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ERM. E per il vero, Socrate, io, pur avendone discusso spesso con lui e con molti altri, non posso convincermi che ci sia una qualche altra correttezza del nome se non la convenzione e l'accordo. A me pare infatti che se qualcuno pone un nome a un oggetto, questo sia il nome corretto; e che se poi lo cambia con un altro e non chiama più l'oggetto con quello di prima, il nuovo nome non stia per nulla in modo meno corretto del vecchio, come accade quando noi cambiamo nome ai servi [il nome introdotto non è per nulla meno corretto del nome dato prima]: infatti non per natura già predisposto per ciascun oggetto è il nome - nessun nome per nessun oggetto -, bensì per legge e per uso di coloro che così usano e chiamano. Se però le cose stanno in qualche altro e modo, io sono pronto a imparare e ad ascoltare non solo da Cratilo, ma da chiunque altro. SOCR. Forse dici qualcosa di valido, Ermogene; ma riflettiamo. Tu affermi che quel nome con cui qualcuno chiama ciascun oggetto è il nome per ciascun oggetto? ERM. Così a me pare. SOCR. Tanto nel caso sia un privato a chiamare quanto nel caso sia una città? ERM. Così dico. SOCR. Ma come? Se io chiamo una qualunque delle cose che sono, per esempio quella che adesso chiamiamo 'uomo', se io la denomino 'cavallo', e ciò che adesso chiamiamo 'cavallo', lo denomino 'uomo', allora la stessa cosa avrà nome 'uomo' in pubblico e 'cavallo' in privato? Ed un'altra a sua volta 'uomo' in privato e 'cavallo' in pubblico? Così dici? ERM. Così a me pare.
III. SOCR. Su, allora dimmi questo: c'è qualcosa che chiami 'dire il vero e il falso'? ERM. Io sì. SOCR. Può esserci dunque discorso vero e discorso falso? ERM. Certo. SOCR. E quindi, quello che dice le cose che sono come sono è vero, mentre quello che le dice come non sono è falso? ERM. Sì. SOCR. E' dunque possibile dire con il discorso le cose che sono e quelle che non sono? ERM. Certo. SOCR. Ma il discorso vero è vero per l'intero, mentre le sue parti sono non vere? ERM. No, anche le sue parti. SOCR. Ma come, le parti grandi sono vere e le piccole no, oppure lo sono tutte? ERM. Tutte, io credo. SOCR. C'è dunque un'altra parte del discorso che tu dici più piccola del nome? ERM. No, è questa la più piccola. SOCR. E quindi anche questa [il nome] si dice parte del discorso vero? ERM. Sì. SOCR. E vera, come tu dici. ERM. Sì. SOCR. E la parte del discorso falso non è falsa? ERM. Così dico. SOCR. E' dunque possibile dire un nome falso e un nome vero, se ciò è possibile anche per il discorso. ERM. Come no? SOCR. Allora, quello che ciascuno dica essere il nome per una qualche cosa, è il nome per ciascuna cosa? ERM. Sì. SOCR. Forse anche tutti quanti quelli che qualcuno dica siano i nomi per ciascuna cosa, lo saranno proprio nel momento in cui li dice? ERM. Infatti, Socrate, io non ho altra correttezza del nome che questa: a me è possibile chiamare ciascuna cosa con un certo nome, che io ho posto, a te con un altro, che a tua volta tu hai posto. E così anche per quanto riguarda le città e vedo nomi dati alle stesse cose da taluni in modo privato, da Greci in contrasto con gli altri Greci e da Greci in contrasto con i barbari.
SOCR. Suvvia, Ermogene, vediamo se anche le cose che sono ti sembra stiano in tal modo, vale a dire che la loro essenza sia in modo privato per ciascuno, come diceva Protagora affermando che "di tutte le cose misura" è l'uomo - e cioè che quali le cose appaiano [essere] a me, tali siano per me e quali appaiano a te, tali siano per te - o se ti pare che esse da se stesse abbiano una qualche stabilità di essenza? ERM. Già una volta io stesso, Socrate, trovandomi in difficoltà, fui trascinato proprio verso ciò che afferma Protagora: ma non mi pare affatto che le cose stiano così. SOCR. Ma come? Sei già stato trascinato a ciò, al punto che non ti pare affatto che esista un uomo cattivo? ERM. No, per Zeus, anzi ne ho fatto esperienza così spesso da sembrarmi che esistessero uomini molto cattivi, e assai numerosi. SOCR. Come? Di [uomini] molto buoni ti è parso che non ne esistessero ancora? ERM. E assai pochi. SOCR. Ma allora ti è parso? ERM. A me sì. SOCR. Allora come la metti con ciò? Forse così: che i molto buoni sono molto ragionevoli e i molto cattivi sono molto irragionevoli. ERM. A me sembra così. SOCR. E allora, se Protagora diceva il vero e se la verità è questa, che quali le cose paiano a ciascuno tali anche sono, è possibile che alcuni di noi siano ragionevoli, altri irragionevoli? ERM. No, certo. SOCR. E certo questo, io penso, ti pare certamente: che sussistendo ragionevolezza e irragionevolezza non è affatto possibile che Protagora dica a vero; in nulla infatti per la verità qualcuno può essere più ragionevole di qualcun altro, se ciò che a ciascuno pare sarà per ciascuno vero. ERM. E' così.
V. SOCR. Ma nemmeno, credo, ti pare, sulla scorta di Eutidemo, che per tutti tutte le cose siano allo stesso modo insieme e sempre: neppure così, infatti, potrebbero essere alcuni buoni e altri cattivi, se virtù e vizio fossero allo stesso modo per tutti e sempre. ERM. Dici il vero. SOCR. Se dunque né per tutti tutte le cose sono allo stesso modo insieme e sempre, né per ciascuno in privato è ciascuna cosa, allora è chiaro che le cose sono esse da se stesse in possesso di una qualche stabile essenza, non relative a noi né da noi tratte in su e in giù per l'immagine che ne abbiamo, ma in se stesse in relazione alla loro essenza in possesso di un loro proprio modo di essere già predisposte. ERM. Così mi pare, Socrate.
Platone, Cratilo, 384d - 386e