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Il tecnico intellettuale ha il suo metodo, la scolastica, della quale illustri eruditi, tra i quali in primo luogo figura monsignor Grabmann, hanno raccontato la costituzione e la storia. Il padre Chenu nella sua Introduction à l'Etude de saint Thomas d'Aquin ce ne ha data un nitida esposizione. Cerchiamo ora di chiarire che cosa sia questa scolastica, vittima di denigrazioni secolari e tanto difficile da penetrare senza preparazione a causa del suo aspetto tecnico che sembra fatto per respingere il profano, e quale sia la sua portata. Una frase del padre Chenu deve servirci da guida: "Pensare è un mestiere le cui leggi sono state minuziosamente fissate".
Vocabolario
Prima di tutto, leggi del linguaggio. Se le famose controversie tra realisti e nominalisti hanno riempito il pensiero medioevale è perché gli intellettuali del tempo accordavano alle parole un giusto potere e si preoccupavano di definirne il contenuto. E' essenziale per essi sapere quali rapporti esistano tra la parola, il concetto, l'essere. Non v'è nulla che più di questa preoccupazione sia opposto al verbalismo di cui fu accusata la scolastica e in cui d'altronde questa è caduta talvolta nel XIII secolo e sovente in seguito. I pensatori e i professori del Medioevo vogliono sapere di che cosa parlano. La scolastica è a base di grammatica. Gli scolastici sono gli eredi di Bernardo di Chartres e di Abelardo.
Dialettica
Seguono le leggi della dimostrazione. Il secondo piano della scolastica è la dialettica, insieme di procedimenti che fanno dell'oggetto del sapere un problema, che lo espongono, lo difendono contro chi lo attacca, lo risolvono e convincono l'ascoltatore e il lettore. Qui il pericolo è il ragionamento a vuoto - non più il verbalismo, ma la filastrocca. Bisogna dare un contenuto alla dialettica, un contenuto non di sole parole ma di pensiero valido. I dottori universitari sono i discendenti di Giovanni di Salisbury il quale diceva: "La logica da sola rimane esangue e sterile; essa non porta nessun frutto di pensiero se non concepisce al di là delle parole ".
Autorità
La scolastica si nutre di testi. Essa è un metodo fondato sull'autorità, cerca il proprio sostegno nel doppio apporto delle civiltà precedenti: il Cristianesimo e il pensiero antico arricchito dal suo passaggio attraverso il mondo arabo. La scolastica è il frutto di un movimento, di un rinascimento; essa digerisce il passato della civiltà occidentale. La Bibbia, i Padri, Platone, Aristotele, gli arabi, sono gli elementi del sapere, i materiali dell'opera. Qui il pericolo è costituito dalla ripetizione, dall'apprendimento mnemonico, dall'imitazione servile. Gli scolastici hanno ereditato dagli intellettuali del XII secolo il senso anelito del progresso necessario e ineluttabile della storia e del pensiero. Con i materiali essi costruiscono la loro opera. Alle fondamenta, sovrappongono piani nuovi, edifici originali. Della stirpe di Bernardo di Chartres, essi sono saliti sulle spalle degli Antichi per veder più lontano. "Noi non troveremo mai la verità " dice Gilberto di Tournai, "se ci accontenteremo di ciò che è stato già trovato... Coloro che scrissero prima di noi non sono per noi dei signori ma delle guide. La verità è aperta a tutti, essa non è stata ancora posseduta per intero". Ammirevole slancio dell'ottimismo intellettuale, contrapposto al melanconico " tutto è stato detto e siamo arrivati troppo tardi... ".
