e di due di questi né l’uno né l’altro è sufficiente né può essere oggetto di scelta da parte di nessuno, uomo o animale che sia. SOCR. Non è dunque già chiaro per questi due, che nessuno di essi, come vedemmo, possiede il bene? Sarebbe infatti in tal caso, uno dei due, sufficiente e perfetto e tale da poter essere prescelto da tutte le piante e animali, da tutti quelli cui dicemmo possibile vivere sempre tutta la vita così, e se uno di noi scegliesse altrimenti la sua scelta sarebbe contro natura, contro ciò che è veramente tale da potersi scegliere, e ciò avverrebbe senza sua volontà a causa di ignoranza oppure perché costrettovi da una sinistra necessità. PROT. Pare almeno che le cose stiano proprio così. SOCR. Mi sembra dunque sufficientemente dimostrato che non si deve identificare la dea del nostro Filebo con il bene. FIL. E così neppure la tua mente, o Socrate, è il bene, anzi sarà in qualche modo oggetto della stessa obiezione. SOCR. La mia sì, forse, Filebo; ma non certamente la vera mente, la divina mente, io credo; credo invece che per essa le cose stiano in modo diverso.
Platone, Filebo, 20 e – 22 c, da Opere complete, Laterza, Roma-Bari 1980