Ragione: la teologia come scienza
Alle leggi dell'imitazione la scolastica unisce le leggi della ragione, alle prescrizioni dell'autorità gli argomenti della scienza. Meglio ancora, ed è questo un progresso decisivo del secolo, la teologia fa appello alla ragione, diventa una scienza. Gli scolastici danno un seguito all'invito, implicito nella Scrittura, che incita il credente a render ragione della propria fede: "Siate sempre pronti a soddisfare chiunque vi interrogherà, a dar ragione di quello che è in voi grazie alla fede e alla speranza" (1 Pietro 3, 15). Essi rispondono all'appello di san Paolo per il quale la fede è "l'argomento delle cose invisibili (argumentum non apparentium)" (Ebr. 11, 1). Da Guglielmo d'Alvernia, iniziatore in questo campo, a san Tommaso, che darà della scienza teologica l'esposizione più sicura, gli scolastici faranno ricorso alla ragione teologica, " ragione illuminata dalla fede (ratio fide illustrata)". La formula profonda di sant'Anselmo "fides quaerens intellectus, la fede si appella all'intelligenza" sarà illuminata quando san Tommaso avrà stabilito in linea di principio che "la grazia non fa scomparire la natura ma la compie (gratia non tollit naturam sed perficit)". Nulla è meno oscurantista della scolastica per la quale la ragione sfocia nell'intelligenza e i cui lampi trovano la loro perfezione facendosi luce.
Gli esercizi: quaestio, disputatio, quodlibet
Così fondata la scolastica viene strutturandosi attraverso il lavoro universitario, con i propri procedimenti d'esposizione.
Alla base il commento dei testi, la lectio, analisi in profondità, la quale parte dall'analisi grammaticale che dà la lettera (littera), si eleva alla spiegazione logica che fornisce il senso (sensus) e si compie con la esegesí che rivela il contenuto in scienza e pensiero (sententia).
Ma il commento fa nascere la discussione. La dialettica permette di andare al di là della comprensione del testo per trattare i problemi che esso solleva, lo fa scomparire dinanzi alla ricerca della verità. Tutta una problematica si sostituisce all'esegesi. Con procedimenti adatti la lectio si sviluppa in quaestio. L'intellettuale universitario nasce nel momento in cui da passivo diventa attivo, quando comincia a mettere in discussione il testo, che è oramai solo un supporto quando si discute. Il maestro non è più un esegeta ma un pensatore: offre soluzioni, crea la sua conclusione della quaestio: la determinatìo, è opera del suo pensiero.
La quaestio, nel XIII secolo, si distacca anzi da qualunque testo. Esiste in sé. Con la partecipazione attiva dei maestri e degli studenti essa diventa oggetto di una discussione, è diventata la disputatio.
Il padre Mandonnet ne ha data una descrizione classica: "Quando un maestro disputava, tutte le lezioni date nella mattinata dagli altri maestri e dai baccellieri della facoltà cessavano; soltanto il maestro che teneva la disputa faceva una breve lezione per permettere agli ascoltatori d'arrivare in tempo; poi la disputa cominciava. Essa occupava una parte più o meno grande della mattinata. Tutti i baccellieri della facoltà e gli allievi del maestro che disputava dovevano assistere all'esercizio. Gli altri maestri e studenti, a quanto pare, erano liberi; ma non c'è da dubitare che presenziassero più o meno numerosi a seconda della reputazione del maestro e dell'importanza dell'argomento in discussione. Il clero parigino, i prelati e altre personalità ecclesiastiche di passaggio nella capitale frequentavano volentieri questi tornei così appassionati. La disputa era la giostra dei chierici.
"La questione su cui si doveva disputare era fissata, in anticipo, dal maestro che doveva sostenere la disputa. Questa era annunciata in un giorno dato nelle altre scuole della facoltà. [...] La disputa si svolgeva sotto la direzione del maestro; ma non era lui, per essere esatti, a disputare. Era il suo baccelliere che assumeva l'ufficio di mallevadore e cominciava così il suo tirocinio in questo genere di esercizi. In genere le obiezioni erano presentate in modi diversi, prima dai maestri presenti, poi dai baccellieri, e, finalmente, se era il caso, dagli studenti. Il baccelliere rispondeva agli argomenti proposti, e, quando era necessario, il maestro gli prestava il suo concorso. Tale, sommariamente, era la fisionomia di una disputa ordinaria; ma questa ne era soltanto la prima parte, anche se la principale e la più movimentata.
Le obiezioni proposte e risolte durante la disputa, senza un ordine prestabilito, presentavano alla fine una materia dottrinale abbastanza disordinata, meno simile tuttavia agli avanzi di un campo di battaglia che ai materiali semilavorati di un cantiere di costruzione. Per tale ragione a questa seduta d'elaborazione ne succedeva una seconda, che portava il nome di determinazione magistrale.
Il primo giorno leggibile, come si diceva allora, vale a dire il primo giorno in cui il maestro che aveva disputato poteva dare lezione, poiché una domenica, un giorno di festa, o qualche altro ostacolo potevano impedire che fosse il giorno immediatamente seguente, il maestro riprendeva nella sua scuola la materia disputata il giorno, o i giorni, prima. Egli cominciava col coordinare, per quanto la materia lo permetteva, in un ordine o in una successione logica le obiezioni presentate contro la propria tesi e dava loro una formulazione definitiva. Egli faceva seguire queste obiezioni da qualche argomento in favore della dottrina che stava per proporre. Dopo di che passava a un'esposizione dottrinale, più o meno estesa, della questione in discussione, e ciò forniva la parte centrale ed essenziale della determinazione, Finiva poi rispondendo a ognuna delle obiezioni proposte contro la dottrina della propria tesi. [... ]
L'atto di determinazione, affidato alla scrittura dal maestro o da uno degli ascoltatori, costituiva quelle che noi chiamiamo le Questioni disputate e che sono il termine finale della disputa".
Infine, in questa cornice, si sviluppò un genere speciale: la disputa - se così si può dire - quodlibetale. Due volte all'anno i maestri potevano tenere una seduta durante la quale offrivano di trattare un problema "posto da chiunque su qualunque argomento (de quodlibet ad voluntatem cujuslibet)". Il padre Glorieux descrive questo esercizio nei seguenti termini: "La seduta comincia verso l'ora di terza, forse, o di sesta; in ogni modo, assai per tempo al mattino, perché può darsi che duri molto. Ciò che la caratterizza, infatti, è il suo andamento capriccioso, improvvisato, e l'incertezza da cui è dominata. Seduta di dispute, di argomentazione come tante altre; ma che offre questo carattere speciale: l'iniziativa sfugge al maestro per passare agli ascoltatori. Nelle dispute ordinarie, il maestro annuncia in precedenza gli argomenti di cui si occuperà, egli ha quindi riflettuto su di essi e si è preparato. In queste sedute, invece, chiunque può sollevare qualsiasi problema. E questo è per il maestro il grande pericolo. Le domande o le obiezioni possono venire da tutte le parti, ostili o curiose, o anche maligne, poco importa. C'è chi può interrogarlo in buona fede, per conoscere la sua opinione; ma può darsi vi sia anche qualcuno che tenta di metterlo in contraddizione con se stesso o di obbligarlo a pronunciarsi su argomenti scottanti che egli preferirebbe ignorare. Talvolta sarà uno straniero curioso o uno spirito inquieto; talaltra un rivale geloso o un maestro malizioso che tenterà di metterlo in imbarazzo. Qualche volta i problemi saranno chiari e interessanti, qualche altra le domande saranno ambigue e il maestro farà una certa fatica per afferrarne l'esatta portata e il vero senso. Certuni si trincereranno candidamente nel campo puramente intellettuale; altri invece nutriranno qualche scopo celato, politico o denigratorio... Bisogna dunque che chi vuole tenere una disputa di tal genere possieda una presenza di spirito poco comune e una competenza quasi universale".
Così si sviluppa la scolastica, maestra di rigore, stimolatrice di un pensiero originale, ma obbediente alle leggi della ragione. Il pensiero occidentale, che aveva fatto con la scolastica progressi decisivi, doveva restarne segnato per sempre. Si capisce che noi parliamo della scolastica del XIII secolo, in pieno vigore, maneggiata da spiriti acuti, esigenti, in pieno slancio. La scolastica fiorita della fine del Medioevo potrà provocare giustamente il disprezzo di un Erasmo, di un Lutero, di un Rabelais. La scolastica barocca susciterà il legittimo disgusto di un Malebranche. Ma le linee direttrici e le abitudini della scolastica si sono incorporate nelle nuove tappe del pensiero occidentale. Descartes, anche senza rendersene conto, le deve molto. Nella conclusione di un libro profondo E. Gilson ha potuto scrivere: "Non è possibile comprendere il cartesianesimo senza confrontarlo continuamente con quella scolastica che disprezza, ma in seno alla quale si installa e di cui, visto che la assimila, si può ben dire che si nutre".
J. Le Goff, Intellettuali nel medioevo, Mondadori, Milano 1984, pp. 93-